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sabato 28 novembre 2009

LA CAMPAGNA PRESIDENZIALE UCRAINA ENTRA NEL VIVO. ANCHE JUŠČENKO PRESENTA IL SUO PROGRAMMA ELETTORALE

Nonostante la febbre suina stia mantenendo bassi i toni del confronto, la corsa per la presidenza in Ucraina de facto è iniziata. I maggiori candidati che il prossimo mese di gennaio correranno nel primo turno sono il filo russo Vyktor Janukovyč, l’attuale premier Julija Tymošenko, l’ex speaker del parlamento Arsenij Jacenjuk e l’attuale presidente filo occidentale Vyktor Juščenko.

Nella giornata di lunedi 23 novembre 2009, Vyktor Juščenko, supportato dal suo partito Naša Ukraina (Nostra Ucraina) ha presentato la sua candidatura per mezzo di un discorso televisivo trasmesso dal primo canale e da un maxischermo installato in Piazza dell'Indipendenza (il famoso Majdan Nežaleznosti). Il leader della rivoluzione arancione – grazie alla quale Kyiv nel 2004 ruppe finalmente con la sudditanza politica da Mosca – ha espresso parere positivo sui cinque anni di sua presidenza, promettendo di continuare il suo impegno politico affinché il Paese possa al più presto perfezionare una piena integrazione con l'occidente.
Difatti, nel programma di Juščenko è chiaramente indicato che "gli ucraini non devono perdere la speranza in un vicino ingresso nella NATO e nell'UE" sebbene, come dichiarato dallo stesso presidente, "la via per l'UE non è cosparsa di zucchero, ma di tanto carbone", sottolineando con tale metafora quanto duro sia ancora il percorso che Kyiv ha da percorrere nei prossimi anni. L'esempio da seguire, sempre stando a quanto dichiarato dall’attuale presidente, è quello dei paesi dell'Europa centrale che hanno a lungo combattuto per la propria libertà da Mosca e che sono entrati nella NATO, in primis Polonia, Romania, Ungheria e Slovacchia.

La discesa in campo di Juščenko è stata anticipata esattamente un mese prima da quella dell'attuale premier Julia Tymošenko, un tempo sua alleata nella già citata rivoluzione arancione (a seguito della quale Juščenko, eletto presidente, nominò la Tymošenko primo ministro). Sempre in Majdan Nezaležnosti ed in diretta sul primo canale televisivo statale, e sulla tv privata Kanal 5, alla presenza di circa 100 mila persone il partito Batkivščyna (Patria) ha lanciato pubblicamente la candidatura di Lady Ju (così è definita in Ucraina). La quale, dopo l’investitura ufficiale per acclamazione e l’appoggio pubblico annunciato dal palco dal primo presidente dell’ucraina libera Leonid Kravčuk e da altri volti noti della politica del Paese, ha tenuto un discorso fortemente improntato sui valori democratici e liberali della rivoluzione arancione, di cui si ritiene unica erede dopo il “tradimento” [secondo il suo punto di vista, n.d.a.] del presidente Juščenko, fortemente criticato per aver cercato di ostacolare i successi del suo governo imponendo continui veti.
Il programma della Tymošenko prevede anche aiuti agli strati sociali più svantaggiati, lotta alla corruzione e ai monopoli degli oligarchi – sopratutto dell'Ucraina orientale e filo russi – che ostacolano lo sviluppo del Paese, tuttavia senza contemplare alcuna chiara indicazione circa la legittima aspirazione occidentale che spetterebbe a Kyiv, finalmente libera dall'influenza russa dopo secoli di zarismo, comunismo e putinismo.

Pochi giorni prima era stato il turno dell'attuale leader dell'opposizione, già primo ministro dal 2005 al 2007, Vyktor Janukovyč. Supportato dal suo Partito delle Regioni (Partija Regioniv) ha rilanciato la corsa alla presidenza cinque anni dopo essere stato confitto per la medesima carica dal fronte arancione di Juščenko/Tymošenko nel 2004. Il suo programma elettorale prevede sulla carta l’integrazione del Paese all'occidente, ma de facto è noto a tutti il suo orientamento filo russo, volto a riagganciare Kyiv all'orbita di Mosca. Non a caso la sua candidatura è caldamente supportata dal duo Putin/Medvedev. Dal punto di vista interno, il candidato gradito al Cremlino promette aiuti agli oligarchi dell'est del paese ed ammortizzatori sociali per gli operai delle fabbriche, in particolare di quelli della regione del Donbass, dove il Partito delle Regioni ha la sua roccaforte elettorale.

Oltre ai tre sopra citati, quarto candidato è l'ex speaker della Verchovna Rada (parlamento) Arsenij Jacenjuk, a cui favore giocano la giovane età (35 anni) ed un programma improntato quasi in toto sulla lotta alla corruzione. Supportato dal Fronte del Cambiamento (Front Zmin, partito da lui fondato con altri fuoriusciti da Naša Ukraina), Jacenjuk ha tuttavia una visione di politica estera improntata al mantenimento di buoni rapporti con la Russia, a cui inevitabilmente sacrifica ogni forma di vocazione occidentale.

Secondo gli ultimi sondaggi, Janukovyč è dato in testa con circa il 30% dei consensi, incalzato dalla Tymošenko con il 20%. Seguono Jacenjuk con il 13 e, purtroppo, l'attuale presidente Juščenko con il 5. Successivamente, altri candidati minori con percentuali inferiori.
Alla luce di questi risultati, necessario sarebbe il secondo turno, in occasione del quale la Tymošenko e Juščenko potrebbero – e dovrebbero – accantonare i propri dissidi interni e ricreare un'alleanza arancione in grado di battere il favorito candidato filo russo e garantire all'Ucraina la speranza di un futuro di progresso e sviluppo, che Kyiv può raggiungere solo per mezzo di un avvicinamento a Bruxelles. E non a Mosca.

Matteo Cazzulani

martedì 17 novembre 2009

NASCE L’ESERCITO DELLE TRE NAZIONI. KYIV SI AVVICINA ALL’EUROPA

Una comune unità militare sarà creata dalle truppe polacche, lituane ed ucraine per fronteggiare missioni di pace nel mondo sotto l’egida UE, NATO e ONU. Così è stato dichiarato in una lettera di intenzione firmata nella giornata di lunedì 16 novembre presso il quartier generale NATO a Bruxelles dai ministri della difesa di Polonia, Lituania e Ucraina.

La nuova brigata avrà sede operativa a Lublino (Polonia sud-orientale) e sarà costituita da 4,5 mila uomini divisi in tre battaglioni che, pur stazionando ciascuno nel proprio Paese di provenienza, si incontreranno periodicamente per esercitazioni comuni a partire dal 2013. Denominazione ufficiale del corpo militare sarà LiPolUkrBrig, ma esso è gia stato ribattezzato “l’esercito delle Tre Nazioni” in quanto costituito da quei popoli che – assieme alla Bielorussia – per circa tre secoli dal 1569 al 1795 hanno vissuto uniti in una comune entità statale – la Rzeczpospolita Wielu Narodów (Repubblica delle Nazioni) – quasi totalmente ignorata dai benpensanti della Vecchia Europa, secondo cui il continente finisce ancora laddove venti anni fa sorgeva la cortina di ferro.

Più che di una rievocazione storica, la “brigata delle Tre Nazioni” rappresenta l’ennesimo, concreto progetto promosso da Varsavia e Vilna nell’ambito della politica di partenariato orientale, con la quale l’Europa intende avviare una intensa collaborazione con alcuni Stati dell’Europa Orientale (Bielorussia, Ucraina, Georgia, Armenia e Adzerbajdžan) in vista di una loro futura – quanto auspicata – integrazione. Simili iniziative precedenti furono nel 2001 il LiPolBat (battaglione lituano-polacco) ed il PolUkrBat (battaglione polacco-ucraino), che ancora oggi opera attivamente in Kosovo nella missione di pace ONU.

L’avvicinamento dell’esercito ucraino all’occidente è un’idea per rinvigorire l’ingresso di Kyiv nell’alleanza atlantica, obiettivo che il governo polacco di Donald Tusk, a forte vocazione liberale ed europeista, intende raggiungere possibilmente con politiche sotto l’egida UE.

“L’idea di una comune brigata piace a tutti i membri dell’alleanza. Persino quelli più scettici nei confronti di una pronta integrazione dell’Ucraina nella NATO non hanno ragione alcuna di opporsi al rafforzamento della nostra cooperazione in missioni di pace” ha dichiarato il vice ministro alla difesa polacco Stanisław Komorowski. Gli fa eco il capo della diplomazia ucraina Borys Tarasiuk dichiarando che “l’idea di una comune brigata è una ottima cosa in un periodo in cui la decisione sulla nostra [ucraina, n.d.a.] membership nella NATO è stata rinviata di qualche anno”.

Tuttavia, la partecipazione ucraina ad una comune unità militare assieme a due paesi NATO quali Polonia e Lituania, oltre alle croniche isterie di Mosca potrebbe raccogliere anche l’opposizione di alcuni Paesi della Vecchia Europa tradizionalmente filo russi e sordi dinnanzi alle legittime ragioni dei membri UE dell’Europa Centrale, fino a venti anni fa politicamente sottomessi alla Russia comunista. Inoltre, a Kyiv il clima di campagna elettorale in vista delle elezioni presidenziali del prossimo gennaio non aiuta lo sviluppo di un sereno dibattito, né coraggiose prese di posizione a favore da parte di candidati di peso. “Se presidente diventerà il filo russo Janukowyč la realizzazione del progetto potrà incontrare dei problemi nella sua realizzazione. Ma se a vincere sarà l’attuale premier Julia Tymošenko, allora continuerà”, spiega Borys Tarasiuk.

Affinché la brigata diventi realtà è necessario un accordo internazionale tra gli stati interessati che, alla luce di quanto appena illustrato, difficilmente sarà ratificato dall’Ucraina prima del termine elettorale di gennaio. Come dichiarato da alcuni diplomatici polacchi “coinvolgendo Kyiv nel progetto della brigata intendiamo spingere gli ucraini ad una riflessione sulla loro strategia a lungo termine. Sarebbe bene che per un attimo escano dalle logiche della campagna elettorale e pensino al loro futuro”.
Un auspicio del tutto condivisibile, affinché l’Ucraina oggi – ed una Bielorussia libera domani – possano ritornare nella loro vera famiglia politico-culturale d’origine, ovvero l’Europa. E non Mosca, con buona pace dei – tanti – filo putiniani dell’Europa Occidentale.

Matteo Cazzulani

SVEZIA E FINLANDIA DANNO IL VIA AL NORD STREAM

Cadute le ultime perplessità di Stoccolma ed Helsinki, che hanno siglato l’accordo per il transito del gasdotto di Gazprom che attraverso i fondali delle acque territoriali svedesi e finlandesi collegherà direttamente Russia e Germania, evitando i Paesi Baltici e la Polonia.

Nella giornata di giovedì 5 novembre 2009 il governo svedese ha dato il proprio via libera al transito del gasdotto settentrionale di Gazprom. A sorpresa, ed incoerentemente con quanto finora attuato, il ministro per l’ambiente di Stoccolma Andreas Calgren ha dichiarato che “il no svedese al passaggio del Nord Stream sarebbe contrario al diritto internazionale”. Peccato che solo pochi mesi fa era proprio questa stessa persona a guidare il fronte “ecologista” contrario alla installazione di un gasdotto sul fondale del Baltico, ove ancora si trovano residui bellici e relitti di navi affondate.

Il costo dell’opera ammonta a 8 miliardi di euro, che saranno versati dalle aziende che possiedono quote nel consorzio Nord Stream – con sede in Svizzera e il cui presidente è l’ex Cancelliere tedesco socialdemocratico Gerard Schroder, ora dipendente diretto di zar Putin – ovvero la russa Gazprom per il 51%, le tedesche E.ON e BASF per il 20, e per il resto alla olandese Gasunie e alla francese Suez-Gaz de France.

La vera vittima di questo progetto politico di cui il Cremlino si serve per colpire i propri avversari politici e per estendere la propria influenza sull’Europa è la Polonia, che risulta aggirata e che sarà costretta ad acquistare gas proveniente dall’orientale russa presso l’occidentale Germania. Un paradosso che va di pari passo con la firma dei nuovi accordi tra il colosso del gas polacco PGNiG e Gazprom per il rinnovo delle forniture di oro blu, in cui il monopolista moscovita ha imposto un aumento del prezzo senza promettere l’ampliamento del Jamal, il gasdotto che collega via terra la Russia alla Polonia. Il quale, alla luce del via libera al Nord Stream, risulta poco vantaggioso e meno importante per Mosca, che così costringe Varsavia a fronteggiare alti costi per il gas e a dipendere per intero dalle forniture russe via Germania.

Tale decisione ha suscitato la sorpresa delle autorità polacche. “Stiamo lavorando d un comunicato a riguardo” ha comunicato al quotidiano Gazeta Wyborcza Piotr Paszkowski del Ministero degli Affari Esteri. Che ha illustrato anche come la decisione svedese abbia un altissimo valore simbolico dal momento in cui questo Paese ora detiene la presidenza di turno dell’UE.

A poche ore dal via libera di Stoccolma è seguito anche quello di Helsinki. Due settimane prima anche la Danimarca aveva comunicato il proprio assenso. Ora il Nord Stream necessita soltanto della ratifica ufficiale di Germania e Russia, una pura formalità dal momento in cui questi due Paesi sono i reali costruttori del progetto.

Purtroppo, dopo il dietrofront della Svezia, Polonia, Estonia, Lettonia e Lituania non potranno più fare alcunché per bloccare il gasdotto, dal momento in cui il progetto del Cremlino non interessa le acque territoriali di questi Paesi, che coerentemente e coraggiosamente hanno condotto una giusta battaglia per il rafforzamento energetico dell’Europa, contro la dipendenza dei singoli 27 Paesi UE dall’autocratica Russia di Putin.

A pochissime ore dal patto Tusk-Sarkozy, con cui Polonia e Francia hanno pianificato la creazione di un esercito unico europeo, è davvero scoraggiante constatare come ancora una volta l’idea di Europa Unita sia letteralmente collassata dinnanzi all’attrattiva del gas di Putin, che ha portato nuovamente la Vecchia Europa ad abbandonare la Nuova Europa, disinteressandosi delle sue sorti. Davvero agghiacciante anche constatare come tale fatto accade a pochi giorni dal 9 novembre, ricorrenza del ventennale della caduta del Muro di Berlino. Una barriera che, a quanto mare, nelle menti dei politici dell’Europa Occidentale ancora esiste.

Matteo Cazzulani

venerdì 6 novembre 2009

PATTO TUSK-SARKOZY, NASCE L’UE MILITARE

L’iniziativa comune di Varsavia e Parigi per creare un esercito unico europeo è stata varata in via definitiva lo scorso mercoledì 4 novembre in occasione del vertice bilaterale tra Francia e Polonia. Così, Donald Tusk e Nicolas Sarkozy – rispettivamente premier del governo polacco e presidente della repubblica francese – hanno dato prova di reale europeismo.

Dopo la politica di partenariato orientale – intrapresa assieme alla Svezia – per migliorare il dialogo con alcuni paesi dell’Europa orientale (Ucraina, Bielorussia, Adzerbajdzan, Armenia e Georgia) e facilitarne l’integrazione nelle strutture UE, la Dichiarazione sulla Difesa Comune Europea è l’ennesima iniziativa di Varsavia per contribuire attivamente al consolidamento e al rafforzamento dell’Unione Europea. In questo caso, partner privilegiato è la Francia di Nicolas Sarkozy, con cui il premier Donald Tusk – autore di una politica apertamente filoeuropea in discontinuità col precedente governo del nazionalista Jarosław Kaczyński [gemello dell’attuale presidente, n.d.a.] – ha raggiunto un importantissimo accordo sui principi che tale dichiarazione dovrà contenere: la creazione di una Forza Comune di Reazione Immediata per le emergenze planetarie; una protezione civile europea per fronteggiare le calamità naturali; un comune sistema di difesa UE con proprio esercito e comuni armamenti.

Sottolineare l’altissimo valore di tale iniziativa è doveroso. Infatti, il superamento della dimensione nazionale anche per quanto riguarda l’esercito e la politica di difesa è una tappa obbligatoria per il proseguo dell’integrazione continentale, che superato lo scoglio del trattato di Lisbona sembra ora avere nuova linfa. Ed è altamente significativo che a compiere tale passo siano due Paesi spesso accusati di euroscetticismo e di scarsa collaborazione nelle strutture continentali.

In particolare, per Varsavia l’iniziativa politica in questione cade a poche settimane dalla definitiva rinuncia al progetto di difesa antimissilistica USA in Europa Centrale da parte dell’amministrazione Obama. Optando per la via europea in tandem con Parigi, la Polonia dimostra di voler perseguire con coerenza la propria vocazione europea e di contemplare nell’UE l’unica possibilità concreta ed attuabile di modernizzazione delle proprie strutture di difesa militari. Nel contempo, contribuisce concretamente al rafforzamento delle strutture continentali, accantonando ogni rivalità con uno dei Paesi tradizionalmente più ostili alla “Nuova Europa”, come dimostrato, ad esempio, in occasione dell’aggressione russa alla Georgia dell’agosto 2008 [Sarkozy, allora Presidente di turno UE, assunse una posizione chiaramente filorussa, ignorando le legittime preoccupazioni dell’Europa Centrale e dei Paesi Baltici dinnanzi alla rinata aggressività moscovita, ben nota in territori liberatisi dal comunismo solo venti anni or sono, n.d.a.].

Con tutta probabilità, il documento per la comune difesa europea sarà varato entro il secondo semestre del 2011, quando Varsavia assumerà la presidenza di turno UE. Esso avrà certamente carattere continentale, e prevedrà anche il rafforzamento della collaborazione con la NATO. Come illustrato dal ministro polacco per gli Affari Europei Mikołaj Dowgielewicz, “l’iniziativa franco-polacca non è affatto una minaccia per l’Alleanza Atlantica, ma riguarda il rafforzamento del fronte europeo, che naturalmente continuerà a lavorare attivamente in seno alla NATO”.

Come confermato da diverse fonti, a dare avvio alla stretta collaborazione con Parigi hanno concorso da un lato i colloqui dello scorso luglio tra il ministro degli esteri polacco Radosław Sikorski ed il suo omonimo francese Bernard Kouchner, e dall’altro la partecipazione di un contingente polacco alla missione militare europea in Ciad.

Presso il Ministero della Difesa polacco si parla espressamente di una “Nuova Saint-Malo” a undici anni dalla precedente dichiarazione franco-inglese, a cui purtroppo non è seguita alcuna iniziativa concreta. Nel dicembre 1998 presso la città della Normandia sopra citata, Jacques Chirac e Tony Blair siglarono un accordo per la costituzione di una difesa comune indipendente dalle strutture NATO, sancendo de facto il primo passo verso la creazione di un unico esercito europeo.

Oggi, la oramai certa vittoria in Gran Bretagna alle elezioni politiche del 2010 dei conservatori – contrari ad ogni progresso dell’integrazione europea – ha spinto la Francia a ricercare un nuovo, affidabile partner per la realizzazione dell’unione militare, trovandolo nella Polonia di Tusk e nella sua linea politica fortemente filoeuropea.

Si tratta della prima, vera iniziativa intrapresa comunemente da un Paese della Vecchia e della Nuova Europa dopo anni di sterili quanto controproducenti incomprensioni e divisioni. E’ questa l’unica via possibile da seguire affinché l’Europa possa finalmente esercitare il suo ruolo sullo scenario politico mondiale, agendo e parlando con una voce sola.
Con la speranza, sempre viva, che tale progresso abbatta ogni timore nei confronti di quelle autocrazie che ancor oggi si servono delle proprie risorse energetiche per minacciare la stabilità degli stati sovrani confinanti e per calpestare qualsiasi forma di libertà e di diritto della persona. Leggasi, ovviamente, la Russia di Putin.
Matteo Cazzulani