Attenzione / Attention / Uwaga / Увага

E' USCITO IL MIO LIBRO "LA DEMOCRAZIA ARANCIONE. STORIA DELL'UCRAINA DALL'INDIPENDENZA ALLE PRESIDENZIALI 2010", LIBRIBIANCHI EDITORE. Parte dei proventi finanzia l'Associazione AnnaViva.

venerdì 30 ottobre 2009

GUERRA DEL GAS, MOSCA APRE IL FRONTE POLACCO

Nella giornata di lunedì 26 e martedì 27 ottobre sono iniziati i negoziati tra la russa Gazprom e la polacca PGNiG (Polskie Górnictwo Naftowe i Gazownictwo) per il rinnovo del contratto di fornitura del gas da Mosca a Varsavia.

La trattativa tra i monopoli dei due paesi è ancora in fieri, poiché malgrado un iniziale accordo tra le parti, Gazprom inspiegabilmente ha ritrattato alcune clausole concernenti le tariffe di transito del gas che Mosca dovrebbe versare a Varsavia.

Riunitisi nella capitale della Federazione Russa, gli esponenti di Gazprom e PGNiG, il ministro per l’energia russo Sergej Šmatka ed il suo omonimo polacco – anche vice premier – Waldemar Pawlak non hanno concluso un accordo che pareva oramai cosa fatta. “Sembrava tutto concordato, ma durante l’incontro conclusivo è ricomparsa la questione delle tariffe di transito, troppo onerose secondo Mosca. Dunque, abbiamo proposto un piano di ammortamento, che però Gazprom ha rifiutato categoricamente” ha illustrato il vice premier polacco. Tale piano, stando sempre alle dichiarazioni del vice premier, consisterebbe nell’incremento del numero delle rate, che così risulterebbero meno onerose per le casse russe.

Il colosso moscovita ha dichiarato di volere abbattere il costo totale, e non di ottenere uno sconto sul singolo versamento. Il tutto, malgrado le tariffe di transito a Varsavia siano già oggi le più basse versate da Gazprom ai Paesi UE. Inoltre, esse sono state stabilite in base alla legge polacca – territorio su cui sono imposte – e confermate dall’Autorità per la Regolazione Energetica. E su di esse non pende ancora alcuna mora nonostante il colosso moscovita da quattro anni si rifiuti di pagare la quota dovuta, infrangendo sistematicamente tale adempimento contrattuale.

Non solo le tariffe, poiché altri due sono i nodi responsabili dell’impasse nelle trattative. Dapprima, il gasdotto Jamal, per mezzo del quale la Russia rifornisce di gas la Polonia via terra. Dai primi anni ‘90 è in progetto un suo ampliamento per garantire un maggior afflusso di gas in territorio polacco ed una maggiore sicurezza energetica per Varsavia, ma negli ultimi tempi Mosca unilateralmente ha accantonato il progetto per concentrasi nella costruzione del NordStream, il gasdotto che collegherà Russia e Germania transitando sul fondo del mar Baltico: una vera e propria ritorsione politica contro quei Paesi tradizionalmente osteggiati dal Cremino come Repubbliche Baltiche, Polonia, Svezia e Finlandia.

In secundis, vi è la questione EuRoPol Gaz, il consorzio proprietario del Jamal. Attualmente, esso appartiene ex aequo al 48% a Gazprom e PGNiG e al 4% all’azienda Gas-Trading, che tuttavia non ha influenza alcuna nel consiglio di amministrazione. Sia la parte russa che polacca sono concordi nell’eliminare il terzo membro per controllare il consorzio al 50% ciascuno, ma Gazprom pretende un ruolo predominante all’interno della nuova EuRoPol Gaz, ad esempio nominando un numero maggiore di componenti del CdA.

Tuttavia, in questa prima tornata di trattative Gazprom è riuscita a mettere a segno un colpo importante a totale svantaggio della Polonia. Il contratto di fornitura di gas tra Gazprom e PGNiG è stato prorogato di 15 anni fino al 2037 con un incremento della quantità di oro blu che Varsavia sarà obbligata ad acquistare a 196 miliardi di metri cubi annui. L’accordo attuale prevede fino al 2015 l’acquisto di 8/9 miliardi di metri cubi ogni 12 mesi. In tal modo, Gazprom si assicura per i prossimi 30 anni il pagamento dalla Polonia di circa 60 miliardi di Dollari (stando ai prezzi dello scorso anno).

Seppure come già illustrato le trattative continueranno nei prossimi giorni, il dato politico della situazione è evidente. Mosca ha aperto ufficialmente l’ennesimo fronte della guerra del gas. Innalzando la durata contrattuale e la quantità di gas che Varsavia deve importare, il Cremlino ha dimostrato di potere interferire – quando non destabilizzare – nell’economia di un Paese sovrano appartenente all’Unione Europea. Pretendendo un ruolo di predominio per Gazprom all’interno della nuova EuRoPol Gaz, finirebbe per assumere il controllo dei gasdotti diretti in Polonia, aumentandone la dipendenza energetica. Privilegiando il progetto NordStream, punisce i propri avversari politici con la complicità di una Vecchia Europa troppo intimorita e dipendente dal gas russo.Qualora tale scenario si traducesse davvero in realtà, allora si verificherebbe la fine dell’Europa. E nessun trattato, né referendum costituzionale potrebbero risollevare più le sorti di un continente che per timore del ricatto energetico di un Paese autoritario con esso confinante ha rinnegato quello che dovrebbe essere il suo fondamento filosofico-culturale e la sua missione nel mondo: il rispetto dei diritti umani e delle libertà dell’individuo contro ogni autocrazia e dittatura. Anche contro il gas di Putin.

giovedì 22 ottobre 2009

SCUDO SPAZIALE IN POLONIA, SI RICOMINCIA DA CAPO. CON BIDEN.

Nella giornata di mercoledì 21 ottobre, il vicepresidente USA Joe Biden ha incontrato a Varsavia il premier Donald Tusk e il presidente Lech Kaczyński per discutere, tra l’altro, del nuovo piano di difesa missilistico dell’amministrazione Obama.

Una data politicamente molto attesa lungo il Nowy Świat, a cui i media polacchi hanno dato ampia evidenza. Contrariamente, purtroppo, al resto dei giornali occidentali che, New York Times a parte, non hanno ritenuto tale notizia degna nemmeno di essere citata.

Atterrato in mattinata, prima del round di incontri ufficiali, Biden ha voluto rendere omaggio agli eroi del ghetto di Varsavia con la posa di un mazzo di fiori ai piedi del monumento ad essi dedicato. La presenza del Vicepresidente USA sulle rive della Vistola non è affatto una formalità. Difatti, è Joe Biden l’uomo che Obama incarica per mantenere le relazioni con i tradizionalmente fedeli alleati dell’Europa Centro-Orientale, sempre più allarmati ed irritati dalle sue spericolate manovre di avvicinamento alla Russia di Putin. Così è stato lo scorso luglio per Georgia ed Ucraina dopo il celeberrimo reset proposto da Hillary Clinton a Sergej Lavrov; così si è verificato anche pochi giorni or sono, successivamente alla rinuncia di Washington al progetto di difesa missilistica ubicato in Repubblica Ceca e Polonia, infelicemente comunicata da Obama il giorno del sessantesimo anniversario dell’invasione sovietica ai danni di questo ultimo Paese [il 17 settembre 1939, n.d.a.].

Dunque, Biden non è Obama. Saranno le sue origini irlandesi [Paese che purtroppo ha molto in comune con la Polonia in quanto a sofferenze patite e passato ignorato dalla stragrande maggioranza delle storiografie europee, n.d.a.], ma il vicepresidente USA apprezza e comprende a fondo la Polonia ed i Paesi della Nuova Europa. Lo si capisce dal tono con cui partecipa alle due conferenze stampa, durante le quali non esita a chiamare Tusk “Mr. President” e a definire Kaczyński “un vecchio amico con cui è normale intrattenersi più del previsto”.

Tuttavia, dai due incontri pochissimi sono i dettagli tecnici emersi. Certo è solo che il nuovo sistema di difesa missilistico USA in Europa Centrale punta alla difesa da missili a corto-medio raggio e che sarà costituito da intercettori SM-3 installati in tre fasi temporali differenti (l’ultima tra il 2005 e il 2008) su vettori mobili in più di un Paese dell’Europa centro-orientale, con tutta probabilità Polonia, Repubblica Ceca e Romania.

“In virtù dell’accordo Sikorski-Rice firmato con la precedente amministrazione [Bush, n.d.a.] nell’agosto del 2008, alla Polonia spetterà un trattamento prioritario” ha affermato Biden nella conferenza stampa con Tusk. Il quale dapprima aveva evidenziato che “Varsavia considera il nuovo progetto di difesa missilistica interessante, utile e siamo pronti a prendervi parte a queste condizioni”.
Il vice Obama ha proseguito affermando che gli USA sono soddisfatti di questo “nuovo passo” nelle relazioni tra i Paesi NATO, volto a “tutelare la sicurezza di Washington e di tutti gli alleati dell’alleanza atlantica”. Ha aggiunto poi che gli Stati Uniti intendono “mantenere gli impegni con essi già presi”, tra i quali il dispiegamento di una batteria di intercettori patriot in Polonia [come previsto dal già citato accordo dell’agosto 2008, n.d.a.].

Terzo atto della giornata, l’incontro con Lech Kaczyński. Biden ha garantito che la Polonia è vista da Washington come il “Paese-modello non solo per gli amici della NATO, ma anche per quei Paesi che ancora aspirano all’ingresso nell’alleanza atlantica”, un’opinione “che batte nel cuore di tutti gli americani, repubblicani e democratici”. Nel corso della conferenza stampa – iniziata con due ore di ritardo a causa del prolungarsi dei colloqui col presidente della Repubblica Polacca – ha aggiunto che “gli USA continueranno il loro impegno per la democrazia e la stabilità in Ucraina, Bielorussia e Georgia”. Infine, ha lodato i soldati polacchi per il loro coraggio ed impegno accanto agli americani dimostrato in Afghanistan ed Irak. Anche questa seconda conferenza stampa si è svolta in un clima di amicizia, al punto che il vice Obama si è concesso il beneficio della battuta, affermando che sua figlia “vive nella città polacca più grande al mondo” [Chicago, una delle mete principali della diaspora polacca sin dagli esordi, n.d.a.]. Dal canto suo, Kaczyński ha evidenziato di avere reagito alle parole di Biden ”con ottimismo”.

Tuttavia, restano molti nodi da sciogliere. Tra essi, l’accordo SOFA, che accanto all’installazione dei patriot prevede lo stazionamento in territorio polacco di soldati USA per addestrare l’esercito locale all’utilizzo di tali armamenti difensivi. Su di esso non una parola, sebbene fosse per Kaczyński una priorità.
Almeno il dato politico è inequivocabile: Washington intende tranquillizzare gli amici dell’Europa Centro-Orientale – la Polonia in particolare – e garantire loro che il proprio supporto è rimasto lo stesso nonostante il cambio di amministrazione e le prime, infelici mosse politiche di Barack Obama.

Resta sempre e comunque la perplessità legata al fatto che per compiere tale gesto il presidente USA ancora una volta si sia servito del suo vice, e non abbia provato a ricucire i rapporti in prima persona. Un gesto che sicuramente i nuovi europei – e non solo loro – avrebbero maggiormente apprezzato. E che avrebbe rafforzato nell’area e nel Mondo l’immagine e l’autorevolezza del neo insignito Premio Nobel per la Pace.
Matteo Cazzulani

martedì 20 ottobre 2009

ANNAVIVA SU BELSAT.TV

Servizio televisivo realizzato sull'Associazione AnnaViva (con un'intervista al sottoscritto in polacco doppiata in bielorusso) dalla televisione "Belsat", organo di informazione libero che si batte per la democrazia in Bielorussia.

http://www.belsat.eu/generator.php?lista_wezlow=1,10,14,17,4421,4881&show=tak

giovedì 15 ottobre 2009

ANCHE LA POLONIA FIRMA LISBONA

Varsavia è il penultimo paese europeo a ratificare il trattato di Lisbona dopo innumerevoli ostacoli. Da ultimo, la penna stilografica del Presidente.

KRAKÓW – Sabato 10ottobre 2009 passera alla storia come il giorno in cui le ultime resistenze polacche all’UE sono state superate. Difatti, il presidente Lech Kaczyński ha firmato il trattato di Lisbona dopo la vittoria del “sì” al referendum irlandese, mantenendo la promessa fatta al Presidente dell’Europarlamento Jerzy Buzek.

La cerimonia, solenne e ufficiale, è avvenuta in diretta tv nella tarda mattinata. Oltre a Kaczyński, tra i partecipanti hanno figurato il premier Donald Tusk, il già citato Jerzy Buzek, il capo della Commissione Europea Barroso ed il premier svedese Fredrik Reinfeldt, presidente di turno dell’UE.

“La questione riguarda il futuro dei cittadini polacchi. E la Polonia è uno stato sovrano, per cui devono essere i polacchi e non gli irlandesi a decidere”. Così ha esordito il presidente padrone di casa nel suo discorso antecedente la sigla del trattato. Quasi a voler chiarire che la decisione di ratificare Lisbona non è legata al si del referendum irlandese, ma dipende da una sua precisa volontà.
Difatti, ha continuato spiegando che per entrare in vita il trattato necessita del consenso di tutti i Paesi UE, dunque senza l’adesione di Dublino la sua firma sarebbe risultata inutile. Per questa ragione, Kaczyński avrebbe aspettato l’esito del referendum irlandese per porre la sua firma “in difesa del principio dell’unanimità”.

Quello di sabato pareva totalmente un’altra persona rispetto al Kaczyński di solo un anno fa, quando a più riprese dichiarava come il trattato di Lisbona [e con esso il futuro dell’UE, n.d.a.] fosse “definitivamente morto”. Ma fatto sta che la firma è stata posta, e finalmente la Polonia ha ratificato il trattato di Lisbona, concordemente – è bene ricordarlo – con la maggioranza dell’opinione pubblica e delle forze politiche presenti in parlamento (la maggioranza del liberale Tusk è caratterizzata da una vocazione fortemente europeista).

Sempre nel corso del suo intervento ufficiale, Kaczyński ha evidenziato come il trattato in questione sia “vantaggioso per la Polonia”, poiché al momento della sua negoziazione nel 2007, 13 dei 14 postulati presentati da Varsavia sono stati accolti, tra cui il prolungamento fino al 2017 del conteggio dei voti secondo i parametri di Nizza che consentono alla Polonia una cospicua rappresentanza in seno all’Europarlamento. Per questa ragione, ha tessuto le lodi dell’ex ministro degli esteri Anna Fotyga – appartenente al suo stesso partito di estrema destra “Legge e Giustizia”, al governo dal 2005 al 2007 – per il lavoro svolto in quella occasione.
Parole di elogio sono state rivolte anche a Tadeusz Mazowiecki, capo del primo governo della Polonia post-comunista, grazie al cui ruolo “la caduta del Muro di Berlino ha potuto tradursi in realtà”.

A ragione, il presidente ha spiegato come a suo modo di vedere”questo grande esperimento umano debba mantenere il suo principio di apertura verso nuovi membri, Georgia ed Ucraina in primis”.

In ultima istanza, l’affermazione secondo cui l’Unione Europea deve restare “un’unione di Stati nazionali che mantengono la propria sovranità”. Un auspicio poco europeista ma digeribile vista la posta in palio. Il continente intero ha atteso questa firma per 557 lunghissimi giorni. E, da vero copione picaresco, in ultimo è stata fiaccata anche l’ultima resistenza: la penna di Kaczyński, inceppatasi e prontamente sostituita.
A corredo del solenne atto, gli interventi delle altre personalità presenti. Il premier polacco Donald Tusk non ha risparmiato alcune frecciate al presidente, affermando di essere “sorpreso per il ritardo di circa un anno con cui Kaczyński si è convinto a firmare il trattato”. “Una ratifica – ha continuato il capo del governo polacco – che non è frutto di becero calcolo politica, ma dimostra come la Polonia ha smesso di essere un membro novello dell’UE ed è consapevole delle proprie responsabilità all’interno dell’Unione”.

Il presidente del Parlamento Europeo Jerzy Buzek – ex-premier polacco dal 1997 al 2001 – ha evidenziato l’importanza della firma in quanto “consente ai governanti del continente di possedere maggiori strumenti per migliorare la qualità della vita dei cittadini europei”. Per questo, è convinto che “anche i più strenui oppositori [come Lech Kaczynski, n.d.a.] presto o tardi si renderanno conto dell’estrema importanza di un’Europa davvero forte e politicamente integrata al suo interno”.

Il premier svedese Reinfeldt ha illustrato invece come ora manchi solo la firma di Praga per l’entrata in vigore del trattato. Il presidente ceco Václav Klaus ha affermato che il suo no è legato all’assenza di rassicurazioni che prevengano eventuali pretese tedesche sui Sudeti, territori appartenenti alla Repubblica Ceca. Una preoccupazione che sembra essere solo sua, dal momento in cui la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica del suo Paese è strenuamente favorevole alla firma del Trattato.

Kaczyński e Klaus rappresentano due facce del medesimo fenomeno: un nazionalismo becero che pur essendo minoritario nei propri paesi detiene le leve del potere. Felicemente, in Polonia si è riusciti a superare tale fastidiosa situazione che gettava discredito su un popolo che in realtà vive l’Europa da molti più secoli di quanto comunemente si pensi nel resto dell’occidente e che con convinzione considera l’UE come la propria casa politica.

Tale sentire è presente anche in Repubblica Ceca. Sta sopratutto a noi europei degli Stati che già hanno ratificato Lisbona aiutare i nostri fratelli cechi nel convincere il presidente Klaus che certi rigurgiti xenofobi non appartengono né al dna dell’UE né rendono onore alla gloriosa tradizione della sua patria, che al vecchio continente ha fornito nella storia indimenticabili pagine di letteratura, grandi uomini e persino qualche Sacro Romano Imperatore. Praga appartiene all’Europa. E l’Europa non può fare a meno di lei.

Matteo Cazzulani