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E' USCITO IL MIO LIBRO "LA DEMOCRAZIA ARANCIONE. STORIA DELL'UCRAINA DALL'INDIPENDENZA ALLE PRESIDENZIALI 2010", LIBRIBIANCHI EDITORE. Parte dei proventi finanzia l'Associazione AnnaViva.

sabato 29 maggio 2010

ONDA VERDE A KHARKIV: NO ALL'EUROSTRADA IN MEZZO AL PARCO.




Violenta reazione della polizia contro manifestanti, schierati in difesa del parco cittadino. Una donna gravemente ferita. Due gli arrestati.

Battaglia al Gor'kij Park. Non siamo sul set del celebre thriller di Michael Apted, anno 1983. Ma a Kharkiv, una delle maggiori città ucraine, già capitale nel periodo sovietico, oggi sede della terza università del Paese. Per tutta la notte si sono verificati scontri tra la polizia e cittadini del luogo, decisi ad impedire l'abbattimento di un alto numero di alberi del parco cittadino per la costruzione di una strada. Utile, secondo le istituzioni, al miglioramento delle infrastrutture cittadine in vista dell'europeo di calcio del 2012, di cui Kharkiv ospiterà alcuni incontri.

La protesta, organizzata dalle associazioni ecologiste "Noi, Kharkiviani" e "Pechenihy", è iniziata due settimane fa, quando un centinaio di giovani attivisti si è accampato attorno agli alberi, per evitarne l'abbattimento. Pronta la risposta della polizia locale, intervenuta tempestivamente per permettere il lavoro di buldozer e livellatori, con la minaccia di arrestare chiunque si fosse opposto ai lavori programmati.

I primi a finire in commissariato, lo scorso venerdì, sono stati gli organizzatori dell'azione. Un fatto che ha suscitato lo sdegno di turisti, sportivi e privati cittadini, accorsi sul luogo della protesta in segno di solidarietà.

L'escalation della violenza, nella giornata di martedi. Le forze dell'ordine si sono avvicinate alla tendopoli ed hanno aggredito i manifestanti. Prima, verbalmente. Successivamente, con spintoni. Una donna, Ljubov' Melnyk, è caduta a terra. Poi, è stata ripetutamente calpestata. I medici dell'ospedale, dove è stata ricoverata d'urgenza, le hanno diagnosticato una microfrattura alla spina dorsale che le rende impossibile ogni movimento. Secca la giustificazione della polizia, che ha provveduto a sequestrare i documenti della malcapitata. "E' stato un incidente, la donna è caduta da sé".

Differente la testimonianza della cinquantenne kharkiviana, la quale, forse intimidita, non ha sporto denuncia. "Non ho visto la persona che mi ha aggredito - ha dichiarato alla stampa - ma sono caduta, e ho battuto la spina dorsale. Ora ho un terribile male alla schiena. Non riesco a muovermi". A conferma, le dichiarazioni di altri manifestanti, che hanno spiegato come le incursioni delle forze di polizia continuino con regolarità, ogni mattina, per poi cessare ogni qualvolta sul luogo arrivano le telecamere dei media.

Maniere forti sono state riservate anche ai giornalisti: secondo quanto dichiarato dal corrispondente dell'agenzia di stampa Ukrajins'ki Novyny, Serhij Bobok, i poliziotti lo avrebbero preso a calci, e minacciato i colleghi di simile trattamento qualora non avessero sgombrato l'area.

Parole di apprezzamento all'operato della milicija sono state espresse dal governatore della regione, Mykhajlo Dobkin, del Partija Rehioniv, secondo cui i manifestanti non sarebbero altro che provocatori stipendiati dalle opposizioni per innalzare la tensione politica.

"Sono stati siglati tutti i permessi necessari, compresi quelli riguardanti l'equilibrio ecologico dell'area - ha dichiarato con una nota - i responsabili degli incidenti sono unicamente i cosidetti attivisti-ecologisti, hooligans spalleggiati dai giornalisti militanti accorsi in loco. Noi sosteniamo le forze dell'ordine ed il loro operato, e le esortiamo a continuare nel mantenere la legalità in maniera ferma e risoluta".

Cio nonostante, i manifestanti non si arrendono. Legati agli alberi, ricordano la natura apartitica delle loro organizzazioni, nonché il forte consenso inaspettatamente riscosso dalla popolazione, e si dichiarano pronti a continuare ad oltranza la protesta. Almeno fino a quando i piani di parziale distruzione del Parco Gor'kij non saranno rivisti, e le cariche delle forze dell'ordine non saranno definitivamente terminate.

Matteo Cazzulani

ANCHE IN UCRAINA SI PROTESTA PER LA LIBERTA DI MANIFESTAZIONE


Kyiv come Mosca e Minsk. E questo il messaggio lanciato da una serie di associazioni apartitiche ed apolitiche, allarmate per la messa in pericolo in Ucraina della libertà di associazione. Tale principio già è calpestato di continuo nella Bielorussia di Lukashenka e nella Russia di Putin, dove ogni 31 del mese i partiti dell'opposizione, di ogni colore, dai liberali ai comunisti, si riuniscono per una manifestazione, pacifica e nonviolenta, in difesa dell'articolo 31 della Carta Suprema russa. La quale, per l'appunto, dovrebbe garantire tale libertà, che, tuttavia, il Cremlino ignora continuamente.

La sitauzione a Kyiv è decisamente migliore, ma rischia di peggiorare dal momento in cui il governo ha deciso di accellerare la votazione in seconda - definitiva - lettura del disegno di legge 2450 "sull'ordine delle organizzazioni e sull'organizzazione di manifestazioni pacifiche". Esso prevede maggiori poteri alle forze dell'ordine, il divieto di organizzare meeting spontanei, e limitazioni su tempistica luoghi delle dimostrazioni. Significativa, del resto, è stata la dichiarazione del ministro dell'interno, circa l'opportunità di manifestare a casa propria, come in Kazakhstan.

Approvato in prima lettura lo scorso 3 giugno, su proposta dell'allora opposizione, da un parlamento con una maggioranza instabile, esso è stato saggiamente accantonato dal precedente governo, in quanto fortemente restrittivo di una delle libertà fondamentali della democrazia, garantita dall'articolo 39 della Costituzione ucraina. Tuttavia, la nuova maggioranza, composta dal Partija Rehioniv, Blocco Lytvyn e comunisti, forte di un cospicuo consenso, ha riaperto la questione, riportando il DDL all'esame delle commissioni per la ratifica finale.

Stando a diverse fonti, in tale sede le forze democratiche avrebbero posto ferma opposizione, riuscendo ad apportare alcune modifiche, quali la cancellazione del divieto di organizzare meeting spontanei e la concessione di maggiori poteri alle forze dell'ordine. Ciò nonostante, restano le limitazioni sui luoghi e sulla tempistica del preavviso di manifestazione, fissato a soli 4 giorni.

Il DDL 2450 sarà affrontato dalla Rada in occasione delle prossime sedute plenarie, in programma ogni fine del mese. La sua approvazione rischia di riportare l'Ucraina indietro di molti anni, quando le libertà fondamentali della democrazia - quella di stampa in primis - non erano garantite, e liberi giornalisti perdevano vita e diritti civili se non obbedivano ai temniki - le direttive - dell'allora presidente Kuchma.

Per evitare un ritorno di Kyiv agli standard in vigore in Bielorussa e Russia non resta che contare sull'opposizione parlamentare, composta dal Blocco Tymoshenko e da Nasha Ukrajina, protagonisti, nel 2004, della rivoluzione arancione, che quelle libertà le ha ottenute con la forza della lotta nonviolenta. E sull'attivismo delle associazioni apartitiche, che, lontano dalla politica, per espimere la propria contrarietà al tentativo di limitare la libertà di manifestazione si radunano martedì, 31 maggio, presso l'ambasciata della Federazione Russa a Kyiv. In solidarietà con le simili iniziative, in programma a Mosca ed in altre città del Paese dello zar del gas.

Matteo Cazzulani

venerdì 28 maggio 2010

KYIV E LEOPOLI: RATIO E SPIRITUS DELL'UCRAINA




Dal centro politico al cuore culturale del Paese. Dopo circa un mese di missione per le campagne dell'Ucraina, dove l'accesso ad internet è un lusso che in pochissimi si possono permettere, la tappa nelle due città più importanti è d'obbligo non solo per abbracciare cari amici, ma anche per fare il punto della situazione politica.

Kyiv è la solita capitale, affascinante, che non tradisce mai. Tutta un'altra musica rispetto a Varsavia, da dove è iniziato il viaggio dell'Eurobus: non c'è la cupa atmosfera del post-tragedia di Smolensk, né la gioiosa parata Schumann. Bensì, un solenne ricevimento presso la sede della Rappresentanza UE in Ucraina, con tanto di presenza di Console e stampa, per trarre le conclusioni del progetto. Le istituzioni esprimono parole di elogio ed illustrano i vari progetti che Bruxelles finora ha attuato e che ha in cantiere. Purtroppo, nulla di concreto da consentire un più rapido ingresso di Kyiv in Europa, ad oggi previsto non prima del prossimo sbarco dell'uomo sulla Luna.

Ciò nonostante, l'entusiasta José Manuel Pinto Teisera dimostra soddisfazione per l'interesse che giovani comunitari nutrono nei confronti dell'Ucraina, e spiega come per il futuro siano necessarie numerose iniziative simili a quella dell'autobus itinerante per paesini di campagna e periferie. "Non uno - ha dichiarato il Console, dopo avwer appreso che il problema più serio è l'assenza di accesso ad internet e di conoscenza della lingua inglese - mille di questi progetti devono essere ripetuti ogni anno. Bisogna rafforzare la cooperazione tra giovani ancora divisi da troppe barriere burocratiche, linguistiche e tecnologiche".

Rispetto all'ultima visita, diverso è anche il Majdan. Non c'è più la neve, né i tavolini elettorali del Blocco Tymoshenko. Nel Parco Maryjns'kyj sono sparite le tende dei blu di Janukovych: pensionati e giovanotti sfaccendati, assoldati dal Partija Rehioniv per sostenere il presidente. L'unica struttura, dinnanzi alla Rada, è un complesso di Gazebo adibito a chiesa. Lo ha installato la comunità di fedeli della oblast' di Ternopil' per ricordare ai deputati che in loco, a pochi metri di distanza, molto tempo prima sorgeva una chiesa, abbattuta dai comunisti per lasciare spazio al monumento al Generale Vatunyn, eroe dell'Unione Sovietica. "Non pretendiamo che venga ricostruita - spiega Nadezhda, cinquantenne partecipante della protesta - ma che ne sia ricordata la presenza. Anche solo con una targa".

Martedì, 18 maggio, prima che i fedeli ternopoliensi si installassero, la piazza è stata teatro di una vittoria politica Comitato per la Difesa dell'Ucraina: una manifestazione contro la permanenza della flotta russa del Mar Nero in Crimea fino al 2042, e la fusione tra i colossi energetici ucraino e russo, Naftohaz e Gazprom, che avrebbe dovuto essere firmata il giorno stesso, a Kyiv, dai due presidenti, Janukovych e Medvedev. 2 mila gli oppositori. Non molto, ma abbastanza per lanciare un forte segnale di disapprovazione, al punto che la temuta ratifica non ha avuto luogo.

A spiegare l'accaduto è Taras, giovane militante della sede locale di Bat'kivshchyna, il partito di Julija Tymoshenko, anima dell'Opposizione Democratica. Il suo è anche un appello forte e sincero, ben più concreto di quanto udito alla sede UE, indirizzato a chi di professione fa il cronista free-lance e scrive con l'Ucraina nel cuore. "Continuate a darci una mano, almeno voi. Scrivete, spiegate che il nostro è un problema per tutta l'Europa. Se l'Ucraina perde la propria indipendenza, a risentirne sarà tutto il continente. Bruxelles non può lasciarci soli. Abbiamo bisogno dell'Europa, per il progresso della nostra nazione".

E' con questa analisi, molto razionale, che Kyiv vive il tormentato momento politico attuale. In cui, tralaltro, il governo è a un passo dall'eliminare lo status dell'ucraino come lingua dell'amministrazione, a favore del russo. Un disegno anticostituzionale, ed antipatriottico, del ministro della cultura, Dmytro Tabachnyk, che malgrado non sia stato ancora approvato ha già provocato i primi effetti: nelle librerie del centro della capitale, trovare cartine geografiche e manuali di storia, letteratura e politica nella lingua di Shevchenko - Taras, il poeta nazionale - è pressoché impossibile. A differenza di solo qualche mese prima, domina l'idioma di Pushkin.

Antemurale dell'ucrainicità sembra essere solo Leopoli, fiera capitale della Galizia, culla della cultura, della lingua e dell'orgoglio nazionale. Il 25 maggio, una saggia decisione del Consiglio Comunale ha stabilito che anziché "Grande Guerra Patriottica" - voluto dai russi e finora in vigore nel Paese - il termine "Seconda Guerra Mondiale" è il più adatto ad indicare il sanguinoso conflitto che dal 1939 al 1945 ha insanguinato l'Europa. E Leopoli in particolare, sconvolta non solo dai rastrellamenti dei nazisti, ma anche dalla barbarie comunista.

Leopoli è un vero e proprio cuore che, in quanto tale, vive la politica con forte emozione e profonda partecipazione. Così, nella giornata di giovedi, 27 maggio, la cittadinanza è in subbuglio per l'arrivo del presidente Janukovych in occasione nel congresso del suo partito, organizzato presso la sede del Politecnico. Già da tempo, il capo dello Stato avrebbe dovuto presenziare in città, ma per ben due occasioni ha rinunciato all'ultimo momento, timoroso del contatto con una popolazione a lui politicamente avversa. Contrarietà all'operato della maggioranza è stato espresso da circa 300 dimostranti, riuniti sotto le bandiere delle forze politiche di opposizione Svoboda, Za Ukrajinu e dell' Ukrajins'ka Respublikans'ka Partija (URP).

"Vergogna", "Prendi le valigie, e in treno fino a Mosca", "Janukovych governatore della Piccola Russia" [com'era definita l'Ucraina sotto l'impero zarista, n.d.a.] questi gli slogan dei manifestanti, separati da un cordone di polizia dai supporters del Partija Rehioniv, poco più di un centinaio. Persino il meteo dice la sua: l'arrivo dei principali esponenti politici, da Serhij Tihipko a Hanna Herman, fino a Volodymyr Lytvyn - lo speaker della Rada, alleato di governo - è accompagnato da fortissimi scrosci di pioggia. Il più forte, per ironia, proprio quando arriva Janukovych, a bordo della lussuosa auto presidenziale.

Le promesse di rivedere le pensioni dei galiziani, e di ritornare per inaugurare lo stadio in cui si disputeranno gli europei del 2012, non sono bastate a placare la protesta. Alle vane parole, e al pallone, la maggior parte dei leopoliensi preferisce i libri, la cultura e la propria vocazione turistica, che l'amministrazione comunale ha sviluppato con successo negli ultimi anni. "Temiamo la svendita degli interessi nazionali - dichiara Mykola Oleksijevych, dell'URP - L'viv [Leopoli, n.d.a.] ha le idee chiare. L'Ucraina non è Mosca, ma parte dell'Europa".

Infine, sia consentita una piccola digressione. Poco giornalistica, ma necessaria. Quanto composto dal sottoscritto è A TITOLO PERSONALE, tanto è che i pezzi sono corredati dalla firma. Una delle corrispondenze è stata tradotta - in russo - sfalsata, e pubblicata da persone intenzionate a discreditare il progetto dell'Eurobus, che ha un suo sito e un suo servizio di informazione che NON è questo blog. Questi simpatici amici, che non si sono firmati, non sono nuovi a tale trovate: già hanno riempito di insulti la casella di posta elettronica dell'appello rivolto alle autorità italiane affinché Roma riconosca l'Holodomor come genocidio.
Felicemente, in Unione Europea esiste la libertà di stampa. Il giornalista, anche i free-lance, osservano, registrano, comunicano con la popolazione. E scrivono. Possono avere opinioni personali, ma nessuno ha il diritto di sfalsare il loro messaggio - specie se maturato da diretta documentazione - nè, tantomeno, di censurarli. Chi cerca di fare ciò è innanzitutto disonesto e scorretto. Nonchè, per nulla rappresentativo degli ucraini: popolo europeo, che per la libertà di espressione si è battuto a più riprese.
L'operato di chi ha cercato, e cerca di continuo, di discreditare lodevoli progetti per rafforzare la vicinanza tra Kyiv e Bruxelles è un insulto a persone di diversa nazionalità che, onestamente, lavorano con l'Ucraina nel cuore, e che considerano la Libertà di Stampa un valore cardine della propria vita. L'Ucraina vera sono tutte le persone, le amministrazioni comunali e gli amici che hanno accolto in maniera eccellente, e a cuore aperto, i giovani europei, che mai si sono trovati a disagio - a parte per l'assenza di internet e per le scomode toilette. E non chi non conosce, e, quindi, non rispetta, la libera espressione.

Khaj Zhyve Nezalezhna Derzhava! Slava Ukrajini.

Matteo Cazzulani

giovedì 27 maggio 2010

ЗВЕРНЕННЯ ПРО СТАТТЮ ПРО ІЛЛИЧИ ТА КРЕМЕННУ

Переклади стаття про Кременну на російску була погана та неправильно робиона.

У Кременни ми були добре привитанні не було жодного страшного. Ці переклади це лише постарання дискредитація нашим друзям у Кременні та Ілличі, проекту Євравтобусу і моєї особи.

Хочу додати, що молоді у тих селах гостінні та добро співпрацювали. Усі.

Маттео Каццулані

martedì 25 maggio 2010

TROSTJANEC’ E ZHOVTEVNE: IL DOLCE E L’AMARO DELLA REGIONE DI SUMY.




Una lotta perenne tra due fazioni politiche, le cui sedi sono a pochi metri di distanza l’una dall’altra. Fosse ancora vivo, il buon Guareschi avrebbe di che sorridere nel constatare che il canovaccio del suo Don Camillo ha trovato realizzazione in Trostjanec’, paesino della oblast’ di Sumy, a pochi chilometri dal confine con la Russia. Difatti, così come a Brescello, nella piazza principale coesistono il diavolo e l’acqua santa: il monumento agli eroi della patria, il santuario in memoria delle vittime dell’Holodomor, la chiesa ortodossa, la casa della cultura, in stile sovietico, e il monumento a Lenin. Inoltre, leit-motiv della vita politica del centro abitato è lo scontro tra la RajDerzhAdministracija – l’amministrazione provinciale, di nomina presidenziale – ed il consiglio comunale – scelto da elezioni dirette. Il quale, malgrado tutto, è uno dei rari esempi di buon governo del territorio.

Seppur situato in aperta campagna, Trostjanec’ conta solo il 15% di impiegati nell’agricoltura. Il resto, o è pendolare nella vicina Kyiv, oppure lavora nella Kraft, la dolciaria locale, leader nel settore in tutta l’Europa Centro-Orientale, la cui presenza è fondamentale per la sopravvivenza dell’economia del luogo: grazie agli aiuti economici da essa provenienti, il bilancio cittadino non necessita dei fondi aggiuntivi del governo per la propria sussistenza.

“Diamo occupazione e garanzie economiche – spiega il direttore dell’azienda – in piena armonia con l’amministrazione comunale. Ma non solo. Due anni fa abbiamo donato un’autoambulanza all’ospedale, e versato un migliaio di hryvnje per iniziative di carattere sociale. Oltre che coi dolciumi, intendiamo regalare un sorriso anche con i fatti. Senza nulla chiedere in cambio”.

Indipendentemente dal dolce contributo della Kraft, e dallo scontro intestino tra le due amministrazioni locali, merito della prosperità di Trostjanec’ è tutta dell’energico sindaco, Jurij Bova, autore di un massiccio piano di modernizzazione delle infrastrutture e dei costumi, basato per intero sul contributo volontario della cittadinanza e sulla lotta a sprechi e corruzione. In carica dal 2005, l’amministratore locale è riuscito nell’impresa di aumentare l’occupazione dei suoi concittadini, costruire nuove strade, luminarie e centri per l’aggregazione giovanile, varare una piccola emittente televisiva locale e valorizzare il patrimonio storico-culturale del territorio.

“Non è stato per nulla facile – dichiara, vanga alla mano, intento a dissodare il terreno circostante alla Fortezza delle Ninfee, monumento in omaggio alla vittoria di Poltava, sotterrato dai comunisti in quanto celebrativo di una sconfitta dell’impero russo – la RajDerzhAdministracija, secondo Costituzione, ha il dovere di eseguire le direttive approvate dal Consiglio Comunale, che presiedo sostenuto da una maggioranza di socialisti della SPU e dal Blocco Tymoshenko. Ma non è così. Ciò malgrado, abbiamo lavorato duro. Tutto merito dei miei concittadini. I quali, insieme a me, hanno ricostruito un paesino in degrado dopo le disastrose amministrazioni precedenti”.

Concordemente con l’origine del cognome, Bova è un pragmatico alla francese che alle lodi preferisce illustrare gli ambiziosi piani per il futuro, miranti a rendere Trostjanec’ la capitale ucraina del cioccolato. A tale pro, per i prossimi tre anni la giunta ha previsto il raddoppio del bilancio cittadino – attualmente pari a 8 milioni di hryvnje, la costruzione di alberghi ed agriturismi sul modello occidentale, e la continuazione nella lotta a sprechi e corruzione.

“Godiamo di una certa autonomia decisionale, che ci permette di disporre di finanze e di operare indipendentemente dalla RajDerzhAdministracija – sottolinea il trentenne primo cittadino – credo che il futuro di Trostjanec’ sia il turismo, e non l’agricoltura. Ho in mente l’Unione Europea. E penso al benessere dei nostri giovani, non agli interessi personali di una vecchia nomenclatura”.

A rendere la situazione nel contempo idilliaca e surreale è l’ampio consenso, quasi bulgaro, riscosso dal sindaco. Persino tra gli oppositori: trovare qualcuno disposto a criticarlo è davvero opera ardua. “Siamo naturalmente all’opposizione di una giunta sostenuta dai socialisti – dichiara Hennadij Oleksijovych, coordinatore cittadino del partito Svoboda – ma battere Bova è davvero dura. Tutti in città ne riconoscono le doti di buon amministratore. Nessuno muore di fame, c’è lavoro. E siamo proiettati verso il progresso”.

L’esempio positivo di Trostjanec’ è controbilanciato da quello di Zhovtevne, altro agglomerato della regione di Sumy. Anche qui, l’atmosfera è guareschiana: il centro abitato si estende attorno ad una lunga direttrice di una manciata di chilometri che unisce la chiesa ortodossa alla Rada locale. Accanto alla quale, sotto il comunismo, quando ancora Zhovtevne si chiamava Oktjabjars’ka, alla russa, sorgeva il canonico monumento a Lenin, spostato appena dopo la vittoria arancione del 2004. Nel mezzo del boulevard – come i locali chiamano affettuosamente la loro via principale – due laghetti artificiali forniscono acqua e carpe, elemento basilare della cucina del posto. Anche a Zhovtevne la popolazione è composta prevalentemente da operai, da due anni assunti dalle industrie chimiche di Sumy, dopo lo smantellamento dello zuccherificio locale.

Pur trovandosi nell’est del Paese, politicamente l’intera oblast’ è orientata in favore delle Forze Democratiche, tanto che alle ultime presidenziali Julija Tymoshenko ha stravinto con il 68% dei consensi. Un affronto per Viktor Janukovych, che a più riprese ha minacciato di fare della ribelle Sumy un enorme kolkhoz. Promessa mantenuta, una volta vinte le elezioni. Il nuovo governo, instaurato ad immagine e somiglianza del presidente, ha ridimensionato sensibilmente i fondi per lo sviluppo delle aree rurali, tragicamente decadute in pochi mesi laddove a governarle non c’è l’energico Jurij Bova di turno, ma un bonario Ivan Anatoljevych, maggiormente interessato ad iniziative ludiche piuttosto che al benessere del suo territorio.

“Un piano di ammodernamento la SilRada [l’amministrazione cittadina, n.d.a.] l’aveva approntato – spiega a bordo della sua Lada Hennadij Vasyljevych, zhovtevniano dalla nascita – ma il bilancio 2010 ci ha tagliato le provvigioni. Così, non ci rimangono che la pesca e le patate. Avevamo anche le barbabietole, ma lo zuccherificio è stato smantellato. Ed ora, pare, lo ha acquistato una compagnia azera, con la benedizione del governatore della regione, appena insediato da Janukovych”.

La situazione di Zhovtevne, purtroppo, è infelice. Passeggiando per il paese si possono scorgere abitazioni in lamiera, gelide d’inverno, roventi d’estate. Ciò nonostante, come racconta Lesja Serhijivna, la vita va avanti. “Ho visto la guerra, le violenze e le repressioni dei nazisti e dei sovietici – testimonia la settantenne, impegnata a condurre al pascolo la gallina, pulcini al seguito – e sono sopravissuta. Non mi spaventano le minacce del presidente. Se non c’è il denaro per ristrutturare case e strade si tira avanti, come fatto finora. Con la fede, e la fiducia in un avvenire migliore”.

Parole di speranza, tipiche di una persona religiosa. Le quali, invece, durante l’ultima lezione di giornalismo sono state declinate dai giovani di Zhovtevne con un solo, concreto, concetto: Europa.

Matteo Cazzulani

martedì 18 maggio 2010

SACHNOVSHCHYNA: TRA STABILITA E LIBERTA’ DI STAMPA



Qual è il prezzo della libertà di stampa? Questa è la domanda che sorge spontanea a Sachnovshchyna, durante l’ennesimo teatrino del Den’ Jevropy, nell’ennesima piazza Lenin, sotto l’ennesima statua del creatore dell’Unione Sovietica. Ma, oramai, dalla sorpresa si è passati al disgusto. Siamo in provincia di Kharkiv, l’ex capitale dell’Ucraina Sovietica, in un paesino di campagna che, tuttavia, nulla ha a che vedere con il tipico paesaggio agricolo.

A dominare a Sachnovshchyna è l’imponente panificio:un’enorme struttura, per un quarto di proprietà statale, per il resto compartecipato da un cartello di oligarchi locali e russi. Poi c’è la ferrovia, parallela alla quale si trova la via principale con i suoi negozi ed il mercato, ove simpatiche babushky vendono, e regalano, di tutto, dai libri – in russo ed ucraino – ai cappellini in tessuto di jeans con la bandiera ucraina. Da essa, una via parallela comunica con la piazza centrale, un immenso spazio di un chilometro quadrato dedicato a Lenin, la cui statua domina il lato principale. Sembra un esagerazione, ma in fondo non lo è se si tiene a mente che qui le autorità, ancora oggi, passano in rassegna le delegazioni delle fabbriche di tutto il circondario. Poi, ci sono altri due monumenti. Il primo, nel parco adiacente, ai caduti dell’armata rossa: un bassorilievo enorme con i volti dei militari ed una luccicante stella rossa. L’altro, nascosto nel lato opposto di piazza Lenin, alle vittime di Chernobyl: una piccola grotta, capeggiata da una croce ortodossa. Non lontano, inoltre, si trovano i due edifici nevralgici per la vita della cittadina. La SilRada, centro amministrativo, e la Casa della Cultura. Entrambi, in stile sovietico.

Anche qui, di contadini non ce ne sono. Le donne vendono prodotti al mercato, mentre gli uomini lavorano o nel grande panificio, la cui spiga di grano, impressa sulla facciata dell’edificio, è utilizzata anche come stemma del paesino, o nelle industrie metal meccaniche di Kharkiv. Il resto della manodopera è assorbito dall’amministrazione, che, suddivisa in tre organi con identiche competenze, svariati incarichi ed una miriade di vice capo, non è in grado di decidere nulla, ma, almeno, da impiego a un centinaio di persone. La popolazione è tiepidamente gentile ed ospitale, capisce e parla l’ucraino, e conduce uno stile di vita estremamente rigido ed ordinato.

A rappresentarli è il governatore, Volodymyr Volodymyrovych Bojuk, uomo di mezza età, amante della buona cucina e della horil’ka (vodka), che tiene a definirsi un sincero patriota pragmatico che lavora per il bene della sua gente e del suo territorio. Amico personale del presidente Janukovych, la cui foto, sempre in stile sovietico, campeggia d’obbligo in ogni locale della SilRada, ha contribuito a scrivere il programma del Partija Rehioniv per l’ultima campagna presidenziale che, assicura, così come le operazioni di voto, nella sua cittadina si è svolta regolarmente, senza brogli, né contestazioni alcune. Per il governatore, un altro valore fondamentale è l’ospitalità, soprattutto se consona al cerimoniale ufficiale. Lo dimostra con la ricca cena offerta all’equipaggio dell’Eurobus all’arrivo a Sachnovshchyna: portate di carne, varenyky, kolbasy e buterbrod, intervallate da brindisi introdotti da discorsi di non meno di tre minuti ciascuno. Anche sulla politica nazionale ha le idee chiare. Occorre adoperarsi per il bene della gente, dare lavoro a tutti e alzare le paghe sociali. Accanto a ciò, lo sviluppo della sua regione, un territorio che, a differenza delle regioni occidentali, produce, a suo dire, tutta la ricchezza del Paese.

“Siamo tutti patrioti – esordisce a tavola – e vogliamo il bene dell’Ucraina. Unita, ma sia chiaro: noi, qui, lavoriamo. Non come a ovest, dove non si produce nulla, e la popolazione emigra in Unione Europea per servire come camerieri e zappare la terra. Perché non farlo anche qui da noi? Janukovych è un amico intimo, una persona pragmatica. Sono favorevole all’Europa, perché abbiamo bisogno di progetti come il vostro e dei finanziamenti di Bruxelles. Le nostre industrie non sono in buono stato, bisogna aiutare i nostri grandi imprenditori ad assumere di più. Ma più Europa non significa voltare le spalle alla Russia, che si è sempre preoccupata del benessere di un popolo fratello come il nostro”.

Per dovere di cronaca, alla domanda sul come la permanenza dell’esercito di Mosca in territorio ucraino fino al 2042 e l’assorbimento da parte del Cremlino del sistema infrastrutturale energetico di Kyiv possano essere considerati come un atto di ausilio disinteressato da parte del fratello maggiore russo, il Borghezio locale non ha risposto. Sta di fatto che il buon amministratore locale di perplessità ne genera anche tra i suoi concittadini, obbligati a lavarsi, cucinare e lavare i piatti tassativamente entro le nove della sera, prima della chiusura notturna dell’acqua corrente.

“Volodymyr Volodymyrovych dice che non ci sono i soldi per garantire il funzionamento dell’acquedotto per l’intera giornata – spiega Petro Mykolajovych, abitante di Sachnovshchyna – eppure di tasse ne paghiamo, sia allo Stato che all’amministrazione locale. Il hubernator [governatore, n.d.a.] si limita ad occupare la carica che gli hanno assegnato, e nulla di più. Niente per il bene della gente, né per il territorio”.

A conferma, la testimonianza di Ludmila Serhijivna, tanto orgogliosa del suo nipote quanto arrabbiata con la SilRada. In lingua russa, illustra tutto il suo scetticismo nei confronti delle promesse del hubernator, e dell’attuale governo, circa l’innalzamento delle paghe sociali, ed esprime la sua nostalgia per l’epoca sovietica, quando le paghe erano garantite e le entrate, sicure, permettevano un modesto stile di vita. E non importa se di libertà non ce n’era. Caduto il comunismo, l’economia ha sempre vacillato, e chi ne ha risentito sono state le persone che, come lei, operaia prima e pensionata poi, percepiscono una retribuzione a reddito fisso.

“Ma quali aiuti, sono solo promesse. Le stesse che sento da ogni governo. Prima, soprattutto sotto Brezhnev, prendevo abbastanza per comprarmi cipolle e pomodori ogni giorno. Oggi me li posso permettere solo una volta al mese. Andrij [il nipote, n.d.a.] non trova lavoro, e per questo si allena nella squadra di calcio del Paese. E’ un campione, ma non ha un impiego. Volodymyr Volodymyrovych non mantiene alcunché, si limita a vendere le industrie del luogo ai suoi amici e a indire appalti per la gestione delle terre. E’ un pessimo amministratore”.

Dinnanzi a tale scontento ci si aspetterebbe una reazione della popolazione, per lo meno a livello elettorale. Invece no. Il Partija Rehioniv, forza politica di Janukovych, e del governatore, vince con percentuali bulgare ad ogni votazione. Il perché lo spiega Viktor Volodymyrovych Sydorenko, responsabile locale della missione Eurobus, che sottolinea come malgrado ci possa essere tutto il malcontento possibile nei confronti delle attuali autorità locali e statali, la gente voglia solo stabilità, senza lanciarsi in avventurosi cambiamenti.

“Stabilità. E’ questa la parola chiave per comprendere come la gente vota qui – argomenta, mentre, sconsolato, mostra al sottoscritto e al collega della radio polacca quello che sarebbe dovuto diventare il campetto polisportivo di Sachnovshchyna: una distesa d’erba. Deserta, dal momento in cui l’amministrazione locale si è rifiutata di concedere fondi – hanno tutti paura del cambiamento, una pigrizia politica ereditata dall’Unione Sovietica, che qui è sentita con molta nostalgia. Nessuno, diversamente che nelle regioni occidentali, è sensibile alle questioni nazionali. Anche perché qui la popolazione è di origine russa, spostata a forza da Stalin per rimpiazzare i locali, esiliati in Siberia, nell’ambito dell’operazione di russificazione dell’Ucraina degli anni trenta”.

A quanto risulta, una cambiamento politico è poco probabile. Salvo, mediante il realizzarsi di una rivoluzione generazionale, puntando sull’interesse verso l’Europa dimostrato dai, pochi, giovani accorsi al Den’ Jevropy. Ma, fatto ancora più tragico, a dare una mano non c’è nemmeno una stampa libera. A confidarlo è una collega del quotidiano locale, ansiosa di condividere con un giornalista occidentale il proprio disagio e, come apertamente dichiarato, di affidarli un messaggio di allarme da portare e diffondere in Europa. Tetjana Tetjanova – il nome, per ovvi motivi, è di fantasia – spiega come nel territorio la sua attività sia continuamente ostacolata da pressioni delle autorità che, prima con consigli, poi con direttive sempre più esplicite, fino alla minaccia di licenziamento, la obbligano a dare un immagine di Sachnovshchyna come città impeccabile, ordinata, ideale. Il tutto, da tre anni a questa parte. Una prassi che si reitera, indipendentemente dal colore politico della giunta territoriale, ora di maggioranza del Partija Rehioniv, prima di Nasha Ukrajina.

“Ciò che motiva la mia professione è raccontare la verità per informare. Non ho paura nel dichiarare che la stampa locale è sotto pressione da parte delle autorità. E non solo a Sachnovshchyna. Colleghi dei circondari limitrofi subiscono gli stessi atteggiamenti. Non si tratta di temniky [documenti inviati dalle autorità alle redazioni con le indicazioni su quali priorità dare alle varie notizie del giorno], ma di pressioni psicologiche. Le stesse utilizzate nelle fabbriche dai grandi industriali per indirizzare il voto degli operai. Ma, sia chiaro, non è solo colpa di Janukovych. Anche la precedente amministrazione, nominata da Jushchenko, aveva lo stesso atteggiamento. Non voglio tornare ai tempi dell’Unione Sovietica, ma solo poter scrivere liberamente. Un domani, forse grazie all’Europa, il mio sogno potrà realizzarsi”.

Matteo Cazzulani

domenica 16 maggio 2010

IL TEOREMA PETRYKIVKA.



La festa dell’Europa in via Lenin. L’ennesima contraddizione in salsa ucraina, che Petrykivka, quarta tappa della missione, ha regalato all’equipaggio dell’Eurobus, sbalordito da tale accostamento, quasi fosse dinnanzi a un piatto di pasta alla marmellata. In effetti, è bastato varcare il Dnipro per sentirsi indietro di trenta anni. La bandiera europea accanto al monumento del fondatore dell’Unione Sovietica, è grottesca. Ma, nel contempo, altamente indicativo della realtà territoriale.

Petrykivka è una cittadina di circa 5 mila abitanti, a una manciata di chilometri da Dnipropetrovs’k. A differenza dei casi precedenti, essa non si sviluppa su una strada maestra, bensì su un incrocio, su cui danno la rada locale, una filiale della UkrPromBank, il museo dell’amicizia, un muro dipinto ad hoc di bianco-rosso – colori caratteristici dell’identità nazionale ucraina, non a caso usati da Julija Tymoshenko nell’ultima campagna presidenziale – con la scritta in nero “Petrykivka vi da il benvenuto”, ed il principale negozio di alimentari, su cui campeggia un abnorme manifesto inneggiante all’armata rossa.

L’organizzazione è impeccabile, in perfetto stile sovietico. Accolti nella notte dalla canonica cerimonia del Karavaj – una bella fanciulla in abiti tradizionali, accompagnata dalle autorità locali, porge una torta di benvenuto agli avventori – i giovani diplomatici europei sono stati messi al corrente dal sindaco, istantaneamente, sul programma della due giorni: ore 8, sveglia. Ore 8:30, colazione comune. Ore 9, inizio dei seminari, i cui partecipanti sono stati già designati d’ufficio, senza possibilità di scelta. Ore 11:30, pausa per tutti. Ore 13:30, pranzo con le autorità. E così via. La sicurezza è garantita dalla polizia locale, omnipresente ad ogni iniziativa, coadiuvata dalle forze anti sommossa in tuta grigia. “Il paese è sicuro, ve lo garantisco – dichiara in tono solenne il capo della milicija, Lavrentij Tarasevych – ma baderemo alla vostra incolumità. Non temete, vi seguiremo ovunque”.

Come si possa lavorare tranquilli dinnanzi a tale benvenuto è un enigma. Così come è poco chiaro il perché a tutela degli giovani europei le autorità abbiano mobilitato persino la ochorona, se la cittadina è davvero sicura. Fatto sta che a Petrykivka non ci sono contadini, ma solo operai. Pendolari per giunta: ad attrarre la forza lavoro sono le industrie metal meccaniche del capoluogo, Dnipropetrovs’k, in particolare la InterPipe di Viktor Pinchuk, oligarca-pupillo dell’autoritario presidente Kuchma, al punto da riceverne la mano della figlia, oggi lontano dalla politica e dedito al mecenatismo e ad attività filantropiche. Tuttavia, a subire l’attrazione di Dnipro – com’è ribattezzata affettuosamente la città – sono solo i pochi fortunati che lavorano. Si, perché la stragrande maggioranza dei petrykivne un impiego non ce l’ha.

“La mattina e la sera è un viavai unico dalla stazione degli autobus – spiega Tetjana Dovzhenko, collega della testata locale Dniprovs’ka Zora – tutti a Dnipropetrovs’k, a lavorare in fabbrica. Sono solo il 20% dei locali. Qui la disoccupazione è alta, soprattutto tra i giovani. Gente che passa il tempo in strada, o alla ricerca di impieghi quotidiani per aiutare le famiglie. I meno volenterosi, invece, spendono i pochi soldi che hanno in tasca in birre, unica compagna in grado di farti passare la giornata”.

In effetti, di giovani per strada ce ne sono tanti anche in occasione del Den’ Jevropy, in cui Petrykivka mette in mostra i suoi talenti, dai piccoli allievi della scuola di pittura alla cantante pseudo-pop impegnata in cover della cantante Nastja – voce ufficiale della campagna di Julija Tymoshenko – e dell’immancabile Celentano, forse in onore dell’unico componente del nostro Paese, rappresentante di turno della missione.

Tutti sono interessati nell’interagire con i viaggiatori venuti da tanto lontano, sopratutto Sasha e Kostja. I due ventenni di anni ne dimostrano almeno dieci di più, anche perché da tre stagioni lavorano nell’industria casearia, sempre a Dnipro. Vogliono parlare di Europa, comprenderla e, soprattutto, integrarsi. Per costoro, la bandiera blu con 12 stelle rappresenta un sogno. Ed una possibilità di trovare lavoro e prosperità economica.

“L’Europa la vediamo solo in televisione, con la Champions’ League – dice Sasha – ma il Dnipro [la squadra di calcio di Dnipropetrovs’k, n.d.a.] non è in grado di qualificarsi, e la Dynamo e lo Shakhtar [le squadre rispettivamente di Kyiv e Donec’k, n.d.a.] raramente hanno possibilità di successo. Non sono mai stato in Italia. Ma vorrei tanto vedere il Colosseo. E stringere la mano a Totti. Chi c’è stato mi ha detto che si vive bene, e guadagna molto. Qui, invece, o ti accontenti, o non hai un impiego”.

Il perché di tale disoccupazione è spiegato da Kostja, collega di Sasha, giunto per l’occasione dalla vicina Chumaky, un’ altro borgo di campagna dominato nella sua piazza principale dalla statua di Lenin, con la scritta “Gloria al Lavoro”. Malgrado il motto cittadino, di lavoro non c’è ne. E nemmeno di gloria. Gli operai provenienti dalla vicina Moldova sono assunti più volentieri dai grandi imprenditori locali, russi, perché disponibili a paghe nettamente inferiori rispetto a quelle percepite da un ucraino medio. Un fenomeno che ha decrementato i salari ed inflazionato il numero dei senza impiego. Il tutto, senza alcun intervento, né da parte del governo, né da parte delle autorità locali, conniventi con gli oligarchi dell’area, ed abili a sfruttare la situazione a proprio vantaggio.

“Non c’è lavoro – spiega Kostja – colpa dei moldavi. Questi arrivano, si accontentano di paghe più basse, e ci rubano il lavoro. Vivono in quartieri separati, persino nei nostri villaggi. Hanno paura della nostra vendetta. Io non sono ostile, ma ogni tanto qualche rissa scappa. Bisogna capire che i responsabili sono anche gli imprenditori russi, che i moldavi se li portano da Mosca. Comprano la fabbrica per quattro soldi, e cacciano noi ucraini, in casa nostra. E nessuno ci da niente, tranne durante la campagna elettorale, quando il Partito ci riempie di hryvnje”.

Il gioco è presto spiegato. E che Dnipropetrovs’k sia un baluardo filorusso è una barzelletta venduta dai media nostrani e bevuta da chi l’Ucraina la vede da lontano. Gli autoctoni, soprattutto i giovani, si sentono ucraini. Parlano e capiscono perfettamente l’ucraino, anche se tra loro riesce meglio comunicare in russo. Vogliono l’Europa, e credono profondamente che il futuro della loro nazione sia a Bruxelles, e non a Mosca. Tuttavia, occorre vivere. E i soldi per mangiare te li danno solamente o gli oligarchi russi che, d’accordo con le autorità locali, controllano l’intera filiera della grande industria dell’area. Oppure, il Partija Rehioniv, la forza politica dell’attuale presidente, che sotto elezioni si ricorda dei disoccupati di Petrykivka e li assume come “volontari”, influenzandone inevitabilmente il voto.

“C’è un connubio tra i grandi industriali e il partito – spiega il responsabile regionale del progetto di cooperazione UE-Ucraina, Mykola Syrota – essi non solo sono abili a sfruttare a proprio vantaggio l’enorme disoccupazione, ma hanno tutto l’interesse a mantenere lo status quo: gli stipendi restano bassi, e tutti votano per chi ti paga durante la campagna elettorale. Il tutto, grazie all’aiuto dei media. Julija Tymoshenko, in passato, ha fatto tanto per Dnipropetrovs’k, dove è nata. Ma dal 2001, da quando è stata incarcerata per assurde accuse, ha perso il controllo del territorio, e ad oggi è continuamente discreditata dai media, che la rendono impresentabile. I petryvkine voterebbero per lei, ne condividono le idee. Ma devono mangiare. Così, ci teniamo persino il monumento a Lenin. E l’Europa, a cui apparteniamo, possiamo solo sognarla”.

A confermare tale teorema è Oleksej Michajlovych, uno di quegli anziani frequentatori del mercato locale ansioso di parlare di sé. Sostiene di percepire 180 hryvnje – 80 euro – mensili di pensione: una miseria, dal momento in cui, tolte le bollette, soprattutto quella, costosissima, per il gas, per vivere di hryvnje gliene rimangono solo 30. Poco più della bottiglia di horil’ka che, nonostante tutto, tiene ad offrire agli ospiti, accolti in casa per parlare serenamente, lontano dalla “protezione” della milicija locale. Dice di sentirsi fieramente ucraino e di non credere alle promesse di Janukovych circa l’innalzamento delle paghe sociali e delle pensioni. Parole già spese in passato quando premier era lui, ma mai mantenute.

“Sono vedovo, e da qualche anno vivo solo. Ho fatto di tutto nella mia vita, dall’autista all’operaio,sempre a Dnipropetrovs’k. E’ difficile, ma a darmi una mano ci pensa mio figlio. Lavora nell’amministrazione. Il presidente? Promette, ma non manterrà alcunché. Però ho votato per lui. E che altro potevo fare?”.

La sua è una umile dimora. Un cucinotto, un divano per dormire di notte e per guardare la televisione di giorno. La toilette si trova in giardino. Anzi, è il giardino. E nulla di più. Solo un attaccapanni, con appesi capi invernali. Ed un cappello, con una sciarpa blu con la scritta “Partija Rehioniv”. Una di quelle indossate dai manifestanti pro Janukovych, e dai “volontari” della sua campagna elettorale.

Matteo Cazzulani

sabato 15 maggio 2010

IHNATPIL’ E MEDVEDIVIKA: L’UCRAINA DI FRONTIERA NEL CUORE DEL PAESE.



E’ una linea di confine ad unire Ihnatpil’ a Medvedivika, due località, molto differenti tra loro, situate rispettivamente nelle regioni di Zhytomir e Cherkasy. Pur trovandosi al centro dell’Ucraina, gli autoctoni di ambo i paesi si sentono abitanti di una terra di frontiera, baluardo dell’ucrainicità in tutte le sue sfaccettature.

A differenza della vicina Ovruch, Ihnatpil’ è un centro abitato decisamente più dinamico. Non è una lunga strada in stile sovietico a catalizzare tutte le attività , bensì la modesta scuola, adibita, a lezioni concluse, a centro di aggregazione. La popolazione, per lo più contadina, è decisamente più attiva, e tanto orgogliosa del proprio fiume al punto da presentarlo nella cerimonia di accoglienza come il fiore all’occhiello. Forse non a caso, la cucina locale offre piatti a base di pesce, e non solo carne di maiale come nei dintorni.

Pietanze e corsi d’acqua a parte, la vera differenza che distingue Ihnatpil’ dal circondario è meramente politica. Infatti, qui è dalla rivoluzione arancione che vincono i partiti dell’Opposizione Democratica, ed anche alle ultime presidenziali ad avere la meglio è stata Julija Tymoshenko. Una scelta che il paesino sta pagando caro: il governo Azarov, insediato dal presidente Janukovych a propria immagine e somiglianza con soli ministri della sua forza politica, il Partija Rehioniv, lo ha inserito tra gli enti locali a cui tagliare i sussidi per lo sviluppo, altresì confermati, quando non aumentati, al circondario, fedele al Capo dello Stato e ai suoi alleati comunisti.

“Julija Tymoshenko – spiega il sindaco, Pavlo Rafal’s’kyj – ci ha aiutato davvero molto. Solo un anno fa, ha consegnato di persona una nuova autoambulanza, con la quale soccorriamo anche i paesi vicini. Oltre a lei, nessun altro. A parte un gruppo di olandesi venuti in missione diplomatica l’anno passato. Ci hanno lasciato dei computer. Ma non i soldi per iniziare un corso di informatica, che nessun ente è interessato ad erogarci. Inoltre, nel budget 2010, il governo ha ridimensionato del 30% i finanziamenti che ci spettano. Così, non avremo nemmeno le risorse per smantellare la nostra industria petrolchimica, in disuso, come previsto da una delibera di quattro mesi fa. Né per pagare l’autista del mezzo di soccorso, che presto saremo costretti a tenere chiuso in garage. E’ una punizione politica, ne sono convinto. Il medesimo trattamento lo ha subito solo l’altro borgo del circondario di Ovruch dove ha vinto Julija”

Ciò nonostante, in questo Paese politicamente di frontiera c’è chi non si abbandona alla disperazione e si da da fare per avvicinare la comunità di Ihnatpil’ all’Occidente. Tat’jana Oleksejevna, responsabile ONU per la regione di Zhytomir, non è solamente la coordinatrice del locale comitato organizzatore della missione Eurobus, ma anche una paladina dell’ecologia e dell’attivismo sociale del centro abitato in cui è nata, ed il cui avvenire, assicura, è in cima alle sue priorità.

“Ogni anno organizziamo la giornata dell’ecologia. La prima Domenica di maggio, quando il tempo inizia ad essere clemente, puliamo ogni angolo del paesino, sindaco in testa. Mentre i bambini della scuola piantano cinque nuovi alberi. Inoltre, mantengo di persona contatti con alcune organizzazioni giovanili per inviare ogni anno un ragazzo a trascorrere una settimana in Europa. Non è molto, ma facciamo quello che possiamo”.

Dal patriottismo civico di Tat’jana Oleksejevna, a quello nazionale di Medvedivka. Anche il paesino della oblast’ di Cherkasy è disposto su un viale principale, su cui si trovano la chiesa, il negozio di abbigliamento, quello di alimentari, la posta ed il museo di storia. C’è anche la scuola, sulla cui facciata ancora permangono le effigi dell’epoca sovietica, che stridono con il vicino monumento a Maksim Zaliznjak, eroe nazionale ucraino del diciottesimo secolo, sotto il quale si svolge la cerimonia di benvenuto degli organizzatori, rigorosamente in abiti tradizionali e con tanto di intro musicale. I locali parlano in surzhyk, un dialetto molto stretto tra ucraino e russo, e non si dedicano solamente all’agricoltura. In molti lavorano nel capoluogo, una necessità che ha spinto alcuni ingegnosi medvedivchki a creare una piccola società di trasporti, ad oggi campione di efficienza con la sua flotta di cinque minibus.

Come illustra Lidija Ivanivna, corrispondente dalla regione per il Holos Ukrajini, il giornale ufficiale della Verhovna Rada, anche Medvedivka è una terra di frontiera. Pur trovandosi a pochi chilometri dal Dnipro, nel pieno centro del Paese, qui si sono combattute le principali battaglie per l’indipendenza dell’Ucraina: dai contrasti coi polacchi ai conflitti con l’impero russo, fino alla resistenza degli anni venti per difendere la Repubblica Popolare di Ucraina dall’aggressione comunista.

“Siamo orgogliosi della nostra cultura – sottolinea la collega – e ci teniamo a mostrarla. Medvedivka è il cuore dell’Ucraina: non c’è capitolo della nostra storia che non abbia interessato il nostro territorio. Ci sentiamo pienamente ucraini, e ne andiamo fieri. Il nostro motto è il medesimo dell’esercito del Holodnyj Jar [Canyon Freddo, com’ è ribattezzata la regione, per via della varietà di avvallamenti originati dalla caduta di un meteorite in epoca preistorica, n.d.a.] di resistenza all’avanzata dei comunisti: O la volontà dell’Ucraina, o la morte”.

Purtroppo, il calore sprigionato dall’energia dei medvedivchki è raffreddato dall’agghiacciante ombra del genocidio più sottaciuto dalla storiografia europea. L’Holodomor, la carestia provocata da Stalin negli anni ’30 per incamerare i beni dei kulaki ucraini ed eliminare ogni forma di ucrainicità nello stesso tempo, ha colpito forte. Anche qui.

A testimoniarlo è Ol’ha Petrivna, arzilla vecchietta di 87 anni, pronta a condividere la sua straordinaria biografia. Spiega come l’operazione di collettivizzazione forzata delle terre le ha portato via non solo i beni di famiglia, ma anche cinque dei sette fratelli. Solo l’astuzia del padre nel nascondere alcune provviste, e la determinazione della madre, le hanno consentito di sopravvivere alla Grande Fame, ai soprusi dei soldati russi e alle macabre scene di cannibalismo. Poi, il matrimonio, con Pavlo Antonovych. E la guerra, l’ennesima tragedia che la separa per sempre dal marito e la porta lontano anche dalla sua terra, a Breslavia, in un campo di lavoro tedesco. Infine, il ritorno a Medvedivka: una decisione sofferta, ma necessaria per crescere il figlio nella sua terra natia, come desiderato dal consorte disperso.

“La collettivizzazione è iniziata nel’22 – spiega la babushka, visibilmente commossa – i moscoviti [i russi, n.d.a.] ci hanno preso tutto: terre, cavalli, maiali. Persino la capra che ci dava il latte. La Grande Carestia è cominciata più tardi, nel ‘33. Non avevamo da mangiare se non quello che mio padre era riuscito a nascondere in casa. Una miseria. Presto siamo rimasti solo in due figli. Mia madre vendeva i suoi gioielli in cambio di patate e ortaggi. Il pane lo avevamo nascosto sotto terra. La carne, invece, non ci fidavamo a comprarla: girava voce che il cimitero fosse diventato un punto di ritrovo per tutti gli affamati, anche dai paesi vicini”.

Sulla causa dell’Holodomor, Ol’ha Petrivna non ha alcun dubbio nel classificarla come un’operazione mirata alla liquidazione del suo popolo. “Anche in altre zone dell’ex-URSS abitate da ucraini, a Rostov ad esempio, si sono verificate simili carestie. I comunisti russi hanno colpito il popolo ucraino, questa è la verità”.

Malgrado la tragicità del racconto, la testimone ottantasettenne di rado si abbandona all’emozione del pianto nel rimembrare i suoi trascorsi. Al contrario, spesso sorride, incoraggiata dall’interesse degli interlocutori. “Siete giovani e attenti. E le mie storie vi interessano. Sono sicura che la mia testimonianza non sarà dimenticata, e la memoria di quello che ho passato conservata”.

Matteo Cazzulani

giovedì 13 maggio 2010

UCRAINA,L’OPPOSIZIONE UNITA FA PAURA A JANUKOVYCH

Al metting di protesta organizzato dal Blocco Tymoshenko e dal neonato Comitato per la Difesa dell’Ucraina, le opposizioni democratiche si sono unite per difendere gli interessi nazionali. La verticale del potere risponde con la magistratura: Julija Tymoshenko convocata in procura generale.

E’ un film già visto. Nel 2001 le opposizioni, di ogni orientamento politico, si riunirono a Kyiv, in una manifestazione di piazza contro l’allora presidente Kuchma, autore di una politica al limite dell’autoritarismo, servile nei confronti della Russia e delle oligarchie delle regioni orientali del Paese. Fu così fondato il Comitato per la Rinascita Nazionale, presieduto da Jurij Lucenko, de facto animato da Julija Tymoshenko. La quale, poco dopo, fu arrestata e incarcerata per un anno, in virtù di accuse, rivelatesi infondate, di corruzione e frode ai danni dello Stato durante il governo Lazarenko.

Nove anni più tardi, martedì, 11 maggio 2010, le opposizioni parlamentari ed extraparlamentari, assieme al movimento apartitico degli intellettuali, confluiti nel Comitato per la Difesa dell’Ucraina, si sono unite in una forte protesta contro l’operato del presidente Janukovych, accusato di tradire gli interessi nazionali e di svendere l’Indipendenza militare, economica e politica del Paese a seguito della decisione di prolungare la permanenza dell’esercito russo in Crimea fino al 2042 e di fondere il colosso energetico nazionale Naftohaz con il monopolista russo Gazprom. Come pronta risposta, il motore della protesta, sempre Julija Tymoshenko, è stata convocata dai magistrati per chiarimenti riguardo all’utilizzo di fondi statali del bilancio 2009.

Oltre ai leader dei partiti politici che hanno aderito all’iniziativa – il Blocco Tymoshenko, il Narodnyj Rukh, Narodna Samooborona, Za Ukrajinu, Svoboda ed altri – a presenziare alla protesta c’erano i leader del CDU Levko Luk’janenko e Volodymyr Vasylenko, oltre a Dmytro Pavlichko, ex dissidente dell’epoca comunista, insignito del ruolo di coordinatore del comitato. Proprio lo storico dissidente ha illustrato ai manifestanti gli obiettivi della protesta: difesa del benessere e della prosperità del popolo ucraino, tutela della libertà di espressione, integrazione euro-atlantica di Kyiv.

“Bisogna unirsi – ha dichiarato – Mi rivolgo al ministro degli esteri e a quello dell’economia, a quelle persone che 18 anno fa hanno rinnovato lo stato ucraino, istituendo confini, moneta, ed esercito nazionali, e dato dignità alla vocazione occidentale del nostro Paese. Tutto questo oggi è a rischio. Ricordate, è solo grazie all’operato dei parlamentari dell’opposizione se alla Rada abbiamo ancora qualche speranza di bloccare la deriva filorussa della nostra politica. Occorre visitare ogni provincia per creare le sedi locali del Comitato per la Difesa dell’Ucraina, affinché ogni singola persona che ha a cuore la nazione possa dare il proprio contributo”.

A dire il vero, la partecipazione numericamente è stata sotto le attese. Solo 2 mila i manifestanti, stando alle principali fonti. Ma gli organizzatori hanno accusato fin da subito la polizia stradale di avere impedito l’afflusso alla capitale di pullman dalle varie regioni, ritirando le patenti degli autisti e sospendendo le licenze delle marshrutki che collegano Kyiv con le località limitrofe. Inoltre, malgrado le iniziali promesse, all’azione non hanno partecipato alcuni dei leader dell’opposizione, quali Jushchenko, Jacenjuk e Hrycenko.

“Hanno impedito alla gente di recarsi al lavoro – ha accusato il vice leader di Svoboda, Andrij Illjenko – la polizia sui treni e sugli autobus ha effettuato controlli a tappeto, trattenendo privati cittadini nei commissariati per accertamenti. Un comportamento strano. Soprattutto perché la nostra è una azione pacifica e nonviolenta. Il potere sta giocando con il fuoco. Ha persino schierato le forze speciali antisommossa a presidiare la nostra dimostrazione”.

Successivamente, a prendere la parola è stata la leader dell’Opposizione Democratica, Julija Tymoshenko, la quale ha sottolineato come il Parlamento deve al più presto chiarire le clausole degli accordi con la Russia, finora mantenute segrete agli stessi deputati della maggioranza. Inoltre, ha spiegato come siano in molti a condividere la protesta, pur non presenziando alla manifestazione, in quanto impegnati nel lavoro quotidiano.

“Dobbiamo lottare, insieme, per ottenere le dimissioni del Capo dello Stato e del governo, che agiscono contro i nostri interessi – ha dichiarato la Lady di Ferro ucraina – dobbiamo unire le nostre forze, affinché elezioni anticipate ridiano la possibilità al popolo di decidere da chi essere rappresentato, dimissionando una classe politica che svende il nostro patrimonio energetico e la nostra Indipendenza politico-militare al vicino russo, agendo così contro la nostra costituzione”.

Infine, Julija Tymoshenko ha mostrato la bozza di accordo che i rappresentanti russi hanno imposto al governo ucraino riguardo alla cessione a Mosca delle centrali e delle infrastrutture energetiche nucleari e idroelettriche di Kyiv. Un accordo che sarà ratificato dai due presidenti, Viktor Janukovych e Dmitrij Medvedev, il prossimo 17 maggio. “Stanno preparando la creazione di un colosso industriale russo-ucraino in cui noi non avremo voce in capitolo, se con una risibile parte delle azioni” ha dichiarato la leader dell’opposizione.

La reazione della verticale del potere non si è fatta attendere. Poche ore più tardi, un comunicato ufficiale rendeva noto alla stampa di tutto il Paese la convocazione della Lady di Ferro ucraina, ex vice premier, presso la procura generale per un’audizione sul suo operato politico negli anni passati. A rinvigorire l’ipotesi di un uso politico della magistratura, le dichiarazioni del primo ministro, Mykola Azarov, circa la necessità di aprire indagini giudiziarie sui membri della maggioranza del governo Tymoshenko responsabili del budget 2009.
“I fatti dell’esecutivo precedente – ha dichiarato il premier – hanno provocato un buco esorbitante. I materiali sull’approvazione del bilancio dell’anno passato, ed i deputati che li hanno redatti, incluso il capo del governo, ne risponderanno dinnanzi ai giudici”.

Un comunicato dello staff di Julija Tymoshenko ha chiarito che il deficit di bilancio è un’invenzione di Azarov per giustificare la politica fallimentare del suo governo. Il quale, lecito ricordare, per l’anno 2010 non è riuscito a mantenere la promessa circa l’aumento sensibile delle pensioni e delle paghe sociali. Inoltre, la Lady di Ferro ucraina in persona ha aggiunto di avere sempre operato per il bene del Paese, riuscendo, unico caso negli ultimi anni, a garantire un inverno al caldo agli ucraini senza svendere né il patrimonio, né la reputazione nazionale.

“Contro Julija Tymoshenko – recita la nota – è ricominciata una mirata operazione di repressione politica. La procura generale, strumento nelle mani della maggioranza, ha il preciso scopo di gettare fango e discredito sulla leader dell’opposizione democratica. Esattamente come nove anni fa”.

Matteo Cazzulani

martedì 11 maggio 2010

OVRUCH, L’INFERNO ROSSO CHE SOGNA L’EUROPA. ALL’OMBRA DI CERNOBYL.



Ovruch, Koroven’, Hoshiv. Un arcipelago politicamente rosso che, tristemente, ancora subisce le conseguenze della catastrofe del 1986.


Un carro armato con tanto di bandiera rossa, la stessa issata su tutti gli edifici pubblici e sventolata dalle delegazioni delle scuole, poi la tribuna d’onore, posta davanti alla sede dell’amministrazione cittadina, su cui presenziano le maggiori autorità locali, dal sindaco ai rappresentanti dei villaggi di campagna. Arriva persino la banda, suona l’internazionale, ed è seguita da militari, poliziotti e vigili del fuoco: tutti in divisa ed in perfetto ordine. E’ con questa immagine che la cittadina di Koroven’, nella provincia di Zhytomir, a pochi chilometri dalla capitale, Kyiv, ha dato il benvenuto all’Eurobus.

E’ il 9 maggio, il Den’ Peremohy, giorno in cui si celebra la vittoria dell’armata rossa nella seconda guerra mondiale. Ma il tempo sembra non essere trascorso dinnanzi a tale atmosfera e a quella bandiera, issata persino sulla stazione. A corredo di tutto ciò, le voci provenienti dal mercato adiacente, tutte in russo. Una situazione davvero surreale, anche perché la babushka del chiosco accanto alla biglietteria vende libri esclusivamente in lingua ucraina.

Identica è l’accoglienza offerta da Ovruch, prima tappa della missione a quattro ruote che porta giovani europei ed ucraini a popolarizzare l’Europa sulle rive del Dnipro. La marea di vessilli rosso sovietico e verde militare è contrastata dal giallo-blu delle divise dell’equipaggio dello Jevravtobus e delle bandiere di UE ed Ucraina, appese sul lunotto del mezzo. Ha le medesime tinte anche il vestito dell’elegante Tamara Oleksandrivna, responsabile del soggiorno nel villaggio, accorsa con puntualità svizzera per la cena di accoglienza. “Ovruch è un paradosso – ha dichiarato nel discorso di presentazione – un’enorme contraddizione. Lo vedrete con i vostri occhi”. Parole profetiche.

Il Paesino è un caratteristico agglomerato urbano di campagna, popolato da non più di mille anime, per lo più contadini. E’ sviluppato attorno al vialone centrale, intersecato da sole sei traverse, sul quale si trovano gli edifici principali, vero e proprio punto di aggregazione della comunità locale: il supermercato, il ristorante “Kosmos”, il palazzetto della cultura – sede del circo – e la Casa Bianca, costruzione in perfetto stile sovietico abitata da Vasyl’ Petrovych, il sindaco comunista che, ostinatamente, ha voluto una parata in grande stile per il 9 maggio, come ai vecchi tempi, forte dell’ampio consenso ottenuto alle ultime elezioni. “Un amministratore pragmatico – lo dipinge il padrone del Kosmos, Volodymyr Antonovych – in Paese abbiamo votato tutti per lui. Ha dato subito lavoro a mio figlio. Proprio una brava persona”.

Di primo impatto, la complessità di questo spaccato di ucraina centro-settentrionale è politico-economica. Qui sono tutti comunisti, ma nel concreto ognuno bada al suo. E’ il caso di Mykola Serhejevych., proprietario terriero di Hoshiv, frazione di Ovruch. Si esprime in un ucraino estremamente russizzato, vicino al Bielorusso – la frontiera con il paese di Lukashenka non dista che poche centinaia di chilometri – ma molto simile al francese in quanto ad uso – o abuso – di aggettivi e pronomi possessivi, di norma poco frequenti nelle lingue slave orientali. Ci tiene a sottolineare che i suoi campi sono estesi su diversi ettari rilevati nel tempo con il sudore del suo lavoro, che le sue mucche gli danno un latte squisito, che rivende nella sua bottega in centro. E che la sua casa se l’è costruita da solo. Il benessere generale passa in secondo piano quando si può evitare di pagare le tasse, grazie ad un vero e proprio acquedotto privato, e ad un sistema di riscaldamento staccato dalla rete nazionale, alimentato da bombole a gas. Ed ignorato dalle autorità locali.
“Qui da noi non c’è mai stata alcuna crisi del gas – spiega con orgoglio – le scorte le compro sottocosto da Fedor Fedorovych, il carrozziere, in cambio del mio formaggio e delle mie uova. Non ho bisogno di lavorare. Sono autosufficiente, do da mangiare a Irina e Ihor’ [la moglie, russa, ed il figlio adolescente, n.d.r.] e pago l’università a Olena [la figlia, studentessa a Rivne, n.d.r.] . Le uniche spese sono per la luce. E per qualche nuovo maiale”.

A conferma, la spiegazione dell’altro coordinatore locale, Hryhorij Petrovych, nativo di Uzhgorod – in Transcarpazia – ma residente Ovruch da una trentina d’anni. Ha ben chiare le dinamiche politiche di una zona che, contrariamente alla tendenza regionale, dove a vincere è Julija Tymoshenko, vota comunista. Un orientamento frutto di un sistema clientelare tipico di tutte le campagne del Paese, sia a est che a ovest. “La società ucraina dei villaggi non è ancora pronta per una democrazia matura, e permette alle elite politiche dominanti di controllarne ed indirizzarne il voto. Qui, a differenza che nel resto della Oblast’, comandano i comunisti. Per questo, le cariche locali le ricoprono tutte loro, e alle elezioni nazionali vince sempre il Partija Rehioniv: una Kompartija mascherata. Siamo un’isola rossa nel cuore del Paese”.

Una Stalingrado d’Ucraina, si direbbe alle nostre latitudini. Anche grazie al fatto che nelle case i canali che si possono vedere sono solo tre, di cui uno è quello statale bielorusso che, nelle mani del regime di Lukashenka, offre un’informazione parziale e dipinge la Bielorussia con tinte idilliache, al punto da costituire una sorta di Europa alternativa ove emigrare qualora non si riuscisse ad ottenere un visto UE. “Non c’è come la televisione ad aiutare i comunisti a stare al potere – sostiene il docente di storia della scuola del paese, Anatolij Mykolajevych – i miei alunni sono imbevuti della propaganda di Lukashenka al punto da desiderare di vivere e lavorare in Bielorussia. Faccio il possibile per spiegargli che la realtà è ben diversa, parlo loro di cos’è stato l’Holodomor e le purghe staliniane contro il popolo ucraino. Ma è davvero difficile convincerli del contrario, solo pochi mi seguono”.

Lukashenka e ideali comunisti a parte, Ovruch è orgogliosa delle proprie radici, che mette in mostra nel Den’ Jevropy: la festa dell’Europa, organizzata in occasione dell’arrivo del bus. Un carosello di danze popolari, con costumi e cucina locale, chiuso da un concorso letterario i cui partecipanti sono stati premiati con magliette, portachiavi ed altri gadget della missione. I partecipanti al progetto sono stati accolti come eroi venuti dall’America, neanche fossero marziani: foto, doni, omaggi, richiesta di autografi. Mancava solo la corona di fiori. C’è persino chi ha ricevuto una proposta di matrimonio.

Tutto grazioso. Ma il paradosso di Ovruch, quello vero, è estremamente più drammatico della politica. Per scoprirlo, occorre, come sempre, guardare al di là delle apparenze, e non bere la minestra che la seppur ospitale popolazione locale ti offre. Qualche buon abitante disposto a scambiare due parole durante le danze degli allievi della scuola locale di Horoshiv c’è sempre. E, tutti, rievocano lo spettro di Chornobyl (Chernobyl), distante solo una manciata di chilometri. Il disastro nucleare del 1986 ha avuto conseguenze tragiche, soprattutto qui. E non è ancora finita.

Marija Maranovska, 72 anni, spiega che tutti si ammalano, ancora oggi. Le vittime sono per lo più uomini e bambini, colpiti da tumori che decimano la popolazione. E lo Stato non aiuta, se non con risibili sussidi e una buona pacca sulle spalle. “Proprio ieri – ha dichiarato l’arzilla babushka – se n’è andato anche Ihor’ Serhejevych. L’altro ieri lo hanno trasportato all’ospedale di Zhytomir, ma era troppo tardi. Stato terminale. Morto dopo poche ore. Solo due giorni fa pranzavamo assieme. Aveva 42 anni. Prima di lui molti altri, la stessa maledetta malattia. E’ da 24 anni che va avanti così. E percepiamo solo 42 hryvnie al mese per le cure. Non sono sufficienti, ma ce le facciamo bastare”.

Sulla tragedia nessuno mai ha voluto fare luce seriamente, e, fatto ancora più grave, Ovruch e il circondario vivono una fortissima emigrazione. Gente che non ritorna, perché altrove sente di vivere in un ambiente sano, a differenza della terra natia. Una tragedia nella tragedia. “Il giorno dell’incidente abitavo a Koroven’ – racconta Mykola Hryhorovych, appositamente interrompendo il lavoro sulla legna – da quel momento tutti hanno iniziato a chiudersi in casa, nessuno usciva. I bambini non giocavano, il postino si rifiutava di lavorare. Poi i cambiamenti nel fisico delle persone e nella natura. Abbiamo smesso di bere latte e di mangiare patate, con conseguenze sulla nostra salute. La gente continua a morire. E, chi non muore, se ne va da qui, per sempre. Dicono che di tornare dove sono cresciuti non ci pensano proprio, e che qui è un inferno”.

E amara la verità che emerge dalla prima tappa dell’Eurobus. E, fatto ancor più sconcertante, a fruirne sono in stati in pochi nell’equipaggio: il collega della Polskie Radio, Tadeusz Iwański, e il sottoscritto. Tutti gli altri hanno preferito i vareniki e le danze popolari. Un coperchio colorato, che copre un’amara pietanza avvelenata.

Matteo Cazzulani

sabato 8 maggio 2010

PARATA SCHUMAN: L'EUROPA DESIDERATA SFILA A VARSAVIA




Ciak, si gira. Alla Parata Schuman sfila l'Europa dei desideri. Set delle riprese, il centro storico di Varsavia, per l'occasione allestito a tendopoli con gli stand delle istituzioni europee. Sembra il Majdan, a Kyiv, durante la rivoluzione arancione. Infatti, a sfilare non sono solo i vessilli di casa del'UE e della Polonia, ma anche quelli ucraini, georgiani e della Bielorussia libera - bianca con una striscia latitudinale rossa.

Al film, che ricorda la dichiarazione Schumann, atto di nascita dell'Unione Europea, partecipano in tanti, complice la giornata soleggiata. Dagli studenti delle elementari della capitale polacca, ai liceali di quella ucraina, arrivati nella notte appositamente da Kyiv. E che, assieme all'equipaggio dell'Eurobus, hanno sfilato per l'intero percorso con un enorme bandierone del loro Paese.

"Non potevamo mancare - spiega Oleh', studente di un istituto tecnico - il solo invito delle autorità locali alla parata ci ha onorato. Sentirsi europeo tra gli europei è una sensazione bellissima. Peccato che per noi duri solo una giornata".

Chi, invece, alla parata è arrivato in autobus sono i bielorussi, tutti appartenenti alla comunità di emigranti, numerosissima a Varsavia. Con orgoglio, sottolineano che non mancano mai, e, puntualmente, ogni anno la bandiera della Bielorussia libera è ben visibile nel corteo.

"La situazione da noi è davvero tragica - ammette Aljaksandar - il regime di Lukashenka non permette a nessuno di venire qui a ridosso della parata. E' assurdo, e grottesco nel contempo. L'Europa ci deve aiutare, non può continuare ad ignorare la situazione, e a legittimare in ogni occasione il Bat'ka [come è denominato Lukashenka, n.d.a.]. Per questo siamo qui. Anche noi, come i polacchi, siamo europei, e, come gli ucraini, vogliamo una pronta integrazione".

La pragmatica tristezza dei bielorussi è mitigata dall'entuisiasmo dei georgiani, che durante la parata distribuiscono ricette dei loro piatti tipici, tradotte in tutte le lingue dell'UE. "L'Europa è anche cibo - sostiene sorrdente Nino - e la nostra è una cucina di tutto rispetto. Perche siamo qui alla parata? Ci sentiamo europei, e lo vogliamo dimostrare".

Ci sono anche alcuni europarlamentari, soddisfatti sia dell'alta partecipazione, che della mission del progetto Jevravtobus. Particolarmente colpita dall'entusiasmo dei giovani viaggiatori, Róza Thun sottolinea l'importanza dell'integrazione dell'Ucraina nell'Unione Europea, possibile in un prossimo futuro anche grazie ad iniziative volte a rafforzare il dialogo con Kyiv.

"Noi, europarlamentari - illustra l'esponente della Platforma Obywatelska, partito liberale appartenente al gruppo dei Popolari Europei - per primi abbiamo il privilegio di vivere l'Europa. Nel nostro lavoro quotidiano, a contatto con colleghi di altre nazioni che solo pochi anni fa era impossibile frequentare con simile costanza. Ora, anche per strada si comincia a percepire questa comune appartenenza continentale. Ma c'è ancora molto da fare, su troppe questioni. Come quella dell'integrazione ucraina, che non dimentichiamo".

Più realista, e meno cerimonioso, anche nel look, è Michał Kamiński, che evidenzia come i rapporti con Kyiv sono difficili, sopratutto dopo la vittoria di Janukovych. "E' un bordello - dice testualmente l'esponente del partito Prawo i Spawiedliwosć, presidente dell'eurogruppo dei Conservatori e dei Riformisti - a Kyiv i nostri colleghi devono fare ordine per permetterci di accellerare l'integrazione, che auspico possa concludersi il più presto possibile. Personalmente, in Ucraina ho molti amici, ma nessun appoggio politico".

L'Europa dei sogni dura solo una mattinata. Ma è un vero campione di democrazia. Allo stand della Fondazione per lo Sviluppo del Sistema dell'Educazione e della diffusione della partecipazione politica è stato allestito un seggio. Tutti, polacchi e non, possono scegliere il nuovo presidente, ad un mese dalla reale consultazione politica. "E' un progetto che dura da cinque anni - spiega Marek, responsabile per la Polonia - e con ottimi risultati: non solo l'affluenza è stata alta, ma alle scorse parlamentari abbiamo persino azzeccato il risultato".

Per onore di cronaca, ed auspicio personale, ha vinto il liberale Bronisław Komorowski, attuale presidente ad interim, staccando il conservatore Jarosław Kaczyński, fratello del defunto Lech, di otto punti percentuali.

Matteo Cazzulani

venerdì 7 maggio 2010

L'UCRAINA ENTRA IN EUROPA. COL GAS.

Finalmente, la tanto attesa decisione è arrivata. Kyiv sarà parte dell'Europa, e si ricongiungerà con la cultura continentale a cui, per storia e cultura, appartiene. Peccato che tutto ciò interessi solamente l'ambito che più conta presso le cancellerie occidentali, quello del gas.

Nella giornata di giovedi, 6 maggio 2010, il segretario di Eurogaz, Jean Marie Devos, ha proposto al ministro dell'energia ucraino, Jurij Bojko, l'ingresso di Naftohaz nell'associazione che raccoglie le principali compagnie del settore energenico del Vecchio Continente, tra cui le francesi Total e Suez-Gaz de France, l'italiana ENI, la spagnola Centrica, la russa Gazprom, la polacca PGNiG e la tedesca E.ON Ruhrgaz. "Naftohaz - ha dichiarato Devos - può diventare membro associato a brevissimo. Abbiamo già provveduto alla preparazione degli appositi documenti statutari".

Soddisfazione è stata espressa dai principali esperti del settore, tra cui il capo del cartello Nuova energia dell'Ucraina, Valerij Borovyk, che ha sottolineato come finalmente l'Europa si sia accorta del pericolo derivante dalla possibile fusione delle compagnie monopoliste ucraina e russa, attivandosi per contrastare l'operazione. In particolare, l'esperto ha evidenziato l'importanza dell'aspetto cronologico, dal momento in cui l'apertura di Eurogas è arrivata a pochi giorni dalla proposta di unione tra Naftohaz e Gazprom, avanzata dal primo ministro della Federazione Russa in persona, Vladimir Putin.

"E' iniziata la guerra per il controllo di Naftohaz - ha dichiarato Borovyk - l'invito europeo è un fatto estremamente positivo: qualora entrassimo in Eurogas, anche solo come membro associato, in ambito energetico potremmo agire secondo le regole UE. Cio significherebbe trasparenza, stabilità e strategia di sviluppo. Ma, sopratutto, la Commissione Europea si occuperebbe del controllo della compravendita del gas, sia sul mercato interno che esterno del nostro Paese. Con gli altri Stati dell'Unione tale sistema funziona ottimamente. Anche per Kyiv sarebbe utile".

Tuttavia, sulla fattibilità dell'integrazione l'esperto si è detto perplesso, in quanto la nuova verticale del potere Janukovych-Azarov è orientata ad accettare la proposta del Cremlino e a concludere al più presto l'operazione, de facto sancendo la fine dell'Indipendenza energetica, e quindi anche politica, dell'Ucraina.

"Sono abbastanza scettico. Nell'apparato di controllo di Naftohaz, Janukovych ha nominato oligarchi e lobbisti con noti interessi con i loro colleghi, amici, quando non parenti, in Russia. Essi agiscono così come vuole Mosca, e non come si dovrebbe per il bene del Paese. La fusione tra i due colossi sarebbe una grande sciocchezza, dal momento in cui, stando ai valori dell'ultima capitalizzazione, nel nuovo soggetto Gazprom manterrà il 94%, e Naftohaz solo il 6".

Una percezione confermata pochi giorni più tardi. Domenica, 8 maggio, il Capo dello Stato ucraino si è recato in visita urgente a Mosca per rinsaldare la cooperazione con Mosca nell'ambito della CSI, comunità che riunisce gli ex paesi dell'URSS. Dall'incontro, a cui ha partecipato anche il ditattore bielorusso, Aljaksandar Lukashenka, è emerso che i futuri piani tra i tre Stati riguarderanno prevalentemente il settore energetico.

"Invito ufficialmente, e saluto, il nuovo arrivato nella Comunità, Viktor Janukovych - ha dichiarato il presidente della Federazione Russia, Dmitrij Medvedev - La stretta collaborazione che oggi lega Mosca e Minsk sarà l'esempio che seguiremo per sviluppare l'asse con Kyiv".

Matteo Cazzulani

EUROBUS. L'EUROPA SI PRESENTA


La prima giornata del progetto Jevravtobus ha avuto come tema la reciproca conoscenza tra ucraini ed europei.

Una bandiera continentale, qualche moneta, il libro che mai può mancare, persino due mattoni mezzi rotti. Tutto compresso nella mia valigia. Non è il mio bagaglio, ma un'ideogramma del nostro continente.

E' stata una presentazione ufficiale, dal momento in cui a spaccare il ghiaccio - così riporta il programma - ci ha pensato la cena inaugurale del giorno precedente. Ciascuno dei partecipanti, riuniti in squadre, ha disegnato una valigia nella quale ha riposto gli oggetti più caratteristici del suo Paese. Bravi i polacchi, padroni di casa qui a Varsavia, che nel bagaglio sono riusciti ad infilare persino il castello di Lublino, simbolo di quella Pierwsza Rzeczpospolita in cui Polonia e Ucraina del giorno d'oggi hanno coabitato, non senza disparità, in un clima di democrazia nobiliare e tolleranza religiosa per più di due secoli. Originali i tedeschi, che hanno rinchiuso il povero Beethoven. Tuttavia, a dare il meglio sono stati gli ucraini, con uno di quei disegni frutto di tanta, tantissima voglia di Europa.

"Allegria, bontà, generosità: la nostra cultura non morirà mai con queste qualità - ha spiegato Natasha, dalla regione di Luhans'k - l'Ucraina nell'URSS era sinonimo di ricchezza, da noi proveniva la maggior parte del grano e delle materie prime. Oggi siamo finalmente indipendenti e vogliamo portare in Europa la nostra cultura con le nostre differenti confessioni religiose e con i nostri intelletti. Anche con il Dnipro, fiume che unisce e divide al tempo stesso, con Dnipropetrovs'k, e la sua la fabbrica di missili, e con i 180 km di Kryvyj Rih, la città più lunga al mondo".

Unico rappresentante del Belpaese, sono stato inserito nel gruppo misto, incaricato di presentare l'Unione Europea nella sua generalità. Assieme alla collega irlandese e a quella lettone, abili traduttrici rispettivamente in inglese e russo del mio ucraino molto polonizzato, nella valigia UE ho infilato precisi oggetti per dare chiari segnali. In primis, il vessillo UE, a sottolineare la comune idea di Europa che molti tra i giovani, ma pochi nell'opinione pubblica continentale, coltivano e condividono. Le dodici stelle gialle su sfondo blu - medesime tinte dell'Ucraina - sono anche immagine di quelle istituzioni comuni che, piaccia o meno, fanno sentire un europeista convinto come me sempre a casa ogni qualvolta si trova in un'ambasciata di uno dei Paesi membri.

In secondo luogo, monete. L'Europa, purtroppo, è forte solo sul piano economico. Un gigante monetario, ma un nano politico. Succesivamente, dei libri, con un cappello da cerimonia post-laurea, ad indicare la comune cultura e, nel concreto, il progetto erasmus: quel pacifico servizio militare che sta formando la nuova gioventù europea. Coi mattoni rotti ho ricordato il muro di Berlino, barriera che ha diviso popoli fratelli, ma che ancora permane nelle teste di grandissima parte dei nostri cosidetti intellettuali. E che vede la sua replica, oggi, con l'ancora più odioso muro invisibile di Schengen, che separa Bruxelles da un altro popolo fratello, quello ucraino.

Infine, al centro ho disegnato il logo dei campionati europei di calcio del 2012: tre palloni, rispettivamente biancorosso - colori della Polonia - gialloblu - quelli dell'Ucraina - e arancione - la rivoluzione pacifica che ha riunito le due nazioni dopo secoli di odi e sanguinosi conflitti. Polonia ed Ucraina ospiteranno la manifestazione sportiva. E, per qualche giorno, il muro di Schengen sarà violato. Ma non abbattuto per sempre. Per farlo, occorre lo spirito di volontà, sia degli europei che degli ucraini. Una sensazione che sull'Eurobus si respira ogni giorno. E che, determinato, tutto l'equipaggio vuole diffondere e sprigionare sulle rive del Dnipro.

Matteo Cazzulani

giovedì 6 maggio 2010

UCRAINA: ANCHE GLI INTELLETUALI CONTRO JANUKOVYCH


Comitato Nazionale per la Rinascira dell'Ucraina (CNRU). Così gli intellettuali ucraini hanno battezzato il nuovo movimento di protesta apartitico contro la verticale del potere a Kyiv.

Valerij Shevchuk, Volodymyr Jarovivs'kyj, Jurij Andruchovych, Dmytro Pavlychko, Mykola Rjabchyk - scrittori e pubblicisti. Ivan Dzjuba, Mykola Zhulyns'kyj, Myroslav Popovych - accademici. Kostjantyn Morosov, Levko Luk'janenko, Bohdan Horyh' - attivisti civili. Ecco i primi firmatari dell'atto costitutivo del Comitato Nazionale per la Rinascita dell'Ucraina, sorto per difendere una sovranità del Paese, gravemente in pericolo dopo gli accordi di Khar'kiv e Sochi con la Federazione Russa.

Così come negli ultimi anni dell'URSS, quando da una simile iniziativa sorse il leggendario Narodnyj Rukh di Chornovil e Drach, unica valida opposizione al partito comunista, l'intellighenzia ucraina si è mobilitata nuovamente. Questa volta, contro il regime di Janukovych, pericoloso per la sopravvivenza della stessa Ucraina, ora più che mai in balia delle velleità espansionistiche del rinato impero russo.

"Il comitato - ha spiegato Dmytro Pavlychko - è una risposta al tentativo del presidente di svendere l'Ucraina alla Federazione Russa, sopratutto dopo che il governo Azarov ha concesso ai militari russi di stanziare sul nostro territorio fino al 2042. Inoltre - ha aggiunto uno dei principali fondatori - è in atto un forte tentativo di disgregare l'unità del Paese per favorire le regioni orientali, dove gli oligarchi, sponsor del Partija Rehioniv [il partito di Janukovych, n.d.a.] agiscono indisturbati nella loro attività corrotta".

Il piano di azione della neonata forza prevede due fasi. Dapprima, una massiccia campagna di informazione, non solo sull'operato della verticale del potere Janukovych-Azarov, utile per illustrare agli ucraini la pericolosità delle scelte da essa prese, ma anche su tematiche storico-culturali alla base dell'identità nazionale, appositamente sottaciute da un sistema di potere palesemente ucrainofobo. In seguito, presentazione ufficiale a Kyiv, il prossimo 10 maggio, alla vigilia della manifestazione nazionale organizzata dal Blocco Tymoshenko, a cui il CNRU parteciperà.

"Bisogna iniziare con metodi soft - ha illustrato Levko Luk'janenko, dissidente di vecchia data, già sotto il regime comunista - come una campagna informativa. Molti nell'est e nel meridione del Paese non capiscono affatto che cosa sia veramente questa verticale al potere. E' necessario occuparsi di questioni patriottiche, spiegare alla gente che l'Holodomor è stato un genocidio [la grande carestia provocata da Stalin negli anni '30 per sterminare i contadini ucraini, che il Consiglio d'Europa, su espresso invito di Janukovych, la scorsa settimana non ha riconosciuto come genocidio, n.d.a.]. Dobbiamo mostrare al potere che ulteriori atteggiamenti antiucraini otterranno come risposta la nostra ferma opposizione, prolungata nel tempo se necessario. Non ce ne staremo buoni e calmi".

Luk'janenko ha tenuto a sottolineare il carattere apartitico del movimento, composto da soli letterati ed intellettuali, tuttavia aperto a tutti, per la salvaguardia dell'Identità e dell'Indipendenza dell'Ucraina. Ma nessun leader. A prendere le decisioni sarà un consiglio direttivo, costantemente in contatto con la base: quegli ucraini stanchi ed allarmati dall'involuzione compiuta dal Paese sotto i primi mesi della presidenza Janukovych.

"Se creassimo un comitato sotto la direzione di un qualche politico di riferimento - ha illustrato - molte persone che in esso non si riconoscono, ma che credono nella nostra comune battaglia, non aderirebbero. Dobbiamo semplicemente unire tutte le forze patriottiche del Paese. Il CNRU è basato sulla totale uguaglianza tra i suoi membri, siano essi privati cittadini, partiti o associazioni di ogni genere".

Pronta la risposta del mondo politico, che non si è tirato indietro ed ha accolto l'invito degli intellettuali. Al CNRU già hanno aderito il leader del BJuT e dell'Opposizione Democratica, Julija Tymoshenko, il capo del Narodnyj Rukh, Boris Tarasjuk, ed il vice segretario del partito Svoboda, Andrij Mochnyk.

"Non sono che aderenti con pari dititti rispetto a tutti gli altri - ha assicurato Luk'janenko - nessuno di loro aspirerà alla presidenza del comitato. Occorre cambiare la concezione della politica nel Paese. La nostra democrazia è ancora troppo giovane, ha solo 20 anni. Sorta dopo 300 anni di sottomissione, 70 dei quali comunista. Solo un'azione lenta, ma determinata, aiuterà l'Ucraina ad uscire dal torpore odierno e a guardare con maggiore fiducia e speranza l'Europa e l'Occidente".

Matteo Cazzulani