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E' USCITO IL MIO LIBRO "LA DEMOCRAZIA ARANCIONE. STORIA DELL'UCRAINA DALL'INDIPENDENZA ALLE PRESIDENZIALI 2010", LIBRIBIANCHI EDITORE. Parte dei proventi finanzia l'Associazione AnnaViva.

giovedì 9 settembre 2010

FUSIONE GAZPROM-NAFTOHAZ, FRENO DI AZAROV. VIA LIBERA AL NABUCCO


FOTO UNIAN. Kyiv cauta sul progetto di fusione tra i colossi del gas ucraino e russo, ed esorta Mosca a desistere sul SouthStream. Semaforo verde al Nabucco.

Partnership alla pari, sì. Fusione incondizionata, no. Secco, e sorprendente, è il messaggio lanciato dal primo ministro ucraino, Mykola Azarov, in merito al progetto di fusione tra il colosso energetico del suo Paese, Naftohaz, con quello russo, Gazprom. Un'idea, caldamente proposta dal premier russo, Vladimir Putin, la scorsa primavera, a Sochi, su cui Kyiv e Mosca hanno lavorato negli ultimi mesi. Nella giornata di mercoledì, 8 settembre, l'altolà di Azarov, espresso dal portavoce, Vitalij Luk'janenko: la fusione è un passo azzardato. Meglio una partnership molto stretta, purché, sempre, a pari condizioni.

Quella, seppur indiretta, di Azarov è una conferma di quanto precedentemente affermato dal ministro dell'energia, Jurij Bojko, che all'agenzia UNIAN ha scartato l'ipotesi di una fusione tra i due colossi in un supermonopolista, e ribadito che nell'operazione, realizzabile sia sotto forma di stretta partnership che di associazione, la parità di peso tra Kyiv e Mosca è condicio sine qua non per un buon esito delle trattative.

"Non preventiviamo - ha commentato all'agenzia UNIAN - la fusione tra Naftohaz e Gazprom. Sarebbe preferibile un'unione delle due compagnie. Per noi - ha continuato - fondamentale è modernizzare il sistema infrastrutturale energetico nazionale, ed ottenere prezzi più a buon mercato del gas. In base a queste richieste - ha concluso - elaboeremo una proposta a Mosca".

Le dichiarazioni di premier e ministro dell'energia ucraini arrivano l'indomani di quelle del capo di Gazprom, Oleksej Miller, secondo cui la parte russa non è affatto interessata ad un'impresa comune, né ad una semplice collaborazione. Altresì, essa mira ad una fusione tout court, per la quale è disposta a concedere a Naftohaz lo sfruttamento di un giacimento dalla portata - potenziale - di 1 trilione di metri cubi.

"Le due compagnie devono fondersi - ha sentenziato - la partnership e l'unione sono solo i primi passi verso la creazione di un supermonopolista. Quando parliamo di comune impresa lo facciamo intendendo una fusione".

Comune impresa, unione, partnership o fusione che sia, di strada Kyiv e Mosca ne hanno percorsa già molta. Successivamente al consiglio di Putin, nel maggio scorso, Bojko ha dichiarato la disponibilità, da parte ucraina, di mettere a disposizione del futuro supermonopolista il giacimento di gas del Mar Nero. E, sopratutto, possesso, e manutenzione, dei gasdotti ucraini. In cambio, lo scorso 27 giugno Miller ha messo a disposizione alcuni giacimenti del centro della Russia.

Tuttavia, lo stop di Azarov non convince gli esperti sulla reversibilità del progetto di fusione, dal momento in cui l'inverno è alle porte, e, per affrontarlo, Kyiv necessita di gas a buon mercato. Pertanto, il tempo giocherebbe a favore di Mosca, abile nel fissare le sue proposte nei tempi necessari. Opinione condivisa dal ministro-ombra dell'energia, Oleks Hudyma, che ha invitato a tenere conto di come, solo negli scorsi giorni, Naftohaz si sia indebitata con la banca russa BTB, cui capo del Consiglio di Amministrazione è lo stesso Vladimir Putin. 400 milioni di dollari USA l'entità del prestito, erogato, in tranche periodiche, fino al 2013.

"Naftohaz - ha illustrato l'esponente del Blocco Tymoshenko - ha già accantonato la dote per il matrimonio con Gazprom. Negli scorsi giorni sono stati messi sul piatto 700 milioni di dollari, 400 dei quali presi a credito dalla Russia. Presto arriverà l'inverno, ed il Cremlino è avantaggiato nell'imporre le sue condizioni, facendo leva sul prezzo del gas".

Forse è proprio in vista dell'arrivo del generale inverno che l'Ucraina ha cercato rinnovare le forniture di gas turkmeno. Come riportato dall'agenzia Rosbalt, nella giornata di Domenica, 5 settembre, una delegazione, capeggiata dal viceministro degli esteri, Viktor Majko, si è recata ad Ashgabat. Nessuna certezza dai colloqui, ma sono in molti tra gli esperti ad essere convinti che, questa volta, l'accordo sarà ben lungi dall'essere raggiunto. Tra gli altri, Volodymyr Saprykin.

Da un lato, il Direttore dei programmi energetici del Centro Razumkov ha riconosciuto che il peggioramento delle relazioni russo-turkmene - sopratutto a seguito dell'incidente, di cui sarebbe responsabile Mosca, di una conduttura deputata all'esportazione del gas di Ashgabat all'Europa - apre gli spazi per un nuovo accordo con Kyiv. Ma, dall'altro, ha evidenziato che, qualora ne fosse rinnovata l'esportazione all'Ucraina, l'oro blu turkmeno giocoforza dovrebbe transitare per il territorio russo. Una prospettiva che Mosca, esclusa dall'affare, ed interessata a rifornire Kyiv di proprio combustibile, difficilmente permetterà.

"Bisogna comprendere - riporta la nota di Saprykin - che la fornitura di gas non è una questione solamente economica. Bensì geopolitica. E da questo punto di vista, Mosca non permette il transito di gas che non controlla attraverso il suo territorio. E ciò, sebbene oggi i rapporti con Kyiv siano nettamente migliori. Per Mosca, il gas turkmeno vale molto di più rispetto alle relazioni con l'Ucraina. Dunque, escludo un accordo con Ashgabat".

Lecito ricordare che il gas turkmeno, meno caro di quello russo, è sempre stato ambito da Kyiv. Già nel 2001, l'allora vicepremier con delega agli affari energetici, Julija Tymoshenko, riuscì ad assicurarsi, per quindici anni, una fornitura costante di oro blu turkmeno. Un successo politico della Lady di Ferro ucraina. Purtroppo, reso vano dall'ex-presidente, Viktor Jushchenko, che, nell'inverno 2006, dinnanzi all'interruzione delle forniture di Mosca, accettò la creazione di RosUkrEnergo: una joint venture russo-ucraina, compartecipata da Gazprom e Naftohaz, registrata in Svizzera, incaricata di vendere tale gas a Kyiv. De facto, l'Ucraina fu costretta a cedere all'intermediaro il monopolio dell'importazione del gas turkmeno, diminuendone la convenienza per il proprio bilancio.

All'incontro di Ashgabat, il Cremlino ha risposto prontamente. L'ambasciatore della Federazione Russa in Ucraina, Mikhail Zurabov, ha annunciato l'imminente visita del primo ministro russo, Vladimir Putin, per rinnovare gli accordi sulle forniture di gas. Il diplomatico ha sottolineato come a Mosca sia ben chiaro il bisogno che a riguardo ha la parte ucraina. Per questa ragione, Putin è intenzionato ad intavolare la discussione già nelle prossime settimane, senza aspettare la settima sessione della Commissione per la Cooperazione Economica russo-ucraina, prevista per il prossimo 26 ottobre.

"L'incontro - ha dichiarato - si farà. Le consultazioni dureranno per il seguente mese e mezzo. Inoltre - ha continuato - per un migliore accordo sul gas, che soddisfi la parte ucraina, riteniamo utile che Kyiv si integri maggiormente in quelle strutture internazionali appositamente create. In particolare, nell'Unione Doganale con Bielorussia, Kazakhstan e Russia, e nel sistema di collaborazione euroasiatica. Accanto a ciò, il processo di stretta collaborazione tra Mosca e Kyiv, in diversi settori, deve continuare".

Uno degli ambiti è quello dell'energia nucleare. Già nel maggio scorso, il primo ministro ucraino, Mykola Azarov, ha dichiarato di aver raggiunto un'intesa con Mosca per la comune costruzione di una centrale nel proprio Paese. Successivamente, il 21 giugno, è stato indetto un bando per l'assegnazione della partnership. Vinto, martedì 7 settembre, dal consorzio statale russo TVEL. A renderlo noto a Radio Liberty, Svitlana Merkylova, rappresentante in Ucraina della compagnia americana Westinghouse. L'unica, assieme ai russi, ad aver preso parte al concorso.

"Abbiamo ricevuto una comunicazione - ha spiegato laconicamente - in cui, ringraziandoci per la partecipazione, ci è stato notificato che la commissione giudicatrice ha assegnato il bando a TVEL".

Per Mosca non è finita qui. Nella giornata di lunedì, 6 settembre, alcune banche internazionali hanno dato il via libera al Nabucco: gasdotto euroamericano, progettato per trasportare gas centroasiatico direttamente nel Vecchio Continente, bypassando il territorio russo. Il semaforo verde, l'erogazione di prestiti al consorzio incaricato di construire la conduttura, di cui fanno parte la compagnia tedesca RWE, la bulgara Bulgargaz, l'ungherese MOL, la rumena Transgaz, la turca Botas e l'austriaca OMV.

Secondo quanto riportato dall'agenzia Bloomberg, e confermato da quella russa Lenta.ru, la Banca Europea degli Investimenti si è impegnata per 2 miliardi di euro, quella per lo Sviluppo e la Ricostruzione per 1,2, e la Banca Mondiale per 800 milioni. I restanti 8 miliardi, infine, saranno erogati dal bilancio del consorzio e da investitori privati. I lavori per la conduttura inizieranno nel gennaio 2011, con lo scopo di renderla operativa dal 2014. La portata del Nabucco, inizialmente fissata a 17 miliardi di metri cubi annui, è stata innalzata a 31 miliardi.

L'infrastruttura in questione è concorrente al SouthStream: conduttura, di progettazione russo-italiana, ideata, su un simile itinerario, per bypassare Paesi agli occhi del Cremlino instabili, come Ucraina, Moldova e Romania. Essa, dal 2015, trasporterà oro blu dalla Russia all'Italia, attraverso il fondale del Mar Nero, Grecia e Paesi Balcanici. Oltre a Gazprom ed ENI, alla realizzazione di quello che è stato battezzato "gasdotto ortodosso" partecipano la francese Suez Gaz de France, la già citata tedesca RWE, la serba Srbtransgas, la bulgara Bulgaria Energy Holding e la greca DEFSA.

Il progetto, la cui presidenza è stata offerta a più riprese all'ex premier italiano, Romano Prodi - sul modello di quanto avanzato, ed accettato, per il NordStream all'ex cancelliere tedesco, il socialdemocratico Gerard Schroder, oggi dipendente di Putin - è contrastato da Kyiv, che rischia l'isolamento. Per far desistere i russi dalla realizzazione del Southstream, l'Ucraina, dapprima, ha proposto la condivisione del proprio sistema infrastrutturale energetico. Successivamente, avanzato dubbi di carattere ecologico, sostenendo che la posa delle tubature potrebbe seriamente comprometere l'ecosistema del Mar Nero.

A ribadire, di recente, tale obiezione, il ministro degli esteri ucraino, Kostjantyn Hryshchenko, a Londra per una visita di lavoro. Come riportato dall'agenzia tedesca Deutsche Welle, il capo della diplomazia di Kyiv avrebbe esortato Mosca ad abbandonare un progetto a lei politicamente sconveniente. Nonché, ad alto impatto ambientale. Ciò nonostante, difficilmente la parte russa rinuncerà al gasdotto ortodosso. Il quale consentirà a Mosca di insturare un collegamento diretto con gli stretti alleati della parte occidentale del Vecchio Continente, assetati di gas e bisognosi dell'oro blu sulla cui esportazione Gazprom detiene il monopolio. Una dipendenza che, troppo spesso, condiziona la condotta della Vecchia Europa, sia sul piano energetico che, purtroppo, geopolitico.

Matteo Cazzulani

mercoledì 8 settembre 2010

UCRAINA, RIAPRONO I LAVORI ALLA RADA. E' SUBITO BAGARRE. CRONACA DELLA GIORNATA.





FOTO UNIAN.Un'Opposizione Democratica, sempre più divisa, protesta dentro e fuori il parlamento contro la politica fiscale del governo. Respinti quattro emendamenti. La Tymoshenko invita al voto amministrativo per sfiduciare Janukovych. Pavlychko: "frammentati non si vince".

Sessione nuova, vecchie diatribe. La campanella di inizio anno è suonata anche per la politica ucraina. Martedi, 7 settembre, esattamente una settimana dopo quella che ha richiamato nelle scuole del Paese allievi e scolari. I quali, di sicuro, hanno celebrato il ritorno tra i banchi in maniera meno spumeggiante di quanto fatto dai parlamentari, autori di una giornata surreale, politicamente agitata e, purtroppo, tragicomica.

Tutto ha inizio alle ore 9 locali, con l'inaugurazione ufficiale della nuova sessione, la settima: fino al 14 gennaio, dieci settimane di riunioni plenarie, cinque di lavori nelle commissioni, quattro di campagna elettorale per le consultazioni locali, e dieci ore di question time. Un'occasione solenne, a cui, oltre ai 399 deputati registrati, hanno presenziato il presidente, Viktor Janukovych, l'intero Consiglio dei Ministri, il Capo della Corte Suprema, Vasyl' Onopenko, quello del Tribunale Amministrativo, Oleksandr Pasenjuk, ed i direttori della Banca Nazionale Ucraina, del Comitato Nazionale Antitrust, del Consiglio Superiore di Giustizia e del Fondo del Demanio.

Fin dalla mattina, i parlamentari del Partija Rehioniv - la forza politica, egemone nel Paese, a cui appartengono Capo dello Stato, premier ed il resto dei titolari dei dicasteri - hanno circondato la tribuna centrale, per evitare che i lavori, come preannunciato, venissero bloccati dall'Opposizione, sui cui scranni sono stati issati otto striscioni contro l'operato del governo in materia fiscale ed energetica, e, sopratutto, di condanna della decisione di innalzare le imposte per gas e servizi comunali. "Prezzi instabili, innalzamento dell'età pensionabile, incremento delle tasse sono genocidio fiscale per gli Ucraini", il loro contenuto. "Ucraina senza la gente" un altro, scimmiottando lo slogan elettorale con cui le elezioni presidenziali sono state vinte da Janukovych.

Ed è stato proprio il Capo dello Stato ad aprire i lavori. Lo ha fatto con un discorso pacato, equilibrato, persino superpartes, con cui ha invitato il parlamento ad approvare leggi per il bene del Paese, ed espresso la speranza che tutti i deputati, di maggioranza e di opposizione, siano autori di un lavoro costruttivo.

"La gente - ha dichiarato dalla sua postazione, alla sinistra dello speaker - si aspetta provvedimenti utili per il bene delle regioni del Paese. Da parte mia, non ci saranno discriminazioni. Tutti i parlamentari sono uguali, per me l'appartenenzaalla coalizione [maggioranza, n.d.a.] o all'opposizione non ha importanza. Bisogna lavorare insieme".

Anche il Presidente del Parlamento, Volodymyr Lytvyn, ha fatto proprio lo spirito di concordia. Annunciato l'ordine del giorno, con la messa ai voti di nuovo codice fiscale e moratorie all'innalzamento delle tasse, proposte dall'Opposizione, ha dichiarato la propria soddisfazione dinnanzi all'esito della riunione dei capigruppo. In cui, precedentemente, in cambio dell'inserimento nell'odg dei propri emendamenti, gli esponenti del Blocco Tymoshenko e di Nasha Ukrajina-Narodna Samooborona hanno rinunciato al blocco dei lavori.

Una pax fragile, difficilmente raggiunta, e prontamente rotta. Ad aprire il fuoco, il primo ministro, Mykola Azarov, che con un discorso al vetriolo ha colto l'occasione per accusare l'Opposizione di destabilizzare il Paese, e gettato sul precedente governo Tymoshenko l'intera responsabilità della crisi finanziaria in cui versa l'Ucraina.

"La così detta opposizione - ha tuonato - ha lasciato debiti astronomici, e continua a destabilizzare il Paese. Dovrebbe vergognarsi di aver sfiorato la bancarotta, e di avere trascinato lo Stato al marasma. Ciò nonostante, il governo continuerà a lavorare per la stabilità economica e politica".

Parole pesanti, sopratutto se pronunciate da un primo ministro. Per giunta, in un'occasione ufficiale. I deputati dell'Opposizione si sono recati verso la tribuna per bloccare i lavori, e, come effettuato da Oleh Ljashko, del Blocco Tymoshenko, denunciare al microfono l'ennesima intimidazione verbale del Partija Rehioniv ai danni di esponenti del BJuT. Pronta la reazione dei parlamentari della maggioranza, a loro volta accorsi verso il centro dell'aula. E' bagarre, e Lytvyn è costretto al time-out. Ma non c'è pace.

Terminata la pausa, viene votata la cancellazione del vecchio Codice fiscale. Una procedura necessaria per approvare quello nuovo, elaborato dal Partija Rehioniv. Successivamente all'incremento della bolletta del gas per la popolazione del 50%, deciso arbitrariamene lo scorso primo di agosto, la nuova versione prevede un incremento delle tasse sui beni immobili, e sulle attività della piccola e media impresa. 251 i favorevoli: maggioranza compatta - Partija Rehioniv, Blocco Lytvyn e comunisti.

Il vice speaker, Mykola Tomenko, del Blocco Tymoshenko, ha preso parola e accusato la maggioranza di nuocere alla ripresa economica, in quanto il codice annullato garantiva agevolazioni fiscali per la piccola imprenditoria, indispensabili per la ripresa del Paese. E, purtroppo, eliminate dal nuovo documento. Ancora bagarre. Lytvyn, dopo aver posticipato la votazione sul nuovo Codice Fiscale nelle prossime sedute, ha convocato l'ennesima pausa.

Ancora una ripresa, ennesima votazione. E nuova baruffa. Questa volta, la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata l'annullamento delle moratorie all'innalzamento del costo del gas e dei servizi comunali. Presentate, in quattro mozioni distinte, da Opposizione e comunisti. Ad avere maggiore successo, la Kompartija, con 200 voti a favore della sua proposta su 421. A sostegno di quella del Blocco Tymoshenko, presentata da Oleh Ljashko, invece, 176. Due voti in meno, 174, per quelle di Nasha Ukrajina, presentate da Jurij Karmazin e Roman Zvarych. Un'operazione irregolare, a cui non tutti i deputati della maggioranza hanno preso parte fisicamente. Per questa ragione, Ljashko ne ha richiesto la ripetizione.

Al nuovo stop è seguita l'ennesima vittoria della maggioranza, con la concessione del permesso al consiglio comunale di Kyiv di indire un referendum per l'eliminazione dei consigli territoriali interni alla città. Un'idea del sindaco della capitale, Leonid Chernovec'kyj, per aumentare il proprio controllo su un territorio - come confermato dagli ultimi sondaggi - a lui diventato politicamente ostico. Doveroso sottolineare che nelle ultime presidenziali Chernovec'kyj ha supportato Janukovych, al punto da non spargere il sale per le strade ghiacciate della capitale, e, così, disincentivare il voto in favore di Julija Tymoshenko. Per questa ragione, il Partija Rehioniv ha suppotato la richiesta, presentandola alla Rada. Ancora una volta, la maggioranza è compatta: 245 i favorevoli.

Questa volta, nessuna bagarre. Anche perché la vera mobilitazione è fuori dall'edificio della Rada, dove il Comitato per la Difesa dell'Ucraina ha chiamato a raccolta la popolazione per protestare contro il rincaro delle imposte del gas e dei servizi comunali, decisi dal governo nonostante da Mosca sia stato ottenuto uno sconto sul prezzo di importazione dell'oro blu. Lecito ricordare, a caro prezzo politico e militare: Kyiv ha dovuto rinnovare la permanenza dell'esercito russo in Crimea fino al 2042, ed accettare la fusione di gioielli dell'economia nazionale con monopolisti russi nel campo dell'energia atomica, idroelettrica e della costruzione di aerei civili.

Secondo fonti ufficiali, al presidio sono accorsi in 10 mila. Non solo militanti di Bat'kivshchyna - il partito di Julija Tymoshenko - e di Svoboda, ma anche privati cittadini, indignati dalla politica della verticale del potere Janukovych-Azarov. A poca distanza, 2 mila sostenitori del Partija Rehioniv. Come dimostrato da interviste rilasciate al 5 Kanal, solo i più anziani di essi si sono dimostrati consapevoli del perché delle loro ragioni. I più giovani, invece - studenti sfaccendati o disoccupati delle regioni orientali del Paese - hanno ammesso di essere stati invogliati dalla prospettiva di una gita nella capitale, con vitto garantito.

Dal palco della mobilitazione dell'Opposizione Democratica, la leader, Julija Tymoshenko, ha invitato tutti gli ucraini a concretizzare la propria scontentezza recandosi alle urne il prossimo 31 ottobre, per punire il Partija Rehioniv alle prossime elezioni comunali. Inoltre, ha dichiarato la volontà di proseguire in sede parlamentare la battaglia per l'abolizione dell'incremento delle tasse ai danni della popolazione e della piccola e media impresa. Infine, ha richiesto ufficialmente le dimissioni del Capo dei Servizi segreti, Valerji Khoroshovs'kyj, e del ministro dell'istruzione, Dmytro Tabachnyk. Accusati, il primo, di uso politico di milicija e magistratura. E, il secondo, di ucrainofobia.

"Richiederemo costantemente le dimissioni di Tabachnyk - ha dichiarato la Lady di Ferro ucraina - autore di una politica antiucraina. Ricordiamo di quando, contrario all'Indipendenza, ha bruciato la nostra bandiera nazionale. Richederemo anche quelle di Khoroshovs'kyj - ha continuato. Il Partija Rehioniv necessita di una investitura da parte degli ucraini. Qualora il prossimo 31 ottobre vincessero le elezioni locali, si sentirebbero legittimati a continuare nella loro politica, lesiva degli interessi nazionali. Per questo - ha affermato - invito tutti voi a recarvi alle urne. Le amministrative- ha concluso - sono la nostra prima difesa".

Prima difesa a cui ha chiamato anche il leader di Narodna Samooborona, l'ex ministro degli Interni, Jurij Lucenko, che ha invitato tutti coloro che hanno l'Ucraina nel cuore a sostenere Bat'kivshchyna - il partito della Tymoshenko - per lanciare un forte segnale a Janukovych. Di segno oposto, invece, il pensiero del coordinatore del Comitato per la Difesa dell'Ucraina, Dmytro Pavlychko. L'oppositore di vecchio corso, attivo già sotto il regime sovietico, ha ipotizzato una sconfitta dell'Opposizione alle prossime consultazioni, dal momento in cui, allo stato attuale, essa è divisa da dissidi intestini.

"Dove sono Jacenjuk, Kyrylenko e Hrycenko - ha esclamato, riferendosi ad altri leader di spicco dell'Opposizione a Janukovych - Se non capiamo che dobbiamo restare uniti, queste elezioni sono perse. Dobbiamo unirci, per il bene del nostro Paese. La nostra forza è il Majdan. Lì, nel 2004, abbiamo dimostrato [con la rivoluzione arancione, n.d.a.] che possiamo vincere. Ma solamente se combattiamo insieme, uniti".

Parole sagge, dettate dall'esperienza di chi, nella sua storia, di battaglie per l'Ucraina e la libertà ne ha combattute molte. Forse, anche per questo, persino profetiche. Difatti, nella serata, l'ennesimo strappo. Con una nota, Svoboda ha espresso indignazione per l'assenza, sul palco della manifestazione, del proprio leader, Oleh Tjahnybok, e della presidente della regione di Ternopil', Oleksija Kajdy, e promesso ripercussioni politiche. Sebbene a rappresentare la forza politica ci fosse Irina Farion, lo strappo è stato consumato. E, purtroppo, l'Opposzione Democratica è ancora più frammentata.

Una divisione che indebolisce. Sempre nella serata, l'ennesima tegola, che chiude una giornata campale della politica ucraina. Il vice capo di Bat'kivshchyna, consigliere di Julija Tymoshenko, Oleksandr Turchynov, è stato convocato dai servizi segreti per un interrogatorio. A comunicarlo, una nota del Blocco Tymoshenko. Che, oltre a porre l'accento sulla mancata trasmissione delle ragioni della convocazione dell'ex vice premier, ha espresso forte preoccupazione per quella che ritiene l'ennesima operazione giudiziaria contro un esponente dell'entourage della Lady di Ferro ucraina.

"Ricordiamo - riportala nota del BJuT - che in prigione sono finiti già l'ex vice capo di Naftohaz [il colosso ucraino del gas, n.d.a.] Ihor Didenko, l'ex capo del controllo Statale di frontiera, Anatolij Makarenko, e l'ex minostro degli esteri, Bohdan Danylyshyn".

Matteo Cazzulani

lunedì 6 settembre 2010

MOLDOVA, FALLISCE IL REFERENDUM. CHISINAU RESTA UNA REPUBBLICA PARLAMENTARE.


Al referendum per la modifica dell'articolo 78 della Costituzione vota solo il 30%. Nessuna elezione diretta del presidente, come proposto dalle forze della coalizione di governo per superare la crisi politica. Venti di guerra in seno al campo democratico. Esultano i comunisti, favorevoli all'astensione.

Una vittoria politica dei comunisti, ottenuta con l'arma democraticamente più fastidiosa: l'astensione. Questo, in sintesi, quanto accaduto in Moldova, Domenica, 5 settembre, in occasione del referendum nazionale indetto per introdurre l'elezione diretta del Capo dello Stato, e trasformare il Paese in una repubblica presidenziale. Il quorum necessario, il 33,3% degli aventi diritto, non è stato raggiunto. L'affluenza si è arrestata al 30%.

Un'occasione sprecata, dal momento in cui il refendum poteva risolvere una situazione politica di instabilità, proprio con il più democratico degli strumenti. Una spiegazione, ribadita per tutta la campagna elettorale dai partiti della coalizione di governo "Alleanza per l'Integrazione Europea" - il Partito LiberalDemocratico di Moldova, PLDM, il Partito Democratico di Moldova, PDM, il Partito Liberale, PL, e l'Alleanza "Moldova Noastra" - che, a quanto pare, non ha convinto i moldavi. Forse, come rilevato da diversi analisti, anche a causa della litigiosità tra gli esponenti della maggioranza, che hanno preferito spendere tutte le energie sulla ricerca del candidato da presentare alle presidenziali, già fissate, prima ancora di Domenica, per novembre.

Un'autogol, per cui esultano solo i comunisti, che hanno invitato i moldavi a boicottare una consultazione elettorale bollata come inutile e pretesto per indire nuove elezioni. Soddisfazione è stata espressa dal leader, l'ex presidente, Vladimir Voronin, e da diversi membri del partito. Jurije Muntjan ha parlato di fallimento del tentativo di usurpare il potere da parte della maggioranza, mentre una sua collega, la deputata, Maria Postojko, si è felicitata per il mancato raggiungimento del quorum in quello che ha definito uno show antidemocratico.

Eppure, questo show antidemocratico era davvero necessario. Infatti, la coalizione di governo ha proposto il ripristino dell'elezione diretta della Prima Carica dello Stato - in vigore fino al 2000 - dopo che per due volte in un anno e mezzo il parlamento non è riuscito ad scegliere il presidente. In merito, chiaro è stato lo speaker del parlamento, Mihai Ghimpu, leader del Partito Liberale e, sopratutto, Capo dello Stato ad interim, fino alla risoluzione della crisi.

"I moldavi - ha dichiarato alla vigilia del referendum - hanno il diritto di andare alle urne, e votare sì al refendum. Occorre riappropriarsi di quel diritto, democratico, di eleggere direttamente il presidente che si vuole, toltoci dai comunisti nel 2000. Qualora il quorum non fosse raggiunto, la crisi politica continuerà".

Alla base dello stallo politico, l'estrema frammentarietà dell'"Alleanza per l'Intergrazione Europea", al potere dalla primavera del 2009. Allora, dopo le ennesime elezioni falsate dai comunisti, proteste nonviolente sotto il palazzo presidenziale dei democratici moldavi - altrimenti note cone Rivoluzione Twitter - portarono alle dimissioni di Voronin, al tempo Capo di Stato. L'ultima rivoluzione colorata nell'Europa centro-orientale, con cui i democratici moldavi - pacificamente armati di bandiere nazionali, romene e dell'Unione Europea - in nome della Democrazia, delle libertà, e dell'integrazione con l'Occidente rovesciarono l'ennesima autocrazia di eredità sovietica.

Ciò nonostante, la maggior parte della responsabilità della dell'empasse, che ingessa il Paese, ricade proprio sui comunisti. Essi, seppure all'opposizione, sono il gruppo parlamentare con più deputati, 48 su 101. Facile, per loro, dapprima restare compatti, ed aprofittare delle divisioni interne alla maggioranza su ogni questione. E, successivamente, sfruttare la crescente sfiducia dei moldavi nella politica, per boicottare un referendum osteggiato persino in sede internazionale, con la vana presentazione di un ricorso presso la Commissione Europea.

In molti tra gli esperti hanno sottolineato come la condotta dei comunisti sia dettata anche dal fatto di trovarsi senza un leader: a Voronin, per due volte Capo dello Stato, la legge vieta di correre per un terzo mandato. Preso dalla carica ricoperta, l'ex Capo dello Stato non è stato in grado di individuare, ed allevare, un suo erede. Ed oggi, i comunisti si trovano con tanti colonnelli, ma nessuna figura di riferimento.

Leader che, invece, abbondano nel campo della maggioranza democratica. E che, fallito il referendum, già affilano i coltelli in vista delle prossime parlamentari. Sulla loro data, ancora nessuna uficialità. Ma in molti sostengono che una soluzione dello scontro intestino alla coalizione di governo sia questione di poco tempo. A contendersi la leadership dell'"Alleanza per l'Integrazione Europea", l'attuale premier, il leader del Partito Liberal-Democratico, Vlad Filat, ed il capo del Partito Democratico, Marian Lupu. Il primo, impegnato nella rincorsa dei voti di centro, sostenitore dell'integrazione con NATO ed UE, e, con una consolidata partnership con l'ALDE, già ben integrato nelle strutture partitiche del Vecchio Continente. Il secondo, invece, inserito nell'internazionale socialista, e maggiormente attento alle buone relazioni con Mosca. Complice, la collaborazione con "Russia Unita", la forza politica del primo ministro russo, Vladimir Putin.

Ad essi, si aggiungono il già citato Mihai Ghimpu, ed il presidente di "Moldova Noastra", Serafim Urechean. Un raggruppamento di personalità, alleate e concorrenti, che, se da una lato certifica il progresso del sistema partitico moldavo, dall'altro ricorda Paesi similmente liberatisi da autocrazie post-sovietiche, come l'Ucraina. Resta la speranza che, diversamente da Kyiv, tale competizione non prevalga sull'interesse della nazione. E, in nome di personalismi ed invidie, non porti lo schieramento democratico a rompersi, ed a sacrificare la legittima volontà del popolo moldavo, per cui esso è oggi al potere: l'ingresso nell'Unione Europea, dopo anni di sofferenze, e sottomissione al Cremlino.

Matteo Cazzulani

domenica 5 settembre 2010

AZERBAJDZHAN, MOSCA IMPONE LA PAX GASATA

Il Cremlino sempre più presente nello scacchiere caucasico. Dopo i missili in Armenia, colloqui con Baku per la tregua militare con Jerevan. E per l'egemonia energetica nella regione.

Un casco blu ed una penna, calda al punto giusto per firme importanti. Di sicuro, Dmitrij Medvedev non avrà scordato di riporli nella sua valigia, destinazione Baku. Nella giornata di giovedì, 2 settembre, il Presidente della Federazione Russa si è recato in Azerbajdzhan, in visita presso il suo collega, Il'kham Alijev. Scopo dell'incontro, almeno ufficialmente, la risoluzione del contrasto militare con l'Armenia, ripreso negli ultimi mesi.

Lo scorso giugno, un violento scambio di fuoco aveva rotto una delicata tregua, raggiunta solo pochi giorni prima. Successivamente, il 31 agosto, gli ennesimi scontri armati tra soldati di Baku e Jerevan, nel caldo teatro del Nagorno-Karabakh. La regione, contesa nell'omonima guerra tra il 1987 ed il 1994, dopo avere ottenuto con le armi l'indipendenza dall'Azerbajdzhan, e si è dichiarata repubblica autonoma. Una situazione, tuttavia, mai risolta: in pochi hanno riconosciuto lo status della neonata realtà geopolitica, costantemente rivendicata, nelle parole e nei fatti, dai due Paesi contendenti.

L'inquilino del Cremlino, che si è sempre presentato come arbitro della discordia, ha ascoltato Alijev, registrato le sue ragioni, ed invitato a riaprire il dialogo con Jerevan. Il tutto, nonostante poche settimane fa lo stesso Medvedev abbia ratificato con l'Armenia un accordo che prolunga la permanenza dell'esercito russo nel Paese fino al 2044. Una decisione accolta con preoccupazione da Baku, timorosa di un possibile inserimento di Mosca in aiuto del suo storico alleato.

Ma non solo armi. Il casco blu della regione - che Mosca ritiene propria sfera di influenza - ha sollevato anche questioni di diversa natura. Dapprima, economico-agricole, con un generico piano di collaborazione internazionale nel bacino del Caspio, per sfruttarne le risorse idriche. In seguito, secondo indiscrezioni, energetiche. Difatti, i due avrebbero raggiunto un accordo che garantisce a Gazprom - il monopolista russo del gas - l'esclusiva sullo sfruttmanto dei giacimenti azeri.

Un colpo grosso. Che, da un lato, rafforza la presenza di Mosca nell'area, e ne certifica il monopolio nell'esportazione di oro blu all'Europa. Dall'altro, sottrae Baku dalla lista dei Paesi sostenitori del Nabucco: gasdotto, di progettazione euroamericana, che trasportando oro blu centroasiatico nel Vecchio Continente aggirando il territorio russo, ha lo scopo di allentare la dipendenza UE dal Cremlino. Il quale, come noto, spesso si avvale dell'arma energetica per mutare in proprio favore gli equilibri geopolitici.

Sulle reali intenzioni di Medvedev sono in pochi tra gli esperti azeri ad avere dubbi. Il politologo Rasim Musabajov ha sottolineato come la visita del presidente russo, inizialmente prevista per la fine del mese, sia stata anticipata di diversi giorni. Casualmente, alla vigilia dell'incontro tra Alijev ed il presidente USA. Un messaggio ben chiaro, affinché Obama, già poco determinato nei confronti della Russia, non interferisca negli interessi di Mosca nell'area, ed eviti ogni stretta relazione con Baku.

Più chiaro l'ex consigliere del presidente per la politica estera, Vafa Guluzala. "Credo - ha dichiarato a Radio Liberty - che dietro ai recenti episodi nel Nagorno-Karabakh ci sia il ministero della difesa russo. E' per suo preciso ordine che gli armeni hanno di nuovo aperto le ostilità. E' possibile, che lo abbia fatto per esercitare pressione sulla parte azera. Costringendola, in cambio dell'ennesima tregua, ad accettare i missili del Cremlino a Jerevan, e a soddisfare le richieste energetiche di Mosca".

Matteo Cazzulani

sabato 4 settembre 2010

LAVROV A VARSAVIA RIAVVIVA IL DIALOGO RUSSO-POLACCO


Il ministro degli esteri russo incontra Sikorski e diplomatici polacchi. "Basta contrasti, collaboriamo e miglioriamo le nostre economie". Contrariata l'opposizione: "Varsavia torni alla sua storica vocazione, più Minsk e Kyiv, meno Mosca".

L'ennesima riconciliazione, con lo sguardo al 2011. Nella giornata di giovedi, 3 settembre, a Varsavia ha avuto luogo un incontro tra i ministri degli esteri polacco, Radoslaw Sikorski, e russo, Sergej Lavrov, invitato d'eccezione alla riunione annuale dei diplomatici di tutto il Paese. Scopo del forum, la preparazione al secondo semestre 2011. Quando la Polonia, per la prima volta nella sua storia, deterrà la presidenza di turno UE. Un'occasione che Varsavia intende consacrare al miglioramento delle relazioni con Mosca, dopo anni di incomprensioni e contrasti, provocati da ragioni storiche ed energetiche.

Una ventata di tale concordia la si è potuta respirare al meeting tra Lavrov e Sikorski. I quali, in una nota congiunta, hanno dichiarato la necessità di migliorare i rapporti tra i due Paesi, sull'onda di quanto avvenuto negli ultimi mesi. Complici, i rinnovati accordi sul gas, e la cooperazione per chiarire la dinamica della tragedia di Smolensk: l'incidente aereo in cui, il 10 aprile scorso, hanno perso la vita il presidente, Lech Kaczynski, e le altre maggiori cariche dello Stato. Inoltre, i due hanno parlato di concreti progetti comuni per il futuro, quali modernizzazione delle economie, nuove infrastrutture energetiche, ed impegno comune per chiudere, in definitiva, le ferite del passato. In primis, la strage di Katyn - in cui, nel 1940, l'NKVD sterminò il fiore della intellighenzia polacca, rea di essere il meglio di un Paese che, secondo i piani di Stalin, avrebbe dovuto essere sottomesso all'URSS.

Nel corso della conferenza stampa, Lavrov ha spiegato di rapportarsi con Varsavia non solo per dialogare con essa, bensì per interagire con tutta l'Unione Europea, con cui il Cremlino ha pieno interesse ad instaurare serene relazioni. Per questa ragione, ha espresso piena soddisfazione per il nuovo corso della politica estera di Polonia e Repubblica Ceca, meno aggressive nei confronti di Mosca, e maggiormente consapevoli delle loro responsabilità in seno all'UE. Secondo il capo della diplomazia del Cremlino, i due Paesi - pronti, solo qualche anno fa, ad accogliere gli elementi dello scudo spaziale USA per difendersi da possibili aggressioni russe - avrebbero compreso che litigare con Mosca è controproducente.

"Le nostre relazioni - ha evidenziato - sono notevolente migliorate. Credo che la motivazione non sia legata solo alla tragedia di Smolensk, ma ad un vero e proprio riavvicinamento tra i nostri due popoli, ed alla reciproca volontà di normalizzare le relazioni, ed installare un sereno vicinato".

A sua volta, Sikorski ha accennato alla semplificazione del regime dei visti tra UE e l'enclave russa di Kaliningrad. Un progetto che, malgrado le preoccupazioni della vicina Lituania, Varsavia considera come un proprio obiettivo, da raggiungere ad ogni costo. Inoltre, il capo della diplomazia polacca ha spiegato di voler passare dalle armi ai danari, demilitarizzando i rapporti con la Federazione Russa, ed evolvendoli sul piano economico. A riguardo, di estrema importanza sarà la visita del presidente russo, Dmitrij Medvedev, prevista a breve.

"Gli ucraini - ha aggiunto Sikorski - hanno ottenuto una semplificazione del regime dei visti. Non vedo - ha continuato - come simile iniziativa non possa non essere estesa anche a Kaliningrad. Di questo, si occuperanno i due Capi di Stato. Personalmente. Raggiungeremo un accordo, che sancirà la rinnovata concordia tra le parti. La stessa - ha concluso - che, oggi, si è avvertita nel corso della lezione di Lavrov ai nostri diplomatici".

Il docente del Cremlino, tuttavia, non è piaciuto all'opposizione. L'eurodeputato del partito conservatore "Diritto e Giustizia", Ryszard Czarnecki, ha sottolineato come il reale miglioramento dei rapporti bilaterali non ci sia affatto. Altresì, ha spiegato che Mosca si serve di Varsavia solo in occasioni di facciata, preferendo Berlino come interlocutore per argomenti di maggiore rilevanza economica ed energetica. In seguito, l'esponente del principale partito di opposizione ha criticato Sikorski, spiegando che la presenza di un ministro degli esteri straniero alla riunione annuale dei diplomatici della Repubblica di Polonia, per giunta in veste di insegnante, è un fatto inaudito, contrario al bon ton ed al regolamento.

Per Czarnecki, ciò sarebbe naturale conseguenza del nuovo corso della politica estera polacca, notevolvemte mutata da quando il Paese è governato unicamente dal partito liberale "Piattaforma Civica", troppo timoroso sulle questioni di politica estera. Secondo l'Europarlamentare, la Polonia dovrebbe tornare ad essere attiva nei confronti dell'integrazione nell'UE di Bielorussia ed Ucraina. Un ruolo storico, che il presidente, Bronislaw Komorowski, ed il primo ministro, Donald Tusk, sembrano avere rinnegato.

Nel merito della presenza di Lavrov alla riunione dei diplomatici è entrato anche il vice presidente della commissione esteri, Karol Karski, che ha commentato come inammissibile il comportamento dell'esponente del Cremlino.

"Nihil novi - ha dichiarato l'esponente di Diritto e Giustizia - Lavrov non ha aggiunto alcunché al dialogo tra Varsavia e Mosca. Al contrario - ha continuato Karski - letteralmente, ha dettato istruzioni ai nostri diplomatici. Non possiamo accettare tale comportamento. A tenere lezioni - ha continuato - possono essere esponenti di altri Paesi UE, o della NATO. Non il capo della diplomazia di un Paese che, fino a pochi giorni fa, ci ha costantemente minacciati e contrastati".

Matteo Cazzulani

venerdì 3 settembre 2010

UCRAINA, AZAROV PRESENTA IL NUOVO CODICE FISCALE. JANUKOVYCH, IN CINA, IPOTECA IL FUTURO DEGLI UCRAINI


FOTO UNIAN. Il presidente ottiene dai cinesi investimenti per 4 miliardi di dollari USA. Il primo ministro presenta Codice fiscale e prossime iniziative del governo. A rischio la Costituzione.

Amore e fiducia. Sono queste le parole con cui il premier ucraino, Mykola Azarov, ha presentato il Codice fiscale. Un documento atteso da tempo, nato dopo un lungo travaglio politico. Approvato dalla Rada in prima lettura, esso è stato duramente criticato non solo da opposizione ed osservatori internazionali, ma anche dello stesso presidente, Viktor Janukovych, che ne ha richiesto la riformulazione. Ne è seguita una radicale correzione, e la stesura di due versioni, distinte e concorrenti, effettuate da Azarov e dal vice premier con delega agli affari economici, Serhij Tihipko. Alla fine, i due sono giunti ad una mediazione, e, nella giornata di venerdì, 3 settembre, ne hanno battezzato una versione definitiva. La quale, de facto, più che amore e fiducia sembra promettere lacrime e sangue.

Risistemando il criterio delle imposte statali, il nuovo Codice mira a ridurne il numero, ma a farle pagare a tutti, con lo scopo di aumentare le entrate di bilancio, e di trascinare l'economia del Paese fuori dallo stato di crisi in cui attualmente si trova. La ricetta proposta, nello specifico, prevede un aumento degli introiti pari a 200 mila Hryvnje, il 5% delle quali da imposte dirette. A pagare saranno i più ricchi, che, in base al reddito annuo, subiranno un rincaro progressivo delle tasse del 17%. Ad essere bersagliate, anche le proprietà immobiliari: metterà mano al portafogli chi possiede più di 100 metri quadri in città, 200 in campagna. Previsto, infine, un incremento automatico dell'IVA in base all'inflazione. Dall'Imposta sul Valore Aggiunto, tuttavia, saranno esentate le industrie metallurgiche, agricole e chi opera nel setore della cultura e delle arti.

"Bisogna diminuire la pressione fiscale - ha dichiarato Azarov - ma a pagare devono essere tutti. Saranno esentati dall'IVA gli enti artistici, giuridici ed agricoli, ma tasseremo i depositi bancari, i risparmi e le proprietà. E' una manovra dura, ma necessaria per la stabilità economica. Il Paese deve uscire dalla crisi".

Categorica la contrarietà dell'Opposizione Democratica, che per voce del vice leader del partito Bat'kivshchyna, l'ex premier ad interim, Oleksandr Turchynov, ha bollato il nuovo Codice come una manovra del governo per piegare il vigente sistema contributivo ai propri interessi, e per favorire solamente i grandi industriali.

"Un palliativo - ha dichiarato il braccio destro di Julija Tymoshenko, a margine della riunione del governo-ombra, convocata di urgenza dalla Lady di Ferro ucraina - Nel testo presentato sono assenti i reali costi che dovranno pagare i piccoli e medi imprenditori. Questo Codice non è altro che l'ennesima, odiosa manovra del governo. Essa è sterile, non risolverà alcunché".

Altra incombenza, il bilancio 2011. Nella seduta del Consiglio dei Ministri di giovedì, 2 settembre, Azarov ha preannunciato la sua presentazione alla Rada non oltre il 15 settembre, così da avviarne, a breve, l'iter esaminatorio. Sulle sue particolarità, nesuna indiscrezione, ma ne è già chiara la filosofia: anche il budget, di pari passo con l'approvazione del nuovo codice fiscale, avrà l'obiettivo di favorire crescita e stabilità economica. A tale scopo, il premier si è appellato a produttori e piccola-media impresa per contenere i costi delle merci prodotte.

"Il governo - ha dichiarato - ha concluso sia l'esame preeliminare del budget, sia la discussione per la stesura definitiva del codice fiscale. Un progetto otimale - ha continuato - e complesso. Una riforma cardinale, finalizzata alla stabilità ed alla riduzione dei tempi di crescita della nostra economia".

Accanto al bilancio, progetti di riforma costituzionale. Da tempo, il governo - sollecitato dal presidente, Viktor Janukovych - sta cercando di eliminare i cambiamenti alla Carta Suprema apportati nel 2004, per ritornare alla versione precedente del 1996, che garantiva maggiori poteri al Capo dello Stato. Per farlo, necessari 300 voti alla Rada. La maggioranza - costituita dal Partija Rehioniv, Blocco Lytvyn e comunisti - ne conta circa 260. Ciò nonostante, il ministro della Giustizia, Oleksandr Lavrynovych, ha ventilato l'ipotesi di una procedura giudiziaria, in quanto la Costituzione sarebbe stata modificata in aperto contrasto con procedure previste da regolamento.

"Poiché la Corte Costituzionale - ha spiegato a margine della riunione del Consiglio dei Ministri - prevede uno specifico controllo sul processo di approvazione di una legge fondamentale, esso sarà applicato a tutti quei provvedimenti sospettati di avere infranto il regolamento. Non solo ai mutamenti della Costituzione, votati dal Parlamento nel dicembre 2004. La loro entrata in vigore è anticostituzionale".

Tuttavia, tale provvedimento potrebbe rivelarsi un boomerang. Come spiegato dal deputato di Nasha Ukrajina, Jurij Kljuchovs'kyj, l'annullamento delle modifiche del 2004 metterebbe in discussione la stessa legittimità del presidente Janukovych, eletto lo scorso febbraio, e ne diminiurebbe i poteri. Inoltre, dubitando delle irregolarità contestate, il parlamentare di opposizione ha evidenziato che, qualora si tornasse alla versione precedente, la legislatura sarebbe ridotta di un anno. E, dunque, si dovrebbe tornare alle urne già nel 2011.

"E' possibile - ha dichiarato all'agenzia UNIAN - che la maggioranza sia consapevole delle conseguenze tecniche. Elezioni anticipate potrebbero essere utili per limitare l'emoraggia di consensi che, stando agli ultimi sondaggi, il Partija Rehioniv sta subendo. Ciò nonostante - ha continuato - sarebbe una situazione di rinnovato caos, di cui il Paese oggi non ha bisogno affatto".

Da Kyiv a Pechino, dove il presidente Janukovych, assieme al vice premier Andrij Kljujev ed al ministro degli esteri, Kostjantyn Hryshchenko, ha incontrato il suo collega cinese, Hu Jintao. Scopo del vertice, il rafforzamento delle relazioni sino-ucraine, certificato dalla firma di tredici accordi bilaterali, che danno inizio ad una partnership in diversi ambiti.

Nello specifico, è prevista una stretta collaborazione tra i due Paesi nei prossimi anni, con particolare attenzione al quinquiennio 2010-2015, in campo industriale, commerciale, e finanziario. Le barriere commerciali saranno alleggerite, il regime dei visti semplificato, ed il controllo sul valore delle merci implementato. La Cina, interessata all'industria areonautica militare ucraina, parteciperà alla costruzione della ferrovia Kyiv-aeroporto Borispil', e di una centrale idroelettrica in Crimea. Il tutto, per un totale di 4 miliardi di dollari USA, che i cinesi investiranno nell'economia ucraina.

Una partnership economica che, tuttavia, sarà fondata su solide basi politiche. A confermarlo, durante l'incontro con il primo ministro, Chzhan Detszjan, lo stesso Janukovych, che ha preannunciato l'inizio di una collaborazione tra il Partija Rehioniv, la sua forza politica, ed il Partito Comunista Cinese. A ratificare tale accordo, Mykola Azarov, atteso a breve nel Paese.

Infine, Pechino ha confermato per iscritto la rinuncia all'utilizzo di armi atomiche contro Kyiv. Una garanzia - che l'Ucraina intende ottenere nell'immediato futuro anche da altre potenze nucleari del pianeta, quali USA, Francia, Gran Bretagna e Russia - sulla cui necessità permangono forti perplessità, dal momento in cui i rapporti tra i due Paesi non sono mai stati tesi. Né, mai, sull'orlo di un conflitto militare.

Amamaramente chiara, invece, la pesante contropartita che Janukovych ha dovuto concedere ad Hu Jintao. In primis, la Cina ha ottenuto l'aumento della quota di propri studenti ammessi nelle università ucraine, con la possibilità di restare nel Paese, ed ivi lavorare. Una prospettiva che ha allarmato vasti strati della popolazione, dal momento in cui la manodopera cinese, maggiormente a buon mercato, incrementerebbe a dismisura la già crescente disoccupazione, lasciando un numero maggiore di ucraini senza impiego.

Inoltre, Kyiv ha rinunciato ufficialmente al riconoscimento dell'Indipendenza di Taiwan. L'isola, ventiseiesima economia nel Mondo, rivendica la propria autonomia da Pechino, da cui si differenzia non solo per le istituzioni democratiche, ma anche per l'alto livello del rispetto della libertà di parola, dei Diritti Umani, dell'educazione, e della sanità. Principi che, purtroppo, a Pechino sono ben lungi dall'essere riconosciuti, e tutelati.

Matteo Cazzulani

giovedì 2 settembre 2010

CONTINUA LA CALDA ESTATE ENERGETICA, E NON SOLO, DEL MONDO EX-SOVIETICO

Varsavia segue Tallin e Vilna per l'indipendenza energetica da Mosca, che accellera la fusione dei monopolisti del gas con Kyiv, ottenendone i gasdotti. Crisi diplomatica tra il Cremlino e Minsk, spari tra Baku e Jerevan. Bishek rifiuta l'aiuto europeo.

Passa l'estate, ma la temperatura politica resta caldissima. Tra gas, energia, crisi diplomatiche e militari, il mondo ex-sovietico sta vivendo un periodo di discreta instabilità, e di considerevole trasformazione.

In primis, la politica energetica, con la notizia secondo la quale anche la Polonia seguirebbe l'esempio dei Paesi Baltici per tutelare i propri gasdotti dalle mire russe. Come riportato dal quotidiano russo Kommersant'', e confermato dall'agenzia di stampa Gazeta.ru, Varsavia intenderebbe strappare a Gazprom - il monopolista russo del gas - il possesso del tratto polacco del gasdotto Jamal-Europa, per affidarlo alla compagnia Gaz-System, controllata dallo Stato.

A garantire la manovra, il Terzo Pacchetto Energetico UE, secondo cui ogni infrastruttura energetica deve essere disponibile all'ingresso di soggetti terzi, e non permanere nelle mani di uno o due soli partner. Nello specifico, esso riserva ai Paesi dell'Unione la possibilità di rilevare i propri gasdotti secondo tre modalità: nazionalizzazione, creazione di un nuovo operatore a maggioranza statale, varo di un'azione economica straordinaria, finalizzata all'acquisto del 50% più uno delle azioni del colosso statale.

Tale regola, ribadita alla stampa dal rappresentante della Commissione Europea, Jozef Ennon, già è stata sfruttata da Estonia e Lituania. Le quali, lo scorso luglio, hanno dato il via libera allo scorporo delle compagnie nazionali, Eesti Gaas e Lietuvos dujos, proprietarie dei gasdotti locali, entrambe possedute a maggioranza dal monopolista russo.

Continua il processo di unificazione tra Gazprom ed il colosso ucraino Naftohaz, iniziato da quando, la scorsa primavera, il primo ministro russo, Vladimir Putin, ha proposto al suo collega ucraino, Mykola Azarov, la fusione dei due monopolisti nazionali. In un'intervista televisiva, il ministro dell'energia ucraino, Jurij Bojko, ha spiegato che, in cambio del possesso dei siti di estrazione del Mar Nero e del proprio sistema infrastrutturale energetico, Mosca è pronta a rinunciare a propri giacimenti dalla capacità di 30 metri cubi di gas annui. Una quantità cospicua, su cui, tuttavia, permangono seri dubbi.

Difatti, l'edizione ucraina del Kommersant'' ha riportato la notizia secondo cui lavori di estrazione dal sito in questione - ancora segreto - non sarebbero mai stati effettuati, e la presenza di cotanto oro blu sarebbe tutto fuorché sicura. In realtà, Gazprom si limiterebbe a concedere un semplice permesso di sfruttamento. Con la speranza, a costi altriu, di individuare un nuovo serbatoio di gas, di cui avvalersi per soddisfare la crescente domanda di un'Europa sempre più assetata.

Sempre riguardo alla Russia, Mosca è stata protagonista di una crisi diplomatica con la Bielorussia. De facto, si tratta di una scaramuccia. La quale, tuttavia, se contestualizzata in un periodo di continui sgarbi tra Minsk ed il Cremlino, ben dipinge la tensione tra le due cancellerie, un tempo solide alleate. Lo scorso 30 agosto, ignoti hanno gettato borse contenenti materiale infiammabile all'interno del territorio ell'ambasciata della Federazione Russa. Felicemente, nessuna vittima, solo un'automobile di servizio danneggiata. Il Cremlino ha chiesto spiegazioni, ed il presidente bielorusso Aljaksandr Lukashenka non ha lesinato la polemica, accusando Mosca di sfruttare l'incidente a proprio vantaggio per disceditare, dinnanzi all'opinione pubblica internazionale, le autorità bielorusse. Sul modello di quanto, da tempo, starebbero attuando i media russi nei suoi confronti.

Sullo sfondo dei dissapori tra i due Paesi, i recenti tentativi da parte di Minsk di allentare la dipendenza dal vicino russo, sopratutto in ambito politico ed energetico. Sempre lo scorso luglio, la Bielorussia ha iniziato una seria collaborazione con la Lituania per il trasporto di nafta e gas. Aprendo, a riguardo, anche all'Ucraina. Inoltre, Lukashenka si è assicurato forniture di gasolio dal Venezuela, grazie a patti stretti personalmente con Chavez, e, nel mese di agosto, ha implementato l'estrazione di nafta dai giacimenti iraniani.

Da una crisi diplomatica ad una militare, più ad est. Nella giornata di martedì, 31 agosto, è riesplosa la tensione nella regione del Nagorno-Karabakh, contesa tra Azerbajdzhan ed Armenia da oramai una ventina di anni. Una sparatoria, della cui responsabilità Baku e Jerevan si sono accusate a vicenda. In tutto, cinque i morti - per dovere di cronaca, due azeri e tre armeni - ed un ferito - azero.

Il conflitto del Nagorno-Karabakh è uno di quei capitoli del mondo ex-sovietico ancora, pericolosamente, aperto. Combattuta tra il 1987 ed il 1994, la guerra ha comportato la perdita del controllo azero sulla regione, e la sua conseguente autoproclamazione a Repubblica Autonoma, non riconosciuta. Baku sempre ha rivendicato la proprietà del territorio, ed accusato gli armeni di aggressione ed occupazione. In risposta, Jerevan ha evidenziato come gli autoctoni siano etnicamente armeni.

A rialzare la tensione tra i due Paesi, lo scorso agosto, il prolungamento dello stazionamento dei militari russi in Armenia, fino al 2044. Baku ha risposto con forte preoccupazione dinnazni al rafforzamento militare del vicino e, sopratutto, alla presenza dei soldati di Mosca nell'area. Tuttavia, sono in molti, tra politologi ed esperti, a sottolineare come la mossa di Medvedev non sia in funzione anti-azera, bensì, un avvertimento alla Turchia, per scongiurarne ogni possibile futuro intervento nell'area, considerata appannaggio del Cremlino.

Calda la temperatura anche nel vicino Kyrgystan. Qui, la scorsa primavera, un colpo di Stato ha deposto la guida della rivoluzione dei tulipani, Kurmanbek Bakijev, ed instaurato sulla poltrona presidenziale Roza Otumbaeva, gradita a Mosca. Tuttavia, le violenze nel Paese, che in aprile hanno comportato la morte di 75 persone, tra cui il ministro dell'interno Moldomusa Kongatijev, non sono terminate. Sostenitori di Bakiev, riparato prima in Kazakhstan, poi in Bielorussia, si sono radunati nella città meridionale di Osh, al confine con l'Uzbekistan. Con cui, a causa dei numerosi profughi, si è aperta una crisi, risolta dall'intervento della Otumbajeva - nel frattempo confermata presidente e capo del governo ad interim fino al 2012 - che ha invocato l'aiuto dei russi.

Pronta la mobilitazione dell'Europa, che ha offerto alle nuove autorità di Bishek un contingente non armato di cinquanta uomini per sorvegliare la zona di confine con Tashkent. Nulla da fare, il Kyrgystan vuole solo i russi. Come dichiarato dal portavoce dell'amministrazione presidenziale, Ablanbek Dzhumabajev, nessun accordo sarà firmato fino a quando non si avranno cetezze sulla tutela degli interessi nazionali kyrgysi. Inoltre, da giorni, crescenti sono le proteste contro i piani di intervento del Vecchio Continente, malgrado esso sia teso al mantenimento della pace.

Infine, l'ennesimo capolavoro di equilibrismo diplomatico di Bruxelles: a provocare il conflitto russo-georgiano del 2008 è stata Tbilisi. Ma anche Mosca. La salomonica dichiarazione non è stata pronunciata da un ex candidato alla presidenza del consiglio italiano, ma dalla Commissione Europea. La quale, dopo due anni, ha chiuso lo studio della crisi che nell'agosto 2008. Allora, l'esercito del Cremlino violò la sovranità territoriale georgiana per strappare all'invisa ex-colonia - rea di ambire alla partnership NATO e di sognare l'ingresso nell'UE - le repubbliche separatiste di Abkhazija ed Ossezia Meridionale, infine dichiaratesi indipendenti, e, ad oggi, riconosciute solo da Federazione Russa, Venezuela, Nicaragua ed atollo di Nauru.

In un apposito documento, Bruxelles ha definito il conflitto come una naturale causa della complessa situazione etnico-politica della regione, instabile fin dai tempi della dissoluzione dell'Unione Sovietica, la cui struttura federale non è stata in grado di stabilizzare il Caucaso. La responsabilità della crisi del 2008 ricadrebbe sull'esercito georgiano, che, la notte tra il 7 e l'8 agosto, avrebbe sparato per primo: l'ultimo episodio di una escalation di reciproche provocazioni tra Mosca e Tbilisi.

La dichiarazione della Commissione Europea interessa un capitolo non ancora superato. Lecito ricordare che, lo scorso agosto, in concomitanza con il decimo anniversario della tragedia del sottomarino Kursk - in cui persero la vita 118 militari della marina russa - il Cremlino ha dispiegato propri missili in territorio abkhazo. Intercettori antiaerei C-300, che hanno provocato reazioni di protesta della sola Tbilisi. Nessuna reazione, invece, da chi la democrazia ed i Diritti Umani li dovrebbe tutelare ovunque nel mondo. Bruxelles era impegnata a discutere di nutella e lunghezza dei pesci pescabili. Il presidente USA, Obama, in vacanza, distratto da tornei di golf e pranzi a base di quei pochi gamberetti sfuggiti alla marea nera.

Matteo Cazzulani

mercoledì 1 settembre 2010

LIBERTA' DI ASSOCIAZIONE: ANCORA ARRESTI IN RUSSIA. L'UCRAINA ALLA DIFESA DELLA LIBERTA DI PAROLA. LA POLONA RICORDA SOLIDARNOSC


Chi lotta per ottenere la libertà, chi per difenderla, e chi, già possedendola, litiga anche quando non bisogna. Quanto accaduto in Russia, Ucraina e Polonia nella giornata di martedì, 31 agosto, ben certifica lo status politico dei tre Paesi, ciascuno per proprie motivazioni storico-culturali, ponte fra oriente ed occidente.

Come ogni 31 del mese, a Mosca ha avuto luogo la tradizionale manifestazione per il rispetto della libertà di associazione e riunione. Partiti, movimenti ed organizzazioni di ogni colore politico si sono riuniti in un meeting pacifico, silenzioso e nonviolento per rivendicare un diritto garantito dall'articolo 31 della Costituzione della Federazione Russa, ma non rispettato dalle autorità. Come da copione, ormai il medesimo da anni, la milicija è intervenuta con cariche e fermi.

Tra gli arrestati, come riportato dall'agenzia Interfax, il leader del partito SPS, Boris Nemcov, giunto al presidio in compagnia del presidente della commissione diritti umani dell'Europarlamento, Heidi Hautala. Il capo del soggetto liberal-conservatore al fresco non ci è rimasto da solo. A fargli compagnia, secondo quanto certificato dall'agenzia Ria Novosti e da Radio Ekho Moskvy, anche altri personaggi di spicco dell'opposizione russa: uno degli organizzatori della protesta, Kostjantin Kosjakin, il leader del movimento "Drugaja Rossija", Eduard Limonov, il rappresentante del movimento "Solidarnist'", Ilja Jashchin, ed il coordinatore della forza progressista "Levyj Front", Sergej Udal'cov. Quest ultimo, al sito di informazione Lenta.ru, ha spiegato che gli agenti lo hanno accusato a più riprese di avre incitato la folla a scandire slogan. Una colpa che in Russia è davvero grave, e di cui ci si deve vergognare. Questo spiega il perché lo stesso Udal'cov abbia continuamente negato la paternità del gesto.

Stando al medesimo organo di informazione, all'azione avebbero partecipato tra le 300 e 400 persone. 30 gli arrestati, come confermato anche dal sito di opposizione Kasparov.ru. Tradizionale anche il luogo della protesta: piazza Triumfal'naja, tra la stazione del metro verde Majakovs'kaja ed il monumento dedicato al poeta futurista georgiano di nascita. I lavori di ristrutturazione, iniziati solo quattro giorni or sono, non hanno impedito lo svolgersi della dimostrazione. Ed anche il massiccio dispiegamento di militari e poliziotti, come illustrato dalla leader della sede moscovita del gruppo di Helsinki, Ljudmila Alekseeva. "E' inaudito - ha dichiarato l'ottantaduenne attivista per i diritti umani - la presenza di cotanti soldati è sproporzionata alla portata dell'azione".

Ma non solo Mosca. Anche a San Pietroburgo, seconda città del Paese, stesso format. E medesimo epilogo. Qui, come riportato dall'agenzia Fontanka.ru, non sono bastati che dieci minuti di meeting silenzioso per scatenare l'intervento della polizia: 35 gli arrestati, dinnanzi al Gostynnyj Dvor, centro commerciale di alto rango, affollato di turisti, probabilente ignari sulle ragioni della protesta, e della repressione. Oltre che nelle capitali politica e culturale della Russia, proteste anche in centri urbani minori. A Toms'k, in Siberia, le autorità locali hanno autorizzato il meeting. A Vladivostok, nell'estremo est, la protesta si è svolta sotto forma di riunione, senza obbligo di permesso da parte del sindaco. In ambo i casi, nessun arresto.

Amche altre città europee hanno solidarizzato con i democratici russi. Tra esse, per la prima volta, Milano, dove l'Associazione AnnaViva ha organizzato un presidio per sensibilizzare l'opinione pubblica del Belpaese sulla questione e, come riportato in una nota dell'organizzazione meneghina, nata in ricordo della giornalista russa Anna Politkovskaja, per non far sentire soli i manifestanti russi. Simili iniative hanno avuto luogo anche a Londra, Berlino, Varsavia e Kyiv.

Proprio in Ucraina, il 31 agosto si è verificato l'ennesimo capitolo della pacifica battaglia per il mantenimento della libertà di parola, definitivamente ottenuta a seguito della rivoluzione arancione del 2004-2005. Il giorno precedente, il Tribunale Amministrativo di Kyiv - una sorta di TAR del Lazio ucraino - ha confiscato frequenze a due canali televisivi indipendenti, TVI e 5 Kanal. Prima ancora, lo scorso 8 giugno, il Tribunale Ordinario della Capitale aveva riassegnato tali diritti di trasmissione al canale Inter, di proprietà dell'oligarca Valerij Khoroshovs'kyj, uno dei principali sponsor del Partija Rehioniv, nominato da Janukovych a capo dei servizi segreti ucraini. A seguito di immediate proteste, il Cosiglio Nazionale per le Telecominicazioni ha indetto un nuovo concorso per redistribuire le frequenze.

Esemplare la risposta del 5. Kanal. Il quale, malgrado l'ingiustizia subita, con una nota del direttore, Ivan Adamchuk, si è detto pronto a partecipare al nuovo concorso, sicuro di riottenere quanto ingiustamente confiscatogli. Simile la risposta di TVI, il cui direttore, Mykola Knjazhyc'kyj, ha promesso la continuazione dell'iter processuale in cassazione.

Da chi si batte per il manenimento della libertà, a chi ricorda il suo ottenimento, in maniera talmente solenne da politicizzarne la ricorrenza. In Polonia, nelle città portuali di Danzica, Stettino e Gdynia, sono in corso le celebrazioni del trentesimo anniversario della fondazione di Solidarnosc, il sindacato di massa libero, protagonista dell'abbattimento del comunismo nel Paese di Kochanowski e Mickiewicz. Un'occasione di festa, ricordo, ma anche riflessione. Come sottolineato dall'attuale leader di Solidarnosc, Janusz Sniadek, delle riforme per cui si è combattuto dagli anni ottanta ad oggi sono state realizzate solo quelle di caratere politico, ma nulla è stato fatto nel campo economico e sociale. I lavoratori polacchi, sopratutto i giovani, sono sempre meno tutelati, e sempre più insicuri. Inoltre, gli stessi cantieri navali, dove il movimento ebbe inizio, versano in condizioni disperate.

Tuttavia, sempre il 31 agosto, quarto giorno della ricorrenza, anziché proposte per migliorare la situazione, sono emerse le divisioni politiche tra i vecchi dirigenti, causa di reazioni plateali, degne di uno stadio piuttosto che di una sala conferenze. Applausi ed ovazioni al momento dell'ingresso del leader dell'opposizione, Jaroslav Kaczynski. Una bordata di fischi quando a prendere la parola è stato il primo ministro, Donald Tusk. Del resto, le simpatie politiche dei membri di Solidarnosc sono note da tempo: chi rappresenta meglio gli interessi e le speranze del glorioso movimento operaio è il partito conservatore "Diritto e Giustizia", piuttosto che quello liberale "Piattaforma Civica", a cui appartengono il premier ed il neoeletto presidente, Bronislaw Komorowski.

Una linea non condivisa dallo storico leader del movimento, Lech Walesa, per questo assente alle celebrazioni, e, da tempo, critico con la direzione di Solidarnosc. Il primo presidente della Polonia libera ha inviato una nota, in cui ha sottolineato l'importanza del sindacato, anche al giorno d'oggi, per la Polonia, l'Europa ed il Mondo. Nel contempo, si è rivolto al Capo dello Stato, chiedendo il suo intevento per garantire il mantenimento della neutralità partitica del sindacato.

"Mi appello - ha dichiarato - al Presidente della Repubblica, affinché venti anni di tradizione non siano appannaggio di una sola forza politica. La solidarietà [solidarnosc in polacco, n.d.a.] è un valore comune, necessario, anche oggi, per battere difficoltà di ogni ambito".

Matteo Cazzulani