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E' USCITO IL MIO LIBRO "LA DEMOCRAZIA ARANCIONE. STORIA DELL'UCRAINA DALL'INDIPENDENZA ALLE PRESIDENZIALI 2010", LIBRIBIANCHI EDITORE. Parte dei proventi finanzia l'Associazione AnnaViva.

giovedì 9 settembre 2010

FUSIONE GAZPROM-NAFTOHAZ, FRENO DI AZAROV. VIA LIBERA AL NABUCCO


FOTO UNIAN. Kyiv cauta sul progetto di fusione tra i colossi del gas ucraino e russo, ed esorta Mosca a desistere sul SouthStream. Semaforo verde al Nabucco.

Partnership alla pari, sì. Fusione incondizionata, no. Secco, e sorprendente, è il messaggio lanciato dal primo ministro ucraino, Mykola Azarov, in merito al progetto di fusione tra il colosso energetico del suo Paese, Naftohaz, con quello russo, Gazprom. Un'idea, caldamente proposta dal premier russo, Vladimir Putin, la scorsa primavera, a Sochi, su cui Kyiv e Mosca hanno lavorato negli ultimi mesi. Nella giornata di mercoledì, 8 settembre, l'altolà di Azarov, espresso dal portavoce, Vitalij Luk'janenko: la fusione è un passo azzardato. Meglio una partnership molto stretta, purché, sempre, a pari condizioni.

Quella, seppur indiretta, di Azarov è una conferma di quanto precedentemente affermato dal ministro dell'energia, Jurij Bojko, che all'agenzia UNIAN ha scartato l'ipotesi di una fusione tra i due colossi in un supermonopolista, e ribadito che nell'operazione, realizzabile sia sotto forma di stretta partnership che di associazione, la parità di peso tra Kyiv e Mosca è condicio sine qua non per un buon esito delle trattative.

"Non preventiviamo - ha commentato all'agenzia UNIAN - la fusione tra Naftohaz e Gazprom. Sarebbe preferibile un'unione delle due compagnie. Per noi - ha continuato - fondamentale è modernizzare il sistema infrastrutturale energetico nazionale, ed ottenere prezzi più a buon mercato del gas. In base a queste richieste - ha concluso - elaboeremo una proposta a Mosca".

Le dichiarazioni di premier e ministro dell'energia ucraini arrivano l'indomani di quelle del capo di Gazprom, Oleksej Miller, secondo cui la parte russa non è affatto interessata ad un'impresa comune, né ad una semplice collaborazione. Altresì, essa mira ad una fusione tout court, per la quale è disposta a concedere a Naftohaz lo sfruttamento di un giacimento dalla portata - potenziale - di 1 trilione di metri cubi.

"Le due compagnie devono fondersi - ha sentenziato - la partnership e l'unione sono solo i primi passi verso la creazione di un supermonopolista. Quando parliamo di comune impresa lo facciamo intendendo una fusione".

Comune impresa, unione, partnership o fusione che sia, di strada Kyiv e Mosca ne hanno percorsa già molta. Successivamente al consiglio di Putin, nel maggio scorso, Bojko ha dichiarato la disponibilità, da parte ucraina, di mettere a disposizione del futuro supermonopolista il giacimento di gas del Mar Nero. E, sopratutto, possesso, e manutenzione, dei gasdotti ucraini. In cambio, lo scorso 27 giugno Miller ha messo a disposizione alcuni giacimenti del centro della Russia.

Tuttavia, lo stop di Azarov non convince gli esperti sulla reversibilità del progetto di fusione, dal momento in cui l'inverno è alle porte, e, per affrontarlo, Kyiv necessita di gas a buon mercato. Pertanto, il tempo giocherebbe a favore di Mosca, abile nel fissare le sue proposte nei tempi necessari. Opinione condivisa dal ministro-ombra dell'energia, Oleks Hudyma, che ha invitato a tenere conto di come, solo negli scorsi giorni, Naftohaz si sia indebitata con la banca russa BTB, cui capo del Consiglio di Amministrazione è lo stesso Vladimir Putin. 400 milioni di dollari USA l'entità del prestito, erogato, in tranche periodiche, fino al 2013.

"Naftohaz - ha illustrato l'esponente del Blocco Tymoshenko - ha già accantonato la dote per il matrimonio con Gazprom. Negli scorsi giorni sono stati messi sul piatto 700 milioni di dollari, 400 dei quali presi a credito dalla Russia. Presto arriverà l'inverno, ed il Cremlino è avantaggiato nell'imporre le sue condizioni, facendo leva sul prezzo del gas".

Forse è proprio in vista dell'arrivo del generale inverno che l'Ucraina ha cercato rinnovare le forniture di gas turkmeno. Come riportato dall'agenzia Rosbalt, nella giornata di Domenica, 5 settembre, una delegazione, capeggiata dal viceministro degli esteri, Viktor Majko, si è recata ad Ashgabat. Nessuna certezza dai colloqui, ma sono in molti tra gli esperti ad essere convinti che, questa volta, l'accordo sarà ben lungi dall'essere raggiunto. Tra gli altri, Volodymyr Saprykin.

Da un lato, il Direttore dei programmi energetici del Centro Razumkov ha riconosciuto che il peggioramento delle relazioni russo-turkmene - sopratutto a seguito dell'incidente, di cui sarebbe responsabile Mosca, di una conduttura deputata all'esportazione del gas di Ashgabat all'Europa - apre gli spazi per un nuovo accordo con Kyiv. Ma, dall'altro, ha evidenziato che, qualora ne fosse rinnovata l'esportazione all'Ucraina, l'oro blu turkmeno giocoforza dovrebbe transitare per il territorio russo. Una prospettiva che Mosca, esclusa dall'affare, ed interessata a rifornire Kyiv di proprio combustibile, difficilmente permetterà.

"Bisogna comprendere - riporta la nota di Saprykin - che la fornitura di gas non è una questione solamente economica. Bensì geopolitica. E da questo punto di vista, Mosca non permette il transito di gas che non controlla attraverso il suo territorio. E ciò, sebbene oggi i rapporti con Kyiv siano nettamente migliori. Per Mosca, il gas turkmeno vale molto di più rispetto alle relazioni con l'Ucraina. Dunque, escludo un accordo con Ashgabat".

Lecito ricordare che il gas turkmeno, meno caro di quello russo, è sempre stato ambito da Kyiv. Già nel 2001, l'allora vicepremier con delega agli affari energetici, Julija Tymoshenko, riuscì ad assicurarsi, per quindici anni, una fornitura costante di oro blu turkmeno. Un successo politico della Lady di Ferro ucraina. Purtroppo, reso vano dall'ex-presidente, Viktor Jushchenko, che, nell'inverno 2006, dinnanzi all'interruzione delle forniture di Mosca, accettò la creazione di RosUkrEnergo: una joint venture russo-ucraina, compartecipata da Gazprom e Naftohaz, registrata in Svizzera, incaricata di vendere tale gas a Kyiv. De facto, l'Ucraina fu costretta a cedere all'intermediaro il monopolio dell'importazione del gas turkmeno, diminuendone la convenienza per il proprio bilancio.

All'incontro di Ashgabat, il Cremlino ha risposto prontamente. L'ambasciatore della Federazione Russa in Ucraina, Mikhail Zurabov, ha annunciato l'imminente visita del primo ministro russo, Vladimir Putin, per rinnovare gli accordi sulle forniture di gas. Il diplomatico ha sottolineato come a Mosca sia ben chiaro il bisogno che a riguardo ha la parte ucraina. Per questa ragione, Putin è intenzionato ad intavolare la discussione già nelle prossime settimane, senza aspettare la settima sessione della Commissione per la Cooperazione Economica russo-ucraina, prevista per il prossimo 26 ottobre.

"L'incontro - ha dichiarato - si farà. Le consultazioni dureranno per il seguente mese e mezzo. Inoltre - ha continuato - per un migliore accordo sul gas, che soddisfi la parte ucraina, riteniamo utile che Kyiv si integri maggiormente in quelle strutture internazionali appositamente create. In particolare, nell'Unione Doganale con Bielorussia, Kazakhstan e Russia, e nel sistema di collaborazione euroasiatica. Accanto a ciò, il processo di stretta collaborazione tra Mosca e Kyiv, in diversi settori, deve continuare".

Uno degli ambiti è quello dell'energia nucleare. Già nel maggio scorso, il primo ministro ucraino, Mykola Azarov, ha dichiarato di aver raggiunto un'intesa con Mosca per la comune costruzione di una centrale nel proprio Paese. Successivamente, il 21 giugno, è stato indetto un bando per l'assegnazione della partnership. Vinto, martedì 7 settembre, dal consorzio statale russo TVEL. A renderlo noto a Radio Liberty, Svitlana Merkylova, rappresentante in Ucraina della compagnia americana Westinghouse. L'unica, assieme ai russi, ad aver preso parte al concorso.

"Abbiamo ricevuto una comunicazione - ha spiegato laconicamente - in cui, ringraziandoci per la partecipazione, ci è stato notificato che la commissione giudicatrice ha assegnato il bando a TVEL".

Per Mosca non è finita qui. Nella giornata di lunedì, 6 settembre, alcune banche internazionali hanno dato il via libera al Nabucco: gasdotto euroamericano, progettato per trasportare gas centroasiatico direttamente nel Vecchio Continente, bypassando il territorio russo. Il semaforo verde, l'erogazione di prestiti al consorzio incaricato di construire la conduttura, di cui fanno parte la compagnia tedesca RWE, la bulgara Bulgargaz, l'ungherese MOL, la rumena Transgaz, la turca Botas e l'austriaca OMV.

Secondo quanto riportato dall'agenzia Bloomberg, e confermato da quella russa Lenta.ru, la Banca Europea degli Investimenti si è impegnata per 2 miliardi di euro, quella per lo Sviluppo e la Ricostruzione per 1,2, e la Banca Mondiale per 800 milioni. I restanti 8 miliardi, infine, saranno erogati dal bilancio del consorzio e da investitori privati. I lavori per la conduttura inizieranno nel gennaio 2011, con lo scopo di renderla operativa dal 2014. La portata del Nabucco, inizialmente fissata a 17 miliardi di metri cubi annui, è stata innalzata a 31 miliardi.

L'infrastruttura in questione è concorrente al SouthStream: conduttura, di progettazione russo-italiana, ideata, su un simile itinerario, per bypassare Paesi agli occhi del Cremlino instabili, come Ucraina, Moldova e Romania. Essa, dal 2015, trasporterà oro blu dalla Russia all'Italia, attraverso il fondale del Mar Nero, Grecia e Paesi Balcanici. Oltre a Gazprom ed ENI, alla realizzazione di quello che è stato battezzato "gasdotto ortodosso" partecipano la francese Suez Gaz de France, la già citata tedesca RWE, la serba Srbtransgas, la bulgara Bulgaria Energy Holding e la greca DEFSA.

Il progetto, la cui presidenza è stata offerta a più riprese all'ex premier italiano, Romano Prodi - sul modello di quanto avanzato, ed accettato, per il NordStream all'ex cancelliere tedesco, il socialdemocratico Gerard Schroder, oggi dipendente di Putin - è contrastato da Kyiv, che rischia l'isolamento. Per far desistere i russi dalla realizzazione del Southstream, l'Ucraina, dapprima, ha proposto la condivisione del proprio sistema infrastrutturale energetico. Successivamente, avanzato dubbi di carattere ecologico, sostenendo che la posa delle tubature potrebbe seriamente comprometere l'ecosistema del Mar Nero.

A ribadire, di recente, tale obiezione, il ministro degli esteri ucraino, Kostjantyn Hryshchenko, a Londra per una visita di lavoro. Come riportato dall'agenzia tedesca Deutsche Welle, il capo della diplomazia di Kyiv avrebbe esortato Mosca ad abbandonare un progetto a lei politicamente sconveniente. Nonché, ad alto impatto ambientale. Ciò nonostante, difficilmente la parte russa rinuncerà al gasdotto ortodosso. Il quale consentirà a Mosca di insturare un collegamento diretto con gli stretti alleati della parte occidentale del Vecchio Continente, assetati di gas e bisognosi dell'oro blu sulla cui esportazione Gazprom detiene il monopolio. Una dipendenza che, troppo spesso, condiziona la condotta della Vecchia Europa, sia sul piano energetico che, purtroppo, geopolitico.

Matteo Cazzulani

mercoledì 8 settembre 2010

UCRAINA, RIAPRONO I LAVORI ALLA RADA. E' SUBITO BAGARRE. CRONACA DELLA GIORNATA.





FOTO UNIAN.Un'Opposizione Democratica, sempre più divisa, protesta dentro e fuori il parlamento contro la politica fiscale del governo. Respinti quattro emendamenti. La Tymoshenko invita al voto amministrativo per sfiduciare Janukovych. Pavlychko: "frammentati non si vince".

Sessione nuova, vecchie diatribe. La campanella di inizio anno è suonata anche per la politica ucraina. Martedi, 7 settembre, esattamente una settimana dopo quella che ha richiamato nelle scuole del Paese allievi e scolari. I quali, di sicuro, hanno celebrato il ritorno tra i banchi in maniera meno spumeggiante di quanto fatto dai parlamentari, autori di una giornata surreale, politicamente agitata e, purtroppo, tragicomica.

Tutto ha inizio alle ore 9 locali, con l'inaugurazione ufficiale della nuova sessione, la settima: fino al 14 gennaio, dieci settimane di riunioni plenarie, cinque di lavori nelle commissioni, quattro di campagna elettorale per le consultazioni locali, e dieci ore di question time. Un'occasione solenne, a cui, oltre ai 399 deputati registrati, hanno presenziato il presidente, Viktor Janukovych, l'intero Consiglio dei Ministri, il Capo della Corte Suprema, Vasyl' Onopenko, quello del Tribunale Amministrativo, Oleksandr Pasenjuk, ed i direttori della Banca Nazionale Ucraina, del Comitato Nazionale Antitrust, del Consiglio Superiore di Giustizia e del Fondo del Demanio.

Fin dalla mattina, i parlamentari del Partija Rehioniv - la forza politica, egemone nel Paese, a cui appartengono Capo dello Stato, premier ed il resto dei titolari dei dicasteri - hanno circondato la tribuna centrale, per evitare che i lavori, come preannunciato, venissero bloccati dall'Opposizione, sui cui scranni sono stati issati otto striscioni contro l'operato del governo in materia fiscale ed energetica, e, sopratutto, di condanna della decisione di innalzare le imposte per gas e servizi comunali. "Prezzi instabili, innalzamento dell'età pensionabile, incremento delle tasse sono genocidio fiscale per gli Ucraini", il loro contenuto. "Ucraina senza la gente" un altro, scimmiottando lo slogan elettorale con cui le elezioni presidenziali sono state vinte da Janukovych.

Ed è stato proprio il Capo dello Stato ad aprire i lavori. Lo ha fatto con un discorso pacato, equilibrato, persino superpartes, con cui ha invitato il parlamento ad approvare leggi per il bene del Paese, ed espresso la speranza che tutti i deputati, di maggioranza e di opposizione, siano autori di un lavoro costruttivo.

"La gente - ha dichiarato dalla sua postazione, alla sinistra dello speaker - si aspetta provvedimenti utili per il bene delle regioni del Paese. Da parte mia, non ci saranno discriminazioni. Tutti i parlamentari sono uguali, per me l'appartenenzaalla coalizione [maggioranza, n.d.a.] o all'opposizione non ha importanza. Bisogna lavorare insieme".

Anche il Presidente del Parlamento, Volodymyr Lytvyn, ha fatto proprio lo spirito di concordia. Annunciato l'ordine del giorno, con la messa ai voti di nuovo codice fiscale e moratorie all'innalzamento delle tasse, proposte dall'Opposizione, ha dichiarato la propria soddisfazione dinnanzi all'esito della riunione dei capigruppo. In cui, precedentemente, in cambio dell'inserimento nell'odg dei propri emendamenti, gli esponenti del Blocco Tymoshenko e di Nasha Ukrajina-Narodna Samooborona hanno rinunciato al blocco dei lavori.

Una pax fragile, difficilmente raggiunta, e prontamente rotta. Ad aprire il fuoco, il primo ministro, Mykola Azarov, che con un discorso al vetriolo ha colto l'occasione per accusare l'Opposizione di destabilizzare il Paese, e gettato sul precedente governo Tymoshenko l'intera responsabilità della crisi finanziaria in cui versa l'Ucraina.

"La così detta opposizione - ha tuonato - ha lasciato debiti astronomici, e continua a destabilizzare il Paese. Dovrebbe vergognarsi di aver sfiorato la bancarotta, e di avere trascinato lo Stato al marasma. Ciò nonostante, il governo continuerà a lavorare per la stabilità economica e politica".

Parole pesanti, sopratutto se pronunciate da un primo ministro. Per giunta, in un'occasione ufficiale. I deputati dell'Opposizione si sono recati verso la tribuna per bloccare i lavori, e, come effettuato da Oleh Ljashko, del Blocco Tymoshenko, denunciare al microfono l'ennesima intimidazione verbale del Partija Rehioniv ai danni di esponenti del BJuT. Pronta la reazione dei parlamentari della maggioranza, a loro volta accorsi verso il centro dell'aula. E' bagarre, e Lytvyn è costretto al time-out. Ma non c'è pace.

Terminata la pausa, viene votata la cancellazione del vecchio Codice fiscale. Una procedura necessaria per approvare quello nuovo, elaborato dal Partija Rehioniv. Successivamente all'incremento della bolletta del gas per la popolazione del 50%, deciso arbitrariamene lo scorso primo di agosto, la nuova versione prevede un incremento delle tasse sui beni immobili, e sulle attività della piccola e media impresa. 251 i favorevoli: maggioranza compatta - Partija Rehioniv, Blocco Lytvyn e comunisti.

Il vice speaker, Mykola Tomenko, del Blocco Tymoshenko, ha preso parola e accusato la maggioranza di nuocere alla ripresa economica, in quanto il codice annullato garantiva agevolazioni fiscali per la piccola imprenditoria, indispensabili per la ripresa del Paese. E, purtroppo, eliminate dal nuovo documento. Ancora bagarre. Lytvyn, dopo aver posticipato la votazione sul nuovo Codice Fiscale nelle prossime sedute, ha convocato l'ennesima pausa.

Ancora una ripresa, ennesima votazione. E nuova baruffa. Questa volta, la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata l'annullamento delle moratorie all'innalzamento del costo del gas e dei servizi comunali. Presentate, in quattro mozioni distinte, da Opposizione e comunisti. Ad avere maggiore successo, la Kompartija, con 200 voti a favore della sua proposta su 421. A sostegno di quella del Blocco Tymoshenko, presentata da Oleh Ljashko, invece, 176. Due voti in meno, 174, per quelle di Nasha Ukrajina, presentate da Jurij Karmazin e Roman Zvarych. Un'operazione irregolare, a cui non tutti i deputati della maggioranza hanno preso parte fisicamente. Per questa ragione, Ljashko ne ha richiesto la ripetizione.

Al nuovo stop è seguita l'ennesima vittoria della maggioranza, con la concessione del permesso al consiglio comunale di Kyiv di indire un referendum per l'eliminazione dei consigli territoriali interni alla città. Un'idea del sindaco della capitale, Leonid Chernovec'kyj, per aumentare il proprio controllo su un territorio - come confermato dagli ultimi sondaggi - a lui diventato politicamente ostico. Doveroso sottolineare che nelle ultime presidenziali Chernovec'kyj ha supportato Janukovych, al punto da non spargere il sale per le strade ghiacciate della capitale, e, così, disincentivare il voto in favore di Julija Tymoshenko. Per questa ragione, il Partija Rehioniv ha suppotato la richiesta, presentandola alla Rada. Ancora una volta, la maggioranza è compatta: 245 i favorevoli.

Questa volta, nessuna bagarre. Anche perché la vera mobilitazione è fuori dall'edificio della Rada, dove il Comitato per la Difesa dell'Ucraina ha chiamato a raccolta la popolazione per protestare contro il rincaro delle imposte del gas e dei servizi comunali, decisi dal governo nonostante da Mosca sia stato ottenuto uno sconto sul prezzo di importazione dell'oro blu. Lecito ricordare, a caro prezzo politico e militare: Kyiv ha dovuto rinnovare la permanenza dell'esercito russo in Crimea fino al 2042, ed accettare la fusione di gioielli dell'economia nazionale con monopolisti russi nel campo dell'energia atomica, idroelettrica e della costruzione di aerei civili.

Secondo fonti ufficiali, al presidio sono accorsi in 10 mila. Non solo militanti di Bat'kivshchyna - il partito di Julija Tymoshenko - e di Svoboda, ma anche privati cittadini, indignati dalla politica della verticale del potere Janukovych-Azarov. A poca distanza, 2 mila sostenitori del Partija Rehioniv. Come dimostrato da interviste rilasciate al 5 Kanal, solo i più anziani di essi si sono dimostrati consapevoli del perché delle loro ragioni. I più giovani, invece - studenti sfaccendati o disoccupati delle regioni orientali del Paese - hanno ammesso di essere stati invogliati dalla prospettiva di una gita nella capitale, con vitto garantito.

Dal palco della mobilitazione dell'Opposizione Democratica, la leader, Julija Tymoshenko, ha invitato tutti gli ucraini a concretizzare la propria scontentezza recandosi alle urne il prossimo 31 ottobre, per punire il Partija Rehioniv alle prossime elezioni comunali. Inoltre, ha dichiarato la volontà di proseguire in sede parlamentare la battaglia per l'abolizione dell'incremento delle tasse ai danni della popolazione e della piccola e media impresa. Infine, ha richiesto ufficialmente le dimissioni del Capo dei Servizi segreti, Valerji Khoroshovs'kyj, e del ministro dell'istruzione, Dmytro Tabachnyk. Accusati, il primo, di uso politico di milicija e magistratura. E, il secondo, di ucrainofobia.

"Richiederemo costantemente le dimissioni di Tabachnyk - ha dichiarato la Lady di Ferro ucraina - autore di una politica antiucraina. Ricordiamo di quando, contrario all'Indipendenza, ha bruciato la nostra bandiera nazionale. Richederemo anche quelle di Khoroshovs'kyj - ha continuato. Il Partija Rehioniv necessita di una investitura da parte degli ucraini. Qualora il prossimo 31 ottobre vincessero le elezioni locali, si sentirebbero legittimati a continuare nella loro politica, lesiva degli interessi nazionali. Per questo - ha affermato - invito tutti voi a recarvi alle urne. Le amministrative- ha concluso - sono la nostra prima difesa".

Prima difesa a cui ha chiamato anche il leader di Narodna Samooborona, l'ex ministro degli Interni, Jurij Lucenko, che ha invitato tutti coloro che hanno l'Ucraina nel cuore a sostenere Bat'kivshchyna - il partito della Tymoshenko - per lanciare un forte segnale a Janukovych. Di segno oposto, invece, il pensiero del coordinatore del Comitato per la Difesa dell'Ucraina, Dmytro Pavlychko. L'oppositore di vecchio corso, attivo già sotto il regime sovietico, ha ipotizzato una sconfitta dell'Opposizione alle prossime consultazioni, dal momento in cui, allo stato attuale, essa è divisa da dissidi intestini.

"Dove sono Jacenjuk, Kyrylenko e Hrycenko - ha esclamato, riferendosi ad altri leader di spicco dell'Opposizione a Janukovych - Se non capiamo che dobbiamo restare uniti, queste elezioni sono perse. Dobbiamo unirci, per il bene del nostro Paese. La nostra forza è il Majdan. Lì, nel 2004, abbiamo dimostrato [con la rivoluzione arancione, n.d.a.] che possiamo vincere. Ma solamente se combattiamo insieme, uniti".

Parole sagge, dettate dall'esperienza di chi, nella sua storia, di battaglie per l'Ucraina e la libertà ne ha combattute molte. Forse, anche per questo, persino profetiche. Difatti, nella serata, l'ennesimo strappo. Con una nota, Svoboda ha espresso indignazione per l'assenza, sul palco della manifestazione, del proprio leader, Oleh Tjahnybok, e della presidente della regione di Ternopil', Oleksija Kajdy, e promesso ripercussioni politiche. Sebbene a rappresentare la forza politica ci fosse Irina Farion, lo strappo è stato consumato. E, purtroppo, l'Opposzione Democratica è ancora più frammentata.

Una divisione che indebolisce. Sempre nella serata, l'ennesima tegola, che chiude una giornata campale della politica ucraina. Il vice capo di Bat'kivshchyna, consigliere di Julija Tymoshenko, Oleksandr Turchynov, è stato convocato dai servizi segreti per un interrogatorio. A comunicarlo, una nota del Blocco Tymoshenko. Che, oltre a porre l'accento sulla mancata trasmissione delle ragioni della convocazione dell'ex vice premier, ha espresso forte preoccupazione per quella che ritiene l'ennesima operazione giudiziaria contro un esponente dell'entourage della Lady di Ferro ucraina.

"Ricordiamo - riportala nota del BJuT - che in prigione sono finiti già l'ex vice capo di Naftohaz [il colosso ucraino del gas, n.d.a.] Ihor Didenko, l'ex capo del controllo Statale di frontiera, Anatolij Makarenko, e l'ex minostro degli esteri, Bohdan Danylyshyn".

Matteo Cazzulani

lunedì 6 settembre 2010

MOLDOVA, FALLISCE IL REFERENDUM. CHISINAU RESTA UNA REPUBBLICA PARLAMENTARE.


Al referendum per la modifica dell'articolo 78 della Costituzione vota solo il 30%. Nessuna elezione diretta del presidente, come proposto dalle forze della coalizione di governo per superare la crisi politica. Venti di guerra in seno al campo democratico. Esultano i comunisti, favorevoli all'astensione.

Una vittoria politica dei comunisti, ottenuta con l'arma democraticamente più fastidiosa: l'astensione. Questo, in sintesi, quanto accaduto in Moldova, Domenica, 5 settembre, in occasione del referendum nazionale indetto per introdurre l'elezione diretta del Capo dello Stato, e trasformare il Paese in una repubblica presidenziale. Il quorum necessario, il 33,3% degli aventi diritto, non è stato raggiunto. L'affluenza si è arrestata al 30%.

Un'occasione sprecata, dal momento in cui il refendum poteva risolvere una situazione politica di instabilità, proprio con il più democratico degli strumenti. Una spiegazione, ribadita per tutta la campagna elettorale dai partiti della coalizione di governo "Alleanza per l'Integrazione Europea" - il Partito LiberalDemocratico di Moldova, PLDM, il Partito Democratico di Moldova, PDM, il Partito Liberale, PL, e l'Alleanza "Moldova Noastra" - che, a quanto pare, non ha convinto i moldavi. Forse, come rilevato da diversi analisti, anche a causa della litigiosità tra gli esponenti della maggioranza, che hanno preferito spendere tutte le energie sulla ricerca del candidato da presentare alle presidenziali, già fissate, prima ancora di Domenica, per novembre.

Un'autogol, per cui esultano solo i comunisti, che hanno invitato i moldavi a boicottare una consultazione elettorale bollata come inutile e pretesto per indire nuove elezioni. Soddisfazione è stata espressa dal leader, l'ex presidente, Vladimir Voronin, e da diversi membri del partito. Jurije Muntjan ha parlato di fallimento del tentativo di usurpare il potere da parte della maggioranza, mentre una sua collega, la deputata, Maria Postojko, si è felicitata per il mancato raggiungimento del quorum in quello che ha definito uno show antidemocratico.

Eppure, questo show antidemocratico era davvero necessario. Infatti, la coalizione di governo ha proposto il ripristino dell'elezione diretta della Prima Carica dello Stato - in vigore fino al 2000 - dopo che per due volte in un anno e mezzo il parlamento non è riuscito ad scegliere il presidente. In merito, chiaro è stato lo speaker del parlamento, Mihai Ghimpu, leader del Partito Liberale e, sopratutto, Capo dello Stato ad interim, fino alla risoluzione della crisi.

"I moldavi - ha dichiarato alla vigilia del referendum - hanno il diritto di andare alle urne, e votare sì al refendum. Occorre riappropriarsi di quel diritto, democratico, di eleggere direttamente il presidente che si vuole, toltoci dai comunisti nel 2000. Qualora il quorum non fosse raggiunto, la crisi politica continuerà".

Alla base dello stallo politico, l'estrema frammentarietà dell'"Alleanza per l'Intergrazione Europea", al potere dalla primavera del 2009. Allora, dopo le ennesime elezioni falsate dai comunisti, proteste nonviolente sotto il palazzo presidenziale dei democratici moldavi - altrimenti note cone Rivoluzione Twitter - portarono alle dimissioni di Voronin, al tempo Capo di Stato. L'ultima rivoluzione colorata nell'Europa centro-orientale, con cui i democratici moldavi - pacificamente armati di bandiere nazionali, romene e dell'Unione Europea - in nome della Democrazia, delle libertà, e dell'integrazione con l'Occidente rovesciarono l'ennesima autocrazia di eredità sovietica.

Ciò nonostante, la maggior parte della responsabilità della dell'empasse, che ingessa il Paese, ricade proprio sui comunisti. Essi, seppure all'opposizione, sono il gruppo parlamentare con più deputati, 48 su 101. Facile, per loro, dapprima restare compatti, ed aprofittare delle divisioni interne alla maggioranza su ogni questione. E, successivamente, sfruttare la crescente sfiducia dei moldavi nella politica, per boicottare un referendum osteggiato persino in sede internazionale, con la vana presentazione di un ricorso presso la Commissione Europea.

In molti tra gli esperti hanno sottolineato come la condotta dei comunisti sia dettata anche dal fatto di trovarsi senza un leader: a Voronin, per due volte Capo dello Stato, la legge vieta di correre per un terzo mandato. Preso dalla carica ricoperta, l'ex Capo dello Stato non è stato in grado di individuare, ed allevare, un suo erede. Ed oggi, i comunisti si trovano con tanti colonnelli, ma nessuna figura di riferimento.

Leader che, invece, abbondano nel campo della maggioranza democratica. E che, fallito il referendum, già affilano i coltelli in vista delle prossime parlamentari. Sulla loro data, ancora nessuna uficialità. Ma in molti sostengono che una soluzione dello scontro intestino alla coalizione di governo sia questione di poco tempo. A contendersi la leadership dell'"Alleanza per l'Integrazione Europea", l'attuale premier, il leader del Partito Liberal-Democratico, Vlad Filat, ed il capo del Partito Democratico, Marian Lupu. Il primo, impegnato nella rincorsa dei voti di centro, sostenitore dell'integrazione con NATO ed UE, e, con una consolidata partnership con l'ALDE, già ben integrato nelle strutture partitiche del Vecchio Continente. Il secondo, invece, inserito nell'internazionale socialista, e maggiormente attento alle buone relazioni con Mosca. Complice, la collaborazione con "Russia Unita", la forza politica del primo ministro russo, Vladimir Putin.

Ad essi, si aggiungono il già citato Mihai Ghimpu, ed il presidente di "Moldova Noastra", Serafim Urechean. Un raggruppamento di personalità, alleate e concorrenti, che, se da una lato certifica il progresso del sistema partitico moldavo, dall'altro ricorda Paesi similmente liberatisi da autocrazie post-sovietiche, come l'Ucraina. Resta la speranza che, diversamente da Kyiv, tale competizione non prevalga sull'interesse della nazione. E, in nome di personalismi ed invidie, non porti lo schieramento democratico a rompersi, ed a sacrificare la legittima volontà del popolo moldavo, per cui esso è oggi al potere: l'ingresso nell'Unione Europea, dopo anni di sofferenze, e sottomissione al Cremlino.

Matteo Cazzulani

domenica 5 settembre 2010

AZERBAJDZHAN, MOSCA IMPONE LA PAX GASATA

Il Cremlino sempre più presente nello scacchiere caucasico. Dopo i missili in Armenia, colloqui con Baku per la tregua militare con Jerevan. E per l'egemonia energetica nella regione.

Un casco blu ed una penna, calda al punto giusto per firme importanti. Di sicuro, Dmitrij Medvedev non avrà scordato di riporli nella sua valigia, destinazione Baku. Nella giornata di giovedì, 2 settembre, il Presidente della Federazione Russa si è recato in Azerbajdzhan, in visita presso il suo collega, Il'kham Alijev. Scopo dell'incontro, almeno ufficialmente, la risoluzione del contrasto militare con l'Armenia, ripreso negli ultimi mesi.

Lo scorso giugno, un violento scambio di fuoco aveva rotto una delicata tregua, raggiunta solo pochi giorni prima. Successivamente, il 31 agosto, gli ennesimi scontri armati tra soldati di Baku e Jerevan, nel caldo teatro del Nagorno-Karabakh. La regione, contesa nell'omonima guerra tra il 1987 ed il 1994, dopo avere ottenuto con le armi l'indipendenza dall'Azerbajdzhan, e si è dichiarata repubblica autonoma. Una situazione, tuttavia, mai risolta: in pochi hanno riconosciuto lo status della neonata realtà geopolitica, costantemente rivendicata, nelle parole e nei fatti, dai due Paesi contendenti.

L'inquilino del Cremlino, che si è sempre presentato come arbitro della discordia, ha ascoltato Alijev, registrato le sue ragioni, ed invitato a riaprire il dialogo con Jerevan. Il tutto, nonostante poche settimane fa lo stesso Medvedev abbia ratificato con l'Armenia un accordo che prolunga la permanenza dell'esercito russo nel Paese fino al 2044. Una decisione accolta con preoccupazione da Baku, timorosa di un possibile inserimento di Mosca in aiuto del suo storico alleato.

Ma non solo armi. Il casco blu della regione - che Mosca ritiene propria sfera di influenza - ha sollevato anche questioni di diversa natura. Dapprima, economico-agricole, con un generico piano di collaborazione internazionale nel bacino del Caspio, per sfruttarne le risorse idriche. In seguito, secondo indiscrezioni, energetiche. Difatti, i due avrebbero raggiunto un accordo che garantisce a Gazprom - il monopolista russo del gas - l'esclusiva sullo sfruttmanto dei giacimenti azeri.

Un colpo grosso. Che, da un lato, rafforza la presenza di Mosca nell'area, e ne certifica il monopolio nell'esportazione di oro blu all'Europa. Dall'altro, sottrae Baku dalla lista dei Paesi sostenitori del Nabucco: gasdotto, di progettazione euroamericana, che trasportando oro blu centroasiatico nel Vecchio Continente aggirando il territorio russo, ha lo scopo di allentare la dipendenza UE dal Cremlino. Il quale, come noto, spesso si avvale dell'arma energetica per mutare in proprio favore gli equilibri geopolitici.

Sulle reali intenzioni di Medvedev sono in pochi tra gli esperti azeri ad avere dubbi. Il politologo Rasim Musabajov ha sottolineato come la visita del presidente russo, inizialmente prevista per la fine del mese, sia stata anticipata di diversi giorni. Casualmente, alla vigilia dell'incontro tra Alijev ed il presidente USA. Un messaggio ben chiaro, affinché Obama, già poco determinato nei confronti della Russia, non interferisca negli interessi di Mosca nell'area, ed eviti ogni stretta relazione con Baku.

Più chiaro l'ex consigliere del presidente per la politica estera, Vafa Guluzala. "Credo - ha dichiarato a Radio Liberty - che dietro ai recenti episodi nel Nagorno-Karabakh ci sia il ministero della difesa russo. E' per suo preciso ordine che gli armeni hanno di nuovo aperto le ostilità. E' possibile, che lo abbia fatto per esercitare pressione sulla parte azera. Costringendola, in cambio dell'ennesima tregua, ad accettare i missili del Cremlino a Jerevan, e a soddisfare le richieste energetiche di Mosca".

Matteo Cazzulani

sabato 4 settembre 2010

LAVROV A VARSAVIA RIAVVIVA IL DIALOGO RUSSO-POLACCO


Il ministro degli esteri russo incontra Sikorski e diplomatici polacchi. "Basta contrasti, collaboriamo e miglioriamo le nostre economie". Contrariata l'opposizione: "Varsavia torni alla sua storica vocazione, più Minsk e Kyiv, meno Mosca".

L'ennesima riconciliazione, con lo sguardo al 2011. Nella giornata di giovedi, 3 settembre, a Varsavia ha avuto luogo un incontro tra i ministri degli esteri polacco, Radoslaw Sikorski, e russo, Sergej Lavrov, invitato d'eccezione alla riunione annuale dei diplomatici di tutto il Paese. Scopo del forum, la preparazione al secondo semestre 2011. Quando la Polonia, per la prima volta nella sua storia, deterrà la presidenza di turno UE. Un'occasione che Varsavia intende consacrare al miglioramento delle relazioni con Mosca, dopo anni di incomprensioni e contrasti, provocati da ragioni storiche ed energetiche.

Una ventata di tale concordia la si è potuta respirare al meeting tra Lavrov e Sikorski. I quali, in una nota congiunta, hanno dichiarato la necessità di migliorare i rapporti tra i due Paesi, sull'onda di quanto avvenuto negli ultimi mesi. Complici, i rinnovati accordi sul gas, e la cooperazione per chiarire la dinamica della tragedia di Smolensk: l'incidente aereo in cui, il 10 aprile scorso, hanno perso la vita il presidente, Lech Kaczynski, e le altre maggiori cariche dello Stato. Inoltre, i due hanno parlato di concreti progetti comuni per il futuro, quali modernizzazione delle economie, nuove infrastrutture energetiche, ed impegno comune per chiudere, in definitiva, le ferite del passato. In primis, la strage di Katyn - in cui, nel 1940, l'NKVD sterminò il fiore della intellighenzia polacca, rea di essere il meglio di un Paese che, secondo i piani di Stalin, avrebbe dovuto essere sottomesso all'URSS.

Nel corso della conferenza stampa, Lavrov ha spiegato di rapportarsi con Varsavia non solo per dialogare con essa, bensì per interagire con tutta l'Unione Europea, con cui il Cremlino ha pieno interesse ad instaurare serene relazioni. Per questa ragione, ha espresso piena soddisfazione per il nuovo corso della politica estera di Polonia e Repubblica Ceca, meno aggressive nei confronti di Mosca, e maggiormente consapevoli delle loro responsabilità in seno all'UE. Secondo il capo della diplomazia del Cremlino, i due Paesi - pronti, solo qualche anno fa, ad accogliere gli elementi dello scudo spaziale USA per difendersi da possibili aggressioni russe - avrebbero compreso che litigare con Mosca è controproducente.

"Le nostre relazioni - ha evidenziato - sono notevolente migliorate. Credo che la motivazione non sia legata solo alla tragedia di Smolensk, ma ad un vero e proprio riavvicinamento tra i nostri due popoli, ed alla reciproca volontà di normalizzare le relazioni, ed installare un sereno vicinato".

A sua volta, Sikorski ha accennato alla semplificazione del regime dei visti tra UE e l'enclave russa di Kaliningrad. Un progetto che, malgrado le preoccupazioni della vicina Lituania, Varsavia considera come un proprio obiettivo, da raggiungere ad ogni costo. Inoltre, il capo della diplomazia polacca ha spiegato di voler passare dalle armi ai danari, demilitarizzando i rapporti con la Federazione Russa, ed evolvendoli sul piano economico. A riguardo, di estrema importanza sarà la visita del presidente russo, Dmitrij Medvedev, prevista a breve.

"Gli ucraini - ha aggiunto Sikorski - hanno ottenuto una semplificazione del regime dei visti. Non vedo - ha continuato - come simile iniziativa non possa non essere estesa anche a Kaliningrad. Di questo, si occuperanno i due Capi di Stato. Personalmente. Raggiungeremo un accordo, che sancirà la rinnovata concordia tra le parti. La stessa - ha concluso - che, oggi, si è avvertita nel corso della lezione di Lavrov ai nostri diplomatici".

Il docente del Cremlino, tuttavia, non è piaciuto all'opposizione. L'eurodeputato del partito conservatore "Diritto e Giustizia", Ryszard Czarnecki, ha sottolineato come il reale miglioramento dei rapporti bilaterali non ci sia affatto. Altresì, ha spiegato che Mosca si serve di Varsavia solo in occasioni di facciata, preferendo Berlino come interlocutore per argomenti di maggiore rilevanza economica ed energetica. In seguito, l'esponente del principale partito di opposizione ha criticato Sikorski, spiegando che la presenza di un ministro degli esteri straniero alla riunione annuale dei diplomatici della Repubblica di Polonia, per giunta in veste di insegnante, è un fatto inaudito, contrario al bon ton ed al regolamento.

Per Czarnecki, ciò sarebbe naturale conseguenza del nuovo corso della politica estera polacca, notevolvemte mutata da quando il Paese è governato unicamente dal partito liberale "Piattaforma Civica", troppo timoroso sulle questioni di politica estera. Secondo l'Europarlamentare, la Polonia dovrebbe tornare ad essere attiva nei confronti dell'integrazione nell'UE di Bielorussia ed Ucraina. Un ruolo storico, che il presidente, Bronislaw Komorowski, ed il primo ministro, Donald Tusk, sembrano avere rinnegato.

Nel merito della presenza di Lavrov alla riunione dei diplomatici è entrato anche il vice presidente della commissione esteri, Karol Karski, che ha commentato come inammissibile il comportamento dell'esponente del Cremlino.

"Nihil novi - ha dichiarato l'esponente di Diritto e Giustizia - Lavrov non ha aggiunto alcunché al dialogo tra Varsavia e Mosca. Al contrario - ha continuato Karski - letteralmente, ha dettato istruzioni ai nostri diplomatici. Non possiamo accettare tale comportamento. A tenere lezioni - ha continuato - possono essere esponenti di altri Paesi UE, o della NATO. Non il capo della diplomazia di un Paese che, fino a pochi giorni fa, ci ha costantemente minacciati e contrastati".

Matteo Cazzulani

venerdì 3 settembre 2010

UCRAINA, AZAROV PRESENTA IL NUOVO CODICE FISCALE. JANUKOVYCH, IN CINA, IPOTECA IL FUTURO DEGLI UCRAINI


FOTO UNIAN. Il presidente ottiene dai cinesi investimenti per 4 miliardi di dollari USA. Il primo ministro presenta Codice fiscale e prossime iniziative del governo. A rischio la Costituzione.

Amore e fiducia. Sono queste le parole con cui il premier ucraino, Mykola Azarov, ha presentato il Codice fiscale. Un documento atteso da tempo, nato dopo un lungo travaglio politico. Approvato dalla Rada in prima lettura, esso è stato duramente criticato non solo da opposizione ed osservatori internazionali, ma anche dello stesso presidente, Viktor Janukovych, che ne ha richiesto la riformulazione. Ne è seguita una radicale correzione, e la stesura di due versioni, distinte e concorrenti, effettuate da Azarov e dal vice premier con delega agli affari economici, Serhij Tihipko. Alla fine, i due sono giunti ad una mediazione, e, nella giornata di venerdì, 3 settembre, ne hanno battezzato una versione definitiva. La quale, de facto, più che amore e fiducia sembra promettere lacrime e sangue.

Risistemando il criterio delle imposte statali, il nuovo Codice mira a ridurne il numero, ma a farle pagare a tutti, con lo scopo di aumentare le entrate di bilancio, e di trascinare l'economia del Paese fuori dallo stato di crisi in cui attualmente si trova. La ricetta proposta, nello specifico, prevede un aumento degli introiti pari a 200 mila Hryvnje, il 5% delle quali da imposte dirette. A pagare saranno i più ricchi, che, in base al reddito annuo, subiranno un rincaro progressivo delle tasse del 17%. Ad essere bersagliate, anche le proprietà immobiliari: metterà mano al portafogli chi possiede più di 100 metri quadri in città, 200 in campagna. Previsto, infine, un incremento automatico dell'IVA in base all'inflazione. Dall'Imposta sul Valore Aggiunto, tuttavia, saranno esentate le industrie metallurgiche, agricole e chi opera nel setore della cultura e delle arti.

"Bisogna diminuire la pressione fiscale - ha dichiarato Azarov - ma a pagare devono essere tutti. Saranno esentati dall'IVA gli enti artistici, giuridici ed agricoli, ma tasseremo i depositi bancari, i risparmi e le proprietà. E' una manovra dura, ma necessaria per la stabilità economica. Il Paese deve uscire dalla crisi".

Categorica la contrarietà dell'Opposizione Democratica, che per voce del vice leader del partito Bat'kivshchyna, l'ex premier ad interim, Oleksandr Turchynov, ha bollato il nuovo Codice come una manovra del governo per piegare il vigente sistema contributivo ai propri interessi, e per favorire solamente i grandi industriali.

"Un palliativo - ha dichiarato il braccio destro di Julija Tymoshenko, a margine della riunione del governo-ombra, convocata di urgenza dalla Lady di Ferro ucraina - Nel testo presentato sono assenti i reali costi che dovranno pagare i piccoli e medi imprenditori. Questo Codice non è altro che l'ennesima, odiosa manovra del governo. Essa è sterile, non risolverà alcunché".

Altra incombenza, il bilancio 2011. Nella seduta del Consiglio dei Ministri di giovedì, 2 settembre, Azarov ha preannunciato la sua presentazione alla Rada non oltre il 15 settembre, così da avviarne, a breve, l'iter esaminatorio. Sulle sue particolarità, nesuna indiscrezione, ma ne è già chiara la filosofia: anche il budget, di pari passo con l'approvazione del nuovo codice fiscale, avrà l'obiettivo di favorire crescita e stabilità economica. A tale scopo, il premier si è appellato a produttori e piccola-media impresa per contenere i costi delle merci prodotte.

"Il governo - ha dichiarato - ha concluso sia l'esame preeliminare del budget, sia la discussione per la stesura definitiva del codice fiscale. Un progetto otimale - ha continuato - e complesso. Una riforma cardinale, finalizzata alla stabilità ed alla riduzione dei tempi di crescita della nostra economia".

Accanto al bilancio, progetti di riforma costituzionale. Da tempo, il governo - sollecitato dal presidente, Viktor Janukovych - sta cercando di eliminare i cambiamenti alla Carta Suprema apportati nel 2004, per ritornare alla versione precedente del 1996, che garantiva maggiori poteri al Capo dello Stato. Per farlo, necessari 300 voti alla Rada. La maggioranza - costituita dal Partija Rehioniv, Blocco Lytvyn e comunisti - ne conta circa 260. Ciò nonostante, il ministro della Giustizia, Oleksandr Lavrynovych, ha ventilato l'ipotesi di una procedura giudiziaria, in quanto la Costituzione sarebbe stata modificata in aperto contrasto con procedure previste da regolamento.

"Poiché la Corte Costituzionale - ha spiegato a margine della riunione del Consiglio dei Ministri - prevede uno specifico controllo sul processo di approvazione di una legge fondamentale, esso sarà applicato a tutti quei provvedimenti sospettati di avere infranto il regolamento. Non solo ai mutamenti della Costituzione, votati dal Parlamento nel dicembre 2004. La loro entrata in vigore è anticostituzionale".

Tuttavia, tale provvedimento potrebbe rivelarsi un boomerang. Come spiegato dal deputato di Nasha Ukrajina, Jurij Kljuchovs'kyj, l'annullamento delle modifiche del 2004 metterebbe in discussione la stessa legittimità del presidente Janukovych, eletto lo scorso febbraio, e ne diminiurebbe i poteri. Inoltre, dubitando delle irregolarità contestate, il parlamentare di opposizione ha evidenziato che, qualora si tornasse alla versione precedente, la legislatura sarebbe ridotta di un anno. E, dunque, si dovrebbe tornare alle urne già nel 2011.

"E' possibile - ha dichiarato all'agenzia UNIAN - che la maggioranza sia consapevole delle conseguenze tecniche. Elezioni anticipate potrebbero essere utili per limitare l'emoraggia di consensi che, stando agli ultimi sondaggi, il Partija Rehioniv sta subendo. Ciò nonostante - ha continuato - sarebbe una situazione di rinnovato caos, di cui il Paese oggi non ha bisogno affatto".

Da Kyiv a Pechino, dove il presidente Janukovych, assieme al vice premier Andrij Kljujev ed al ministro degli esteri, Kostjantyn Hryshchenko, ha incontrato il suo collega cinese, Hu Jintao. Scopo del vertice, il rafforzamento delle relazioni sino-ucraine, certificato dalla firma di tredici accordi bilaterali, che danno inizio ad una partnership in diversi ambiti.

Nello specifico, è prevista una stretta collaborazione tra i due Paesi nei prossimi anni, con particolare attenzione al quinquiennio 2010-2015, in campo industriale, commerciale, e finanziario. Le barriere commerciali saranno alleggerite, il regime dei visti semplificato, ed il controllo sul valore delle merci implementato. La Cina, interessata all'industria areonautica militare ucraina, parteciperà alla costruzione della ferrovia Kyiv-aeroporto Borispil', e di una centrale idroelettrica in Crimea. Il tutto, per un totale di 4 miliardi di dollari USA, che i cinesi investiranno nell'economia ucraina.

Una partnership economica che, tuttavia, sarà fondata su solide basi politiche. A confermarlo, durante l'incontro con il primo ministro, Chzhan Detszjan, lo stesso Janukovych, che ha preannunciato l'inizio di una collaborazione tra il Partija Rehioniv, la sua forza politica, ed il Partito Comunista Cinese. A ratificare tale accordo, Mykola Azarov, atteso a breve nel Paese.

Infine, Pechino ha confermato per iscritto la rinuncia all'utilizzo di armi atomiche contro Kyiv. Una garanzia - che l'Ucraina intende ottenere nell'immediato futuro anche da altre potenze nucleari del pianeta, quali USA, Francia, Gran Bretagna e Russia - sulla cui necessità permangono forti perplessità, dal momento in cui i rapporti tra i due Paesi non sono mai stati tesi. Né, mai, sull'orlo di un conflitto militare.

Amamaramente chiara, invece, la pesante contropartita che Janukovych ha dovuto concedere ad Hu Jintao. In primis, la Cina ha ottenuto l'aumento della quota di propri studenti ammessi nelle università ucraine, con la possibilità di restare nel Paese, ed ivi lavorare. Una prospettiva che ha allarmato vasti strati della popolazione, dal momento in cui la manodopera cinese, maggiormente a buon mercato, incrementerebbe a dismisura la già crescente disoccupazione, lasciando un numero maggiore di ucraini senza impiego.

Inoltre, Kyiv ha rinunciato ufficialmente al riconoscimento dell'Indipendenza di Taiwan. L'isola, ventiseiesima economia nel Mondo, rivendica la propria autonomia da Pechino, da cui si differenzia non solo per le istituzioni democratiche, ma anche per l'alto livello del rispetto della libertà di parola, dei Diritti Umani, dell'educazione, e della sanità. Principi che, purtroppo, a Pechino sono ben lungi dall'essere riconosciuti, e tutelati.

Matteo Cazzulani

giovedì 2 settembre 2010

CONTINUA LA CALDA ESTATE ENERGETICA, E NON SOLO, DEL MONDO EX-SOVIETICO

Varsavia segue Tallin e Vilna per l'indipendenza energetica da Mosca, che accellera la fusione dei monopolisti del gas con Kyiv, ottenendone i gasdotti. Crisi diplomatica tra il Cremlino e Minsk, spari tra Baku e Jerevan. Bishek rifiuta l'aiuto europeo.

Passa l'estate, ma la temperatura politica resta caldissima. Tra gas, energia, crisi diplomatiche e militari, il mondo ex-sovietico sta vivendo un periodo di discreta instabilità, e di considerevole trasformazione.

In primis, la politica energetica, con la notizia secondo la quale anche la Polonia seguirebbe l'esempio dei Paesi Baltici per tutelare i propri gasdotti dalle mire russe. Come riportato dal quotidiano russo Kommersant'', e confermato dall'agenzia di stampa Gazeta.ru, Varsavia intenderebbe strappare a Gazprom - il monopolista russo del gas - il possesso del tratto polacco del gasdotto Jamal-Europa, per affidarlo alla compagnia Gaz-System, controllata dallo Stato.

A garantire la manovra, il Terzo Pacchetto Energetico UE, secondo cui ogni infrastruttura energetica deve essere disponibile all'ingresso di soggetti terzi, e non permanere nelle mani di uno o due soli partner. Nello specifico, esso riserva ai Paesi dell'Unione la possibilità di rilevare i propri gasdotti secondo tre modalità: nazionalizzazione, creazione di un nuovo operatore a maggioranza statale, varo di un'azione economica straordinaria, finalizzata all'acquisto del 50% più uno delle azioni del colosso statale.

Tale regola, ribadita alla stampa dal rappresentante della Commissione Europea, Jozef Ennon, già è stata sfruttata da Estonia e Lituania. Le quali, lo scorso luglio, hanno dato il via libera allo scorporo delle compagnie nazionali, Eesti Gaas e Lietuvos dujos, proprietarie dei gasdotti locali, entrambe possedute a maggioranza dal monopolista russo.

Continua il processo di unificazione tra Gazprom ed il colosso ucraino Naftohaz, iniziato da quando, la scorsa primavera, il primo ministro russo, Vladimir Putin, ha proposto al suo collega ucraino, Mykola Azarov, la fusione dei due monopolisti nazionali. In un'intervista televisiva, il ministro dell'energia ucraino, Jurij Bojko, ha spiegato che, in cambio del possesso dei siti di estrazione del Mar Nero e del proprio sistema infrastrutturale energetico, Mosca è pronta a rinunciare a propri giacimenti dalla capacità di 30 metri cubi di gas annui. Una quantità cospicua, su cui, tuttavia, permangono seri dubbi.

Difatti, l'edizione ucraina del Kommersant'' ha riportato la notizia secondo cui lavori di estrazione dal sito in questione - ancora segreto - non sarebbero mai stati effettuati, e la presenza di cotanto oro blu sarebbe tutto fuorché sicura. In realtà, Gazprom si limiterebbe a concedere un semplice permesso di sfruttamento. Con la speranza, a costi altriu, di individuare un nuovo serbatoio di gas, di cui avvalersi per soddisfare la crescente domanda di un'Europa sempre più assetata.

Sempre riguardo alla Russia, Mosca è stata protagonista di una crisi diplomatica con la Bielorussia. De facto, si tratta di una scaramuccia. La quale, tuttavia, se contestualizzata in un periodo di continui sgarbi tra Minsk ed il Cremlino, ben dipinge la tensione tra le due cancellerie, un tempo solide alleate. Lo scorso 30 agosto, ignoti hanno gettato borse contenenti materiale infiammabile all'interno del territorio ell'ambasciata della Federazione Russa. Felicemente, nessuna vittima, solo un'automobile di servizio danneggiata. Il Cremlino ha chiesto spiegazioni, ed il presidente bielorusso Aljaksandr Lukashenka non ha lesinato la polemica, accusando Mosca di sfruttare l'incidente a proprio vantaggio per disceditare, dinnanzi all'opinione pubblica internazionale, le autorità bielorusse. Sul modello di quanto, da tempo, starebbero attuando i media russi nei suoi confronti.

Sullo sfondo dei dissapori tra i due Paesi, i recenti tentativi da parte di Minsk di allentare la dipendenza dal vicino russo, sopratutto in ambito politico ed energetico. Sempre lo scorso luglio, la Bielorussia ha iniziato una seria collaborazione con la Lituania per il trasporto di nafta e gas. Aprendo, a riguardo, anche all'Ucraina. Inoltre, Lukashenka si è assicurato forniture di gasolio dal Venezuela, grazie a patti stretti personalmente con Chavez, e, nel mese di agosto, ha implementato l'estrazione di nafta dai giacimenti iraniani.

Da una crisi diplomatica ad una militare, più ad est. Nella giornata di martedì, 31 agosto, è riesplosa la tensione nella regione del Nagorno-Karabakh, contesa tra Azerbajdzhan ed Armenia da oramai una ventina di anni. Una sparatoria, della cui responsabilità Baku e Jerevan si sono accusate a vicenda. In tutto, cinque i morti - per dovere di cronaca, due azeri e tre armeni - ed un ferito - azero.

Il conflitto del Nagorno-Karabakh è uno di quei capitoli del mondo ex-sovietico ancora, pericolosamente, aperto. Combattuta tra il 1987 ed il 1994, la guerra ha comportato la perdita del controllo azero sulla regione, e la sua conseguente autoproclamazione a Repubblica Autonoma, non riconosciuta. Baku sempre ha rivendicato la proprietà del territorio, ed accusato gli armeni di aggressione ed occupazione. In risposta, Jerevan ha evidenziato come gli autoctoni siano etnicamente armeni.

A rialzare la tensione tra i due Paesi, lo scorso agosto, il prolungamento dello stazionamento dei militari russi in Armenia, fino al 2044. Baku ha risposto con forte preoccupazione dinnazni al rafforzamento militare del vicino e, sopratutto, alla presenza dei soldati di Mosca nell'area. Tuttavia, sono in molti, tra politologi ed esperti, a sottolineare come la mossa di Medvedev non sia in funzione anti-azera, bensì, un avvertimento alla Turchia, per scongiurarne ogni possibile futuro intervento nell'area, considerata appannaggio del Cremlino.

Calda la temperatura anche nel vicino Kyrgystan. Qui, la scorsa primavera, un colpo di Stato ha deposto la guida della rivoluzione dei tulipani, Kurmanbek Bakijev, ed instaurato sulla poltrona presidenziale Roza Otumbaeva, gradita a Mosca. Tuttavia, le violenze nel Paese, che in aprile hanno comportato la morte di 75 persone, tra cui il ministro dell'interno Moldomusa Kongatijev, non sono terminate. Sostenitori di Bakiev, riparato prima in Kazakhstan, poi in Bielorussia, si sono radunati nella città meridionale di Osh, al confine con l'Uzbekistan. Con cui, a causa dei numerosi profughi, si è aperta una crisi, risolta dall'intervento della Otumbajeva - nel frattempo confermata presidente e capo del governo ad interim fino al 2012 - che ha invocato l'aiuto dei russi.

Pronta la mobilitazione dell'Europa, che ha offerto alle nuove autorità di Bishek un contingente non armato di cinquanta uomini per sorvegliare la zona di confine con Tashkent. Nulla da fare, il Kyrgystan vuole solo i russi. Come dichiarato dal portavoce dell'amministrazione presidenziale, Ablanbek Dzhumabajev, nessun accordo sarà firmato fino a quando non si avranno cetezze sulla tutela degli interessi nazionali kyrgysi. Inoltre, da giorni, crescenti sono le proteste contro i piani di intervento del Vecchio Continente, malgrado esso sia teso al mantenimento della pace.

Infine, l'ennesimo capolavoro di equilibrismo diplomatico di Bruxelles: a provocare il conflitto russo-georgiano del 2008 è stata Tbilisi. Ma anche Mosca. La salomonica dichiarazione non è stata pronunciata da un ex candidato alla presidenza del consiglio italiano, ma dalla Commissione Europea. La quale, dopo due anni, ha chiuso lo studio della crisi che nell'agosto 2008. Allora, l'esercito del Cremlino violò la sovranità territoriale georgiana per strappare all'invisa ex-colonia - rea di ambire alla partnership NATO e di sognare l'ingresso nell'UE - le repubbliche separatiste di Abkhazija ed Ossezia Meridionale, infine dichiaratesi indipendenti, e, ad oggi, riconosciute solo da Federazione Russa, Venezuela, Nicaragua ed atollo di Nauru.

In un apposito documento, Bruxelles ha definito il conflitto come una naturale causa della complessa situazione etnico-politica della regione, instabile fin dai tempi della dissoluzione dell'Unione Sovietica, la cui struttura federale non è stata in grado di stabilizzare il Caucaso. La responsabilità della crisi del 2008 ricadrebbe sull'esercito georgiano, che, la notte tra il 7 e l'8 agosto, avrebbe sparato per primo: l'ultimo episodio di una escalation di reciproche provocazioni tra Mosca e Tbilisi.

La dichiarazione della Commissione Europea interessa un capitolo non ancora superato. Lecito ricordare che, lo scorso agosto, in concomitanza con il decimo anniversario della tragedia del sottomarino Kursk - in cui persero la vita 118 militari della marina russa - il Cremlino ha dispiegato propri missili in territorio abkhazo. Intercettori antiaerei C-300, che hanno provocato reazioni di protesta della sola Tbilisi. Nessuna reazione, invece, da chi la democrazia ed i Diritti Umani li dovrebbe tutelare ovunque nel mondo. Bruxelles era impegnata a discutere di nutella e lunghezza dei pesci pescabili. Il presidente USA, Obama, in vacanza, distratto da tornei di golf e pranzi a base di quei pochi gamberetti sfuggiti alla marea nera.

Matteo Cazzulani

mercoledì 1 settembre 2010

LIBERTA' DI ASSOCIAZIONE: ANCORA ARRESTI IN RUSSIA. L'UCRAINA ALLA DIFESA DELLA LIBERTA DI PAROLA. LA POLONA RICORDA SOLIDARNOSC


Chi lotta per ottenere la libertà, chi per difenderla, e chi, già possedendola, litiga anche quando non bisogna. Quanto accaduto in Russia, Ucraina e Polonia nella giornata di martedì, 31 agosto, ben certifica lo status politico dei tre Paesi, ciascuno per proprie motivazioni storico-culturali, ponte fra oriente ed occidente.

Come ogni 31 del mese, a Mosca ha avuto luogo la tradizionale manifestazione per il rispetto della libertà di associazione e riunione. Partiti, movimenti ed organizzazioni di ogni colore politico si sono riuniti in un meeting pacifico, silenzioso e nonviolento per rivendicare un diritto garantito dall'articolo 31 della Costituzione della Federazione Russa, ma non rispettato dalle autorità. Come da copione, ormai il medesimo da anni, la milicija è intervenuta con cariche e fermi.

Tra gli arrestati, come riportato dall'agenzia Interfax, il leader del partito SPS, Boris Nemcov, giunto al presidio in compagnia del presidente della commissione diritti umani dell'Europarlamento, Heidi Hautala. Il capo del soggetto liberal-conservatore al fresco non ci è rimasto da solo. A fargli compagnia, secondo quanto certificato dall'agenzia Ria Novosti e da Radio Ekho Moskvy, anche altri personaggi di spicco dell'opposizione russa: uno degli organizzatori della protesta, Kostjantin Kosjakin, il leader del movimento "Drugaja Rossija", Eduard Limonov, il rappresentante del movimento "Solidarnist'", Ilja Jashchin, ed il coordinatore della forza progressista "Levyj Front", Sergej Udal'cov. Quest ultimo, al sito di informazione Lenta.ru, ha spiegato che gli agenti lo hanno accusato a più riprese di avre incitato la folla a scandire slogan. Una colpa che in Russia è davvero grave, e di cui ci si deve vergognare. Questo spiega il perché lo stesso Udal'cov abbia continuamente negato la paternità del gesto.

Stando al medesimo organo di informazione, all'azione avebbero partecipato tra le 300 e 400 persone. 30 gli arrestati, come confermato anche dal sito di opposizione Kasparov.ru. Tradizionale anche il luogo della protesta: piazza Triumfal'naja, tra la stazione del metro verde Majakovs'kaja ed il monumento dedicato al poeta futurista georgiano di nascita. I lavori di ristrutturazione, iniziati solo quattro giorni or sono, non hanno impedito lo svolgersi della dimostrazione. Ed anche il massiccio dispiegamento di militari e poliziotti, come illustrato dalla leader della sede moscovita del gruppo di Helsinki, Ljudmila Alekseeva. "E' inaudito - ha dichiarato l'ottantaduenne attivista per i diritti umani - la presenza di cotanti soldati è sproporzionata alla portata dell'azione".

Ma non solo Mosca. Anche a San Pietroburgo, seconda città del Paese, stesso format. E medesimo epilogo. Qui, come riportato dall'agenzia Fontanka.ru, non sono bastati che dieci minuti di meeting silenzioso per scatenare l'intervento della polizia: 35 gli arrestati, dinnanzi al Gostynnyj Dvor, centro commerciale di alto rango, affollato di turisti, probabilente ignari sulle ragioni della protesta, e della repressione. Oltre che nelle capitali politica e culturale della Russia, proteste anche in centri urbani minori. A Toms'k, in Siberia, le autorità locali hanno autorizzato il meeting. A Vladivostok, nell'estremo est, la protesta si è svolta sotto forma di riunione, senza obbligo di permesso da parte del sindaco. In ambo i casi, nessun arresto.

Amche altre città europee hanno solidarizzato con i democratici russi. Tra esse, per la prima volta, Milano, dove l'Associazione AnnaViva ha organizzato un presidio per sensibilizzare l'opinione pubblica del Belpaese sulla questione e, come riportato in una nota dell'organizzazione meneghina, nata in ricordo della giornalista russa Anna Politkovskaja, per non far sentire soli i manifestanti russi. Simili iniative hanno avuto luogo anche a Londra, Berlino, Varsavia e Kyiv.

Proprio in Ucraina, il 31 agosto si è verificato l'ennesimo capitolo della pacifica battaglia per il mantenimento della libertà di parola, definitivamente ottenuta a seguito della rivoluzione arancione del 2004-2005. Il giorno precedente, il Tribunale Amministrativo di Kyiv - una sorta di TAR del Lazio ucraino - ha confiscato frequenze a due canali televisivi indipendenti, TVI e 5 Kanal. Prima ancora, lo scorso 8 giugno, il Tribunale Ordinario della Capitale aveva riassegnato tali diritti di trasmissione al canale Inter, di proprietà dell'oligarca Valerij Khoroshovs'kyj, uno dei principali sponsor del Partija Rehioniv, nominato da Janukovych a capo dei servizi segreti ucraini. A seguito di immediate proteste, il Cosiglio Nazionale per le Telecominicazioni ha indetto un nuovo concorso per redistribuire le frequenze.

Esemplare la risposta del 5. Kanal. Il quale, malgrado l'ingiustizia subita, con una nota del direttore, Ivan Adamchuk, si è detto pronto a partecipare al nuovo concorso, sicuro di riottenere quanto ingiustamente confiscatogli. Simile la risposta di TVI, il cui direttore, Mykola Knjazhyc'kyj, ha promesso la continuazione dell'iter processuale in cassazione.

Da chi si batte per il manenimento della libertà, a chi ricorda il suo ottenimento, in maniera talmente solenne da politicizzarne la ricorrenza. In Polonia, nelle città portuali di Danzica, Stettino e Gdynia, sono in corso le celebrazioni del trentesimo anniversario della fondazione di Solidarnosc, il sindacato di massa libero, protagonista dell'abbattimento del comunismo nel Paese di Kochanowski e Mickiewicz. Un'occasione di festa, ricordo, ma anche riflessione. Come sottolineato dall'attuale leader di Solidarnosc, Janusz Sniadek, delle riforme per cui si è combattuto dagli anni ottanta ad oggi sono state realizzate solo quelle di caratere politico, ma nulla è stato fatto nel campo economico e sociale. I lavoratori polacchi, sopratutto i giovani, sono sempre meno tutelati, e sempre più insicuri. Inoltre, gli stessi cantieri navali, dove il movimento ebbe inizio, versano in condizioni disperate.

Tuttavia, sempre il 31 agosto, quarto giorno della ricorrenza, anziché proposte per migliorare la situazione, sono emerse le divisioni politiche tra i vecchi dirigenti, causa di reazioni plateali, degne di uno stadio piuttosto che di una sala conferenze. Applausi ed ovazioni al momento dell'ingresso del leader dell'opposizione, Jaroslav Kaczynski. Una bordata di fischi quando a prendere la parola è stato il primo ministro, Donald Tusk. Del resto, le simpatie politiche dei membri di Solidarnosc sono note da tempo: chi rappresenta meglio gli interessi e le speranze del glorioso movimento operaio è il partito conservatore "Diritto e Giustizia", piuttosto che quello liberale "Piattaforma Civica", a cui appartengono il premier ed il neoeletto presidente, Bronislaw Komorowski.

Una linea non condivisa dallo storico leader del movimento, Lech Walesa, per questo assente alle celebrazioni, e, da tempo, critico con la direzione di Solidarnosc. Il primo presidente della Polonia libera ha inviato una nota, in cui ha sottolineato l'importanza del sindacato, anche al giorno d'oggi, per la Polonia, l'Europa ed il Mondo. Nel contempo, si è rivolto al Capo dello Stato, chiedendo il suo intevento per garantire il mantenimento della neutralità partitica del sindacato.

"Mi appello - ha dichiarato - al Presidente della Repubblica, affinché venti anni di tradizione non siano appannaggio di una sola forza politica. La solidarietà [solidarnosc in polacco, n.d.a.] è un valore comune, necessario, anche oggi, per battere difficoltà di ogni ambito".

Matteo Cazzulani

martedì 31 agosto 2010

INCONTRO MERKEL-JANUKOVYCH. BERLINO ATTENTA A GAS E LIBERTA' DI PAROLA. KYIV RASSICURA, MA AL 5 KANAL SONO SOTTRATTE LE FREQUENZE


Sicurezza energetica, restauro dei gasdotti di Kyiv, rapporti con Mosca e stato di democrazia e libertà di stampa in Ucraina. E un Bacio di Giuda. Ricco è stato l'incontro, svoltosi in lingua russa, tra il presidente ucraino, Viktor Janukovych, e la cancelliera tedesca, Angela Merkel. Colloqui di assoluta importanza, durante i quali il Capo di Stato ucraino ha rassicurato l'Europa su diverse tematiche, mentre la guida del governo tedesco si è rivelata all'altezza del ruolo: pragmatica e, nel contempo, attenta alla tutela delle libertà fondamentali. Un atteggiamento che dovrebbe essere proprio di ogni leader occidentale.

Il primo punto del vertice, iniziato a seguito della colazione di lavoro offerta dalla cancelliera nella sua residenza berlinese, i rapporti con Mosca. Un tema importante per Frau Merkel, che ha evidenziato come l'Ucraina, in virtù della sua posizione geografica, sia un Paese su cui cade un'enorme responsabilità circa il mantenimento di vuoni rapporti tra l'Unione Europea e la Russia, fondamentali, sopratutto, in chiave energetica.

Positiva la risposta di Janukovych, che ha sottolineato come il nuovo posizionamento sullo scacchiere internazionale del Paese da lui rappresentato, basato sulla permanenza al di fiuori dei blocchi, sia in linea con la nuova strategia nell'area di UE e NATO, che hanno posto l'alleggerimento delle relazioni con il Cremlino tra i primi punti del programma di azione annuale. Inoltre, il Capo di Stato ha lodato l'operato del governo da lui instaurato all'indomani dell'insediamento presidenziale, in particolare per il raggiungimento della stabilità. La quale, stando alle sue parole, garantiranno un migliore approccio del Paese anche alle questioni internazionali.

In seguito, Viktor Janukovych ha sottolineato quanto Berlino sia importante per l'Ucraina sul piano commerciale. Per questa ragione, al fine di rafforzare la cooperazione in campo economico, ha proposto alla Germania di compartecipare, con propri capitali, alla ristrutturazione del sistema infrastrutturale energetico ucraino. Una partnership che, stando al Janukovych pensiero, sarebbe importante per la sicurezza energetica dell'Europa intera. Nella manutenzione dei gasdotti ucraini, lecito ricordare, a più riprese già è stata invitata Mosca, seriamente interessata a prendere parte all'operazione.

Positiva la risposta della Merkel, onorata dalla proposta. Ciò nonostante, la cancelliera non si è lasciata incantare dalle prospettive economiche, ed ha posto questioni fondamentali per il mantenimento di buoni rapporti e per lo sviluppo in chiave europea di Kyiv: la libertà di stampa e lo stato della democrazia ucraina. Difatti, per Frau Merkel l'alleanza euro-rublo per il restauro dei gasdotti ucraini non può essere scissa dalla questione dello sviluppo democratico dell'Ucraina, su cui Berlino ripone vivo interesse. A riguardo, il dialogo tra i due, secondo quanto spiegato dalla leader tedesca, è stato aperto e sincero. La Merkel ha dimostrato di essere un vero leader europeo. Attenta, accanto al business, allo stato delle libertà.

"Le relazioni con l'Ucraina - ha affermato - sono solide. Tuttavia, ho espresso il mio forte interessamento per lo stato della libertà di stampa e di parola nel Paese. Su di esso, tra Berlino e Kyiv il dialogo deve permanere costante, aperto e sincero. Come oggi".

In risposta, Janukovych ha rassicurato cancelliera e giornalisti, spiegando come, nel Paese, nessuno come lui realmente è interessato al progresso in senso democratico. Esempio di ciò, sempre secondo le parole del Capo di Stato ucraino, la modifica della legge elettorale per le votazioni locali del prossimo 31 ottobre, su cui l'Occidente aveva mosso obiezioni. Approvata, in contemporanea al summit di Berlino, in una sessione straordinaria della Rada.

Il testo originale, redatto dal capogruppo del Partija Rehioniv - la forza politica, egemone nel Paese, a cui appartengono presidente, premier e quasi tutti i membri del Consiglio dei Ministri - Oleksandr Jefremov, prevedeva la parteciapzione alla competizione elettorale dei soli partiti registrati da più di 365 giorni. De facto, essa escludeva non solo le forze politiche giovani, ma anche le unioni di diversi soggetti partitici: una decisione peanlizzante sopratutto le forze dell'Opposizione Democratica - Blocco Tymoshenko ed Alleanza Nazionale Nasha Ukrajina-Narodna Samooborona - che si sono sempre presentate agli elettori sotto forma di Blocco e alleanze. Nella giornata di lunedì, 30 agosto, il Parlamento ha modificato solamente la clausola temporale, permettendo ai soggetti giovani di correre alle comunali, ma lasciando alle opposizioni l'obbligo di correre, separatamente, come partiti.

264 i favorevoli. Unico soddisfatto, il Partija Rehioniv, che per voce del deputato Oleksandr Stojan ha evidenziato come gli emendamenti applicati permetteranno di misurarsi politicamente, anche a livello locale, a partiti di leader del calibro di Serhij Tihipko - vice premier con delega agli affari economici, terzo classificato, con il 13%, alle scorse presidenziali - ed Arsenij Jacenjuk - ex speaker della Rada, quarto classificato lo scorso febbraio con il 6% dei consensi. Critica l'Opposizione Democratica. Il premier del governo ombra, il deputato nazionale del Blocco Tymoshenko, Serhij Soboljev, ha evidenziato come il governo non intendesse modificare una legge elettorale redatta a proprio vantaggio, e che solo la pressione di fondazioni ed enti occidentali hanno spinto la maggioranza ad apportare modifiche di facciata. Le quali, tuttavia, lasciano una legge ancora incompleta sul profilo democratico.

Nettamente più scettica Nasha Ukrajina-Narodna Samooborona, che per voce di Jurij Karmazin ha definito le modifiche come un cambiamento di facciata di carettere tecnico e propagandistico, atto, da un lato, a contratare la caduta di consensi del Partija Rehioniv - passato, in pochi mesi, dal 41% al 25%. Dall'altro, a presentare agli occhi della Merkel un esecutivo fintamente attento al pluralismo partitico. Malumori anche dall'interno della maggioranza: il Blocco Lytvyn - al governo con Partija Rehioniv e comunisti - per voce di Oleh Zarubins'kyj ha criticato la modifica temporale, denunciando la scarsa considerazione degli alleati nei confronti di una forza politica a loro fedele come la Narodna Partija, il soggetto principale del gruppo parlamentare da lui rappresentato.

Accanto alla decisione del parlamento - che, tutto sommato, migliora, seppur di poco, una legge elettorale ingiusta - quella della magistratura, che ha inferto un duro colpo alla libertà di informazione nel Paese. Sempre lunedì, 30 agosto, il Tribunale Amministrativo di Kyiv - una sorta di TAR del Lazio italiano - ha confermato la confisca delle frequenze ai danni di due canali televisivi indipendenti: TVI e 5 Kanal. Quest ultimo, noto per il fondamentale ruolo esercitato a sostegno della rivoluzione arancione. Lo scorso 8 giugno, il Tribunale Ordinario della Capitale aveva confiscato tali diritti di trasmissione, riassegnandoli al canale Inter, di proprietà dell'oligarca Valerij Khoroshovs'kyj: uno dei principali sponsor del Partija Rehioniv, nominato da Janukovych a capo dei servizi segreti ucraini.

I due canali indipendenti non si sono mai arresi. Ed ora, stando alle parole del direttore di TVI, Mykola Knjazhyc'kyj, la battaglia continuerà in cassazione. Sicuro suo alleato, e del 5 Kanal, oltre a tutti i giornalisti liberi, il principale partito dell'Opposizione Democratica, Bat'kivshchyna. La cui leader, l'ex premier, Julija Tymoshenko, ha definito la decisione del Tribunale Amministrativo di Kyiv come uno scandaloso attacco alla libertà di parola del Paese. In particolare, la Lady di Ferro ucraina ha evidenziato come TVI e 5 Kanal fossero tra le poche fonti di corretta ed equilibrata informazione, ed ha evidenziato come la sentenza sia stata emessa mentre Janukovych presentava all'Europa un'Ucraina libera e democratica. Nei fatti, mentendo.

Viva preoccupazione per la condizione dei giornalisti in Ucraina è stata espressa anche da un gruppo di studenti, che ha organizzato una manifestazione nei pressi dell'hotel Aplon, sede della conferenza stampa. Tra la cinquantina di partecipanti, pacificamente armati di cartelli in tedesco, anche il poeta Serhij Zhadan e la cantante Irena Karpa. I dimostranti hanno ripreso le tematiche di una lettera inviata alla Merkel da Réportères Sans Frontières, lo scorso 27 agosto. In essa, l'organizzazione internazionale, che si batte per la libertà di informazione nel Mondo, ha richiesto espressamente alla cancelliera di affrontare l'argomento con Janukovych.

Sopratutto, a seguito del comportamento delle autorità ucraine nei confronti di Nino Lange - Direttore della sede di Kyiv della Fondazione Konrad Adenauer, arrestato, senza alcun motivo, per 10 ore dalla polizia di frontiera all'aeroporto di Borispil', la scorsa primavera - e, successivamente, del caso del direttore del settimanale "Novyj Styl'", Vasyl' Klyment'jev, misteriosamente scomparso, nei pressi di Kharkiv, da oramai diverse settimane.

Positiva la risposta di Frau Merkel, che ha sollevato la questione sia durante i colloqui privati, che in conferenza stampa, al cospetto dei giornalisti. Anche Janukovych ha rassicurato i dimostranti, promettendo massimo impegno per tutelare la libertà di stampa, e per fare chiarezza sulla sparizione del redattore Kharkiviano.

A termine dell'incontro, Janukovych - che ha scambiato il nostro Paese con l'Irlanda, definendo Romano Prodi come l'ex leader dell'isola britannica - ha ricevuto "Il Bacio di Giuda": dipinto del Caravaggio, trafugato, lo scorso 25 giugno, dal Museo di arte occidentale ed orientale di Odessa da un'organizzazione criminale internazionale. Riparata in Germania, ma, prontamente, scovata da un'azione congiunta tra le polizie di Kyiv e Berlino.

Matteo Cazzulani

domenica 29 agosto 2010

AUGURI, ANNA. MILANO NON DIMENTICA


58 candeline. Forse, le avrebbe spente di fretta, ansiosa di mettersi a scrivere, anche oggi. L'ultima testimonianza bollente dal Caucaso, oppure l'ennesima udienza di uno di quei processi che seguiva assiduamente. Sarebbe stato lunedì anche per lei. Giorno di lavoro, il primo della settimana.

Probabilmente, giunta sul posto di lavoro, avrebbe accolto con un sorriso fugace gli auguri dei suoi collaboratori, che, al pari di molti altri nel Paese, ed in occidente, la stimano per quel suo carisma, e per quella capacità nei suoi pezzi di rendere chiare realtà oscure e di raccontare notizie sottaciute. Avrebbe aperto la sua casella di posta elettronica, oggi assaltata dagli auguri. Li avrebbe archiviati, per rispondervi con calma in un secondo momento. Ora, c'è da mettersi al lavoro. Sulla scrivania, accanto al mazzo di fiori regalatole dai colleghi, già i primi lanci di agenzia.

Nulla di tutto questo. Nessuna torta, candeline da spegnere, né udienze a cui recarsi. Nessuna fretta. solo il silenzio dei colleghi, come ogni anno radunati al cimitero di Troekurov, alla periferia di Mosca. Sulla scrivania, fiori e fogli appena stampati sono rimpiazzati da una sua foto. Il suo computer lo hanno sequestrato per le indagini. Alcuni degli strumenti del suo lavoro quotidiano sono ora nella teca, all'ingresso della redazione. Assieme a quelli di altri che, prima e dopo di lei, hanno perso la vita mentre svolgevano il suo medesimo mestiere.

Oggi, 30 settembre 2010, per Anna Politkovskaja sarebbe stato un giorno speciale, quello del suo compleanno. Purtroppo, il condizionale è d'obbligo. Il 7 ottobre 2006 è stata assassinata, all'ingresso di casa sua. Tornava dalla spesa. Revolverate, secche, le hanno strappato la vita. Ma la Makarov - l'arma del delitto, lasciata accanto al suo corpo - non potrà cancellare la sua memoria, impressa nei suoi articoli, e nelle menti di chi la seguiva ed apprezzava. Forse, anche da chi, vigliaccamente, l'ha uccisa.

Anna lavorava alla Novaja Gazeta, giornale di opposizione. Nei suoi pezzi, spiegava alla nazione, ed al mondo intero, la verità sul Caucaso. Documentava le violazioni dei diritti umani da parte dell'esercito russo. Una missione di vita, che andava ben oltre l'orario di lavoro: non c'era udienza di un processo a carico di ufficiali rei di crimini in Cecenia, che poteva perdere.

Anna non era solo una giornalista esemplare. Era anche una donna coraggiosa. Teneva ai suoi figli, e, nel contempo, si batteva per una Russia democratica e giusta. Con determinazione.

Fosse ancora, fisicamente, con noi, probabilmente il pezzo quotidiano lo avrebbe redatto ricordando l'appuntamento per l'indomani, alla manifestazione per il diritto di associazione. Esso, seppur garantito dall'articolo 31 della Costituzione della Federazione Russa, è calpestato di continuo dalle autorità. Per questa ragione, il 31 di ogni mese, partiti, associazioni ed organizzazioni di diverso orientamento politico si riuniscono in un meeting silenzioso, pacifico e nonviolento. Una di quelle dimostrazioni che in Russia danno fastidio, e che, per questo, culminano con la canonica ondata di arresti e fermi di polizia.

Anche questo 31 di agosto il presidio avrà luogo. Ma gli amici dimostranti di Mosca non saranno soli. Da tempo, simili iniziative sono organizzate, in contemporanea, in altre città dell'Europa centro-orientale ed occidentale: Kyiv, Berlino, Varsavia, Londra. Da domani, anche a Milano. L'Associazione AnnaViva, attiva nella difesa della libertà di stampa e dei diritti umani nel mondo ex-sovietico, ha chiamato forze politiche, associazioni, organizzazioni e privati cittadini a riunirsi per solidarizzare con chi in Russia rivendica il rispetto di un proprio, sacrosanto diritto. L'appuntmento è fissato alle 19, nei pressi della Stazione Centrale. Ad esso, hanno già aderito le associazioni radicali milanesi.

Nata in suo ricordo, e secondo il suo esempio, AnnaViva commemorerà la Politkovskaja anche in occasione delsuo compleanno. Lo farà, lunedì 30 agosto, alle 21, presso la Libreria Popoloare di via Tadino, con la lettura di componimenti a lei dedicati post mortem, e di quelle poesie che amava.

Per non dimenticarci di Lei, e del suo coraggio. E, nel piccolo di una realtà meneghina, per continuare quella battaglia per la giustizia che animava la sua attività. Con passione, e determinazione. Qualità, purtroppo, al giorno d'oggi sempre più rare.

Matteo Cazzulani

venerdì 27 agosto 2010

SICUREZZA ENERGETICA: LA BIELORUSSIA GIOCA LA CARTA IRANO-VENEZUELANA. L'UCRAINA APRE ALL'AZERBAJDZHAN E RAFFORZA L'ASSE CON MOSCA


Minsk aumenta l'estrazione di nafta a Teheran e Caracas. Kyiv, sempre più dipendente da Mosca, propone una partnership a Baku, Bucarest e Sofia per il terminale voluto dal governo Tymoshenko.

Iran, Venezuela, Azerbajdzhan, Bulgaria e Romania. Ecco le pedine che Bielorussia ed Ucraina hanno coinvolto per diversificare le forniture di gas e nafta. Una vera e propria partita a scacchi, che negli ultimi mesi ha visto Minsk avvicinarsi alla Lituania, ed agli altri Paesi Baltici, con progetti concreti per limitare la dipendenza da Mosca. Di cui, tuttavia, Kyiv non intende fare a meno.

Nella giornata di giovedì, 26 agosto, l'ennesima mossa. Minsk aumenterà l'estrazione di nafta in Iran. Come riportato dall'agenzia di stampa "RosBisnesKonsaltig", il governo bielorusso ha inserito nel proprio piano di svuluppo del potenziale energetico lo sfruttamento del giacimento di Dzhufeir per i prossimi dieci anni. Portata dell'accordo, 9,3 milioni di tonnelate, che dall'Iran saranno costantemente importate in Bielorussia fino al 2020.

Altra pedina coinvolta da Minsk è il Venezuela. Tra i due Paesi è già attiva una compagnia comune, la Petrolera Belovenesolana. La quale, sempre secondo quando riportato dll'agenzia bielorussa, ha annunciato l'incremento dell'estrazione di nafta nel sito Junin-1per i prossimi dieci anni. Stando ai piani, dalle 1,7 milioni di tonnellate odierne si passerà a 2,9 nel 2013 e, nel 2020, alla quota finale di 7,5 milioni. Parte di essa è riservata alla Bielorussia, che, già lo scorso giugno, con Caracas ha stretto un accordo per l'acquisto di benzina a buon mercato, successivamente trasportata via mare fino al porto di Odessa, ed importata attraverso il territorio ucraino.

Proprio l'Ucraina, e le sorti energetiche del porto di fondazione genovese, sono state al centro dei lavori della Commissione per lo sviluppo economico, che, sempre giovedi 26 agosto, ha fissato per la fine dell'anno il termine dei lavori alla costruzione di un terminale per l'importazione di gas naturale liquefatto di provenienza azera. Un'infrastruttura necessaria per l'indipendenza energetica ucraina, concepita, già nel luglio del 2009, dal governo Tymoshenko. La sua realizzazione, tuttavia, è stata bruscamente interrotta lo scorso autunno, a causa della forte crisi economica, che in Ucraina ha colpito davvero duro.

Il terminale potrà recepire da un minimo di cinque ad un massimo di dieci metri cubi annui di oro blu. Costo totale, 1 miliardo di dollari. Che, come spiegato dal ministro dell'energia, Jurij Bojko, Kyiv cercherà di suddividere, coinvolgendo lo stesso Azerbajdzhan, e proponendo una partnership a Bulgaria e Romania, già impegnate nella realizzazione di un simile terminale a Kulevi, in Georgia.

"Da tempo - ha spiegato Bojko dagli schermi del canale "Inter" - stiamo conducendo trattative con i nostri soci azeri. Il loro giacimento di Shakh-Deniz-2 è già sfruttato dalla Georgia, dove Romania e Bulgaria stanno realizzando un terminale per la trasformazione del gas. Da li, potremmo importare l'oro blu via mare, fino ad Odessa, una volta terminata la nostra infrastruttura. Per terminarne la costruzione, stiamo cercando di coinvolgere anche Baku, Bucarest e Sofia".

Nonostante le parole di Bojko, l'Ucraina non intende rinunciare alla partnership energetica con la Russia, rafforzata negli ultimi mesi dalla vittoria alle elezioni presidenziali di Viktor Janukovych, e dall'attività del governo Azarov, da lui instaurato all'indomani dell'insediamento. Ad oggi, Kyiv importa oro blu a prezzi svantaggiosi, nonostante, lo scorso maggio, abbia ottenuto uno sconto di 100 dollari per mille metri cubi. Per questa ragione, il primo ministro, Mykola Azarov, ha dichiarato che nei prossimi giorni chiederà a Mosca di riconsiderare il tariffario, anche in virtù dei ritrovati buoni rapporti.

"Le tariffe - ha sottolineato a Radio Liberty - sono sconvenienti. Il governo ha l'obiettivo di rivederle. Convinceremo i nostri partner russi che la loro riformulazione è necessaria per ambo le parti".

Mosca si è detta pronta a rivedere l'accordo in questione e, come riportato dal quotidiano Kommersant'', disposta ad un ulteriore ribasso del 30%. Tuttavia, in molti si chiedono a quale prezzo Kyiv otterrà l'ennesimo sconto sull'oro blu di Gazprom - il monopolista russo del gas. Già lo scorso 21 maggio, con quelli che sono passati alla storia come accordi di Kharkiv, il presidente Janukovych ha rinnovato le forniture a prezzo calmierato, in cambio dell'ingresso di investimenti da Mosca in territorio ucraino - per un totale di 40 miliardi di dollari - e del prolungamento della permanenza dei soldati russi della Flotta del Mar Nero, nel porto militare di Sebastopoli, fino al 2042. Una mossa onerosa, e sterile, dal momento in cui essa non ha evitato il rincaro delle bollette per la popolazione, innalzate dal governo del 50% dallo scorso primo di agosto. Ufficialmente, per pareggiare il bilancio, ed ottenere la fiducia del Fondo Monetario Internazionale per l'erogazione del prestito di 15,15 miliardi di dollari.

Come ipotizzato, sempre sulle colonne del Kommersant'', dal Deputato del Blocco Tymoshenko - la principale forza di opposizione - Oleksandr Hudyma, in cambio dell'ennesimo ribasso, l'Ucraina accellererà la fusione tra Gazprom e Naftohaz in un unico supermonopolista: caldo consiglio che il primo ministro russo, Vladimir Putin, diede ad Azarov già la scorsa primavera, nel corso di un vertice a Sochi. A più riprese, esponenti del principale gruppo di opposizione alla Rada hanno evidenziato come la proposta di Putin sia una mossa per sottomettere l'Ucraina anche dal punto di vista energetico, dal momento in cui, secondo fondate indiscrezioni, del supermonopolista che si creerà, a Kyiv sarà lasciato solo il 6% delle azioni.

Secondo il Direttore Generale del Fondo per la Sicurezza Nazionale Energetica russa, Kostjantyn Symonov, la merce di scambio per il ribasso delle tariffe di importazione sarebbe la cessione del possesso del sistema infrastrutturale energetico ucraino, a prescindere dalla creazione del supermonopolista. Come spiegato all'agenzia UNIAN, nel gennaio 2009, Mosca è stata abile a negoziare clausole onerose per Kyiv, alla cui rinuncia è corrisposto il progressivo ottenimento di concessioni vantaggiose per la Russia in ambito economico, militare e politico.

Difatti, solo negli ultimi mesi, il Cremlino dapprima ha eliminato la clausola "prendi o paga" - che obbligava l'Ucraina a pagare una determitata quantità di gas, a prescindere dal suo utilizzo o meno. Poi, la tassa di importazione - che ha ritoccato al ribasso del 30% il prezzo dell'oro blu per Kyiv. In cambio, Mosca ha ottenuto il mantenimento dell'Italia - uno dei Paesi che paga a Gazprom il prezzo più salato - come mercato di riferimento nelle trattative, l'ingresso di cospicui investimenti russi in Ucraina, la fusione delle principali industrie dei due Paesi nel settore nucleare, dell'energia idroelettrica e dell'aviazione, ed il mantenimento in territorio ucraino dei soldati della Flotta del Mar Nero.

"Quando si parla di tariffe per il gas - ha illustrato Symonov - bisogna considerare le sorti del sistema infrastrutturale energetico ucraino. Kyiv potrà ottenere un ulteriore sconto solo previa cessione del controllo dei suoi gasdotti a Mosca. A prescindere dalla fusione tra Gazprom e Naftohaz".

Entusiasticamente, Janukovych ha bollato il documento firmato nella capitale dell'Ucraina sovietica - oggi attivissimo centro universitario - come senza precedenti nella storia delle relazioni tra i due Paesi. Nonostante le proteste dell'Opposizione Democratica. La quale, più volte, ha sottolineato come la premanenza dei soldati russi in territorio ucraino sia lesivo per l'indipendenza politico-militare di Kyiv. E le obiezioni del premier Azarov. La cui decisione di innalzare il costo del gas per la popolazione sta obbligando gli ucraini a pagare salato fiumi di oro blu, indispensabili per affrontare la rigidità di un inverno quasi alle porte.

Matteo Cazzulani

giovedì 26 agosto 2010

MONUMENTO AI BOLSCEVICHI. PROTESTE IN POLONIA


FOTO POLSKA ZBROJNA Oppositori arrestano l'inaugurazione di un monumento in memoria delle vittime russe della guerra polacco-bolscevica, voluto da governo ed enti locali. I manifestanti: "rispettare la Polonia". Gli organizzatori: "il dialogo con Mosca va avanti".

Tra Polonia e Russia non c'è pace. Ogni tentativo di dialogo e cooperazione tra due popoli, divisi da secoli di odi, guerre e rivalità, sembra essere vano, inevitabilmente destinato al fallimento. Nemmeno dopo che la tragedia aerea di Smolensk - in cui, lo scorso 10 aprile, sono morti il Presidente, Lech Kaczynski, ed altre alte cariche dello Stato polacco - sembrava aver riavvicinato Mosca e Varsavia, in nome del condiviso cordoglio, e del comune impegno a far luce sulla vicenda intrapreso dai due premier, Vladimir Putin e Donald Tusk.

A provocare l'ennesima incomprensione, la decisione di inaugurare, nel cimitero di Ossow, un monumento alla memoria dei caduti russi nella Battaglia di Varsavia, cruciale capitolo - noto anche come "Miracolo sulla Vistola", immortalato nel celebre dipinto di Jerzy Kossak - della guerra russo-bolscevica del 1920, che vide contrapporsi i sovietici della settantanovesima brigata fucilieri ed i reggimenti trentatreesimo e trentaseiesimo della fanteria dell'esercito polacco, infine vincitore della contesa, e del conflitto.

L'iniziativa, promossa dal Consiglio per la Conservazione della Memoria della battaglia e dell'onore millitare, dal governo polacco, dalle autorità cittadine di Varsavia e da quelle locali di Ossow - tutte appartenenti al partito liberale "Piattaforma Civica", la forza politica del primo ministro, Donald Tusk, e del presidente, Bronislaw Komorowski - aveva già contemplato, lo scorso 15 agosto, la posa di una croce ortodossa in metallo: una prima fase, alla quale, il 23 agosto, avrebbe dovuto seguire l'inaugurazione ufficiale, con la presenza di rappresentanti dell'amabasciata russa.

Puntuali, militanti ed espopnenti di partiti di destra ed associazioni patriottiche polacche si sono presentati sul luogo all'ora prefissata, ed hanno presidiato l'area per impedire la cerimonia, definita come atto di vilipendio alla Polonia. Nulla da fare per gli organizzatori, che, con tanto di scuse alla delegazione russa, rientrata a Varsavia, hanno posticipato l'inaugurazione a data da destinarsi. Successivamente, con una nota congiunta, hanno dichiarato il proprio sdegno dinnanzi all'interruzione di un'occasione di dialogo, necessario, oggi quanto mai, per il miglioramento delle relazioni bilaterali tra Varsavia e Mosca.

Il Capo del Consiglio per la Conservazione della Memoria e del Coraggio Militare, Andrzej Kunert, ha sottolineato come l'omaggio ai caduti russi sia un atto moralmente pulito che non insulta affatto il popolo polacco. Più duro il sindaco di Zielonka, uno dei promotori dell'iniziativa, Piotr Wyszynski. "E' incomprensibile - ha dichiarato all'agenzia russa RIA NOVOSTI - gli stessi che pretendono, giustamente, commemorazioni dei caduti polacchi in ogni dove, sopratutto in Russia, Ucraina e Bielorussia, oggi hanno impedito una simile inizativa nei confronti dei russi. Ci vuole reciprocità - ha continuato - i nostri soldati non hanno combattuto contro animali, ma esseri umani".

Pronta la risposta dei manifestanti, che promettono impegno costante per evitare ulteriori prove di inaugurazione del monumento. Il leader del partito "Destra della Repubblica Polacca", Piotr Strzeborz, ha sottolineato l'inadeguatezza del carattere della commemorazione, dal momento in cui la posa del monumento è avvenuta il 15 di agosto, quando il Paese non solo ricorda la vittoria della battaglia di Varsavia, e con essa il sacrificio dei soldati polacchi, ma festeggia anche la Festa delle Forze Armate della Polonia. Un'occasione solenne, nella quale, proprio in questo anno, il neoeletto presidente, Bronislaw Komorowski, ha assunto la guida dell'esercito. Inoltre, ha aggiunto Strzeborz, il monumento ai russi è stato posizionato a poca distanza dal memoriale alle vittime della tragedia di Smolensk, creato nel cimitero all'indomani dell'incidente aereo.

"Sembra - ha dichiarato a Radio Liberty - che dalla tragedia di Smolensk buona parte degli esponenti della maggioranza si senta in debito con Mosca dinnanzi al cordoglio esternato dal primo ministro, Vladimir Putin. Ma non bisogna confondere la riconoscenza con l'asservimento. Quello di oggi [il 23 agosto, n.d.a.] è un gesto che rende sì omaggio ai russi, ma lo fa insultando la memoria polacca. La nostra è una posizione estremamente contraria. Non permetteremo il realizzarsi dell'inaugurazione".

Più ironico, ma altrettanto critico, un esponente del partito conservatore "Diritto e Giustizia", la principale forza di opposizione. Arkadiusz Muljarczyk ha evidenziato non solo l'inadeguatezza cronologica, ma anche stilistica dell'omaggio. Secondo il suo pensiero, una croce ortodossa mal rappresenta la reale natura dell'esercito russo che, appartenente alla neocostituita Unione Sovietica, combatteva sotto la bandiera rossa, la stella gialla, la falce ed il martello, e gli altri simboli del comunismo.

"Quel monumento - ha dichiarato, sempre a Radio Liberty - occorre cambiarlo. La croce non rende onore a soldati che la cristianità la combattevano, e che i fedeli li spedivano nei gulag. Il comunismo - ha aggiunto - in quanto a simbologia non è stato avaro. La gamma di scelta è ampia. Ci sia spiegato almeno il perché di questa scelta".

Gli organizzatori non intendono rivedere la scelta stilistica, e rendere giustizia storica ai caduti sovietici. Tuttavia, hanno promesso ulteriori tentativi di inaugurare il monumento, anche a costo di tenerlo segreto fino all'ultimo. Per rinnovare un dialogo, difficile, tra due popoli tradizionalemte avversari.

Matteo Cazzulani