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giovedì 2 settembre 2010

CONTINUA LA CALDA ESTATE ENERGETICA, E NON SOLO, DEL MONDO EX-SOVIETICO

Varsavia segue Tallin e Vilna per l'indipendenza energetica da Mosca, che accellera la fusione dei monopolisti del gas con Kyiv, ottenendone i gasdotti. Crisi diplomatica tra il Cremlino e Minsk, spari tra Baku e Jerevan. Bishek rifiuta l'aiuto europeo.

Passa l'estate, ma la temperatura politica resta caldissima. Tra gas, energia, crisi diplomatiche e militari, il mondo ex-sovietico sta vivendo un periodo di discreta instabilità, e di considerevole trasformazione.

In primis, la politica energetica, con la notizia secondo la quale anche la Polonia seguirebbe l'esempio dei Paesi Baltici per tutelare i propri gasdotti dalle mire russe. Come riportato dal quotidiano russo Kommersant'', e confermato dall'agenzia di stampa Gazeta.ru, Varsavia intenderebbe strappare a Gazprom - il monopolista russo del gas - il possesso del tratto polacco del gasdotto Jamal-Europa, per affidarlo alla compagnia Gaz-System, controllata dallo Stato.

A garantire la manovra, il Terzo Pacchetto Energetico UE, secondo cui ogni infrastruttura energetica deve essere disponibile all'ingresso di soggetti terzi, e non permanere nelle mani di uno o due soli partner. Nello specifico, esso riserva ai Paesi dell'Unione la possibilità di rilevare i propri gasdotti secondo tre modalità: nazionalizzazione, creazione di un nuovo operatore a maggioranza statale, varo di un'azione economica straordinaria, finalizzata all'acquisto del 50% più uno delle azioni del colosso statale.

Tale regola, ribadita alla stampa dal rappresentante della Commissione Europea, Jozef Ennon, già è stata sfruttata da Estonia e Lituania. Le quali, lo scorso luglio, hanno dato il via libera allo scorporo delle compagnie nazionali, Eesti Gaas e Lietuvos dujos, proprietarie dei gasdotti locali, entrambe possedute a maggioranza dal monopolista russo.

Continua il processo di unificazione tra Gazprom ed il colosso ucraino Naftohaz, iniziato da quando, la scorsa primavera, il primo ministro russo, Vladimir Putin, ha proposto al suo collega ucraino, Mykola Azarov, la fusione dei due monopolisti nazionali. In un'intervista televisiva, il ministro dell'energia ucraino, Jurij Bojko, ha spiegato che, in cambio del possesso dei siti di estrazione del Mar Nero e del proprio sistema infrastrutturale energetico, Mosca è pronta a rinunciare a propri giacimenti dalla capacità di 30 metri cubi di gas annui. Una quantità cospicua, su cui, tuttavia, permangono seri dubbi.

Difatti, l'edizione ucraina del Kommersant'' ha riportato la notizia secondo cui lavori di estrazione dal sito in questione - ancora segreto - non sarebbero mai stati effettuati, e la presenza di cotanto oro blu sarebbe tutto fuorché sicura. In realtà, Gazprom si limiterebbe a concedere un semplice permesso di sfruttamento. Con la speranza, a costi altriu, di individuare un nuovo serbatoio di gas, di cui avvalersi per soddisfare la crescente domanda di un'Europa sempre più assetata.

Sempre riguardo alla Russia, Mosca è stata protagonista di una crisi diplomatica con la Bielorussia. De facto, si tratta di una scaramuccia. La quale, tuttavia, se contestualizzata in un periodo di continui sgarbi tra Minsk ed il Cremlino, ben dipinge la tensione tra le due cancellerie, un tempo solide alleate. Lo scorso 30 agosto, ignoti hanno gettato borse contenenti materiale infiammabile all'interno del territorio ell'ambasciata della Federazione Russa. Felicemente, nessuna vittima, solo un'automobile di servizio danneggiata. Il Cremlino ha chiesto spiegazioni, ed il presidente bielorusso Aljaksandr Lukashenka non ha lesinato la polemica, accusando Mosca di sfruttare l'incidente a proprio vantaggio per disceditare, dinnanzi all'opinione pubblica internazionale, le autorità bielorusse. Sul modello di quanto, da tempo, starebbero attuando i media russi nei suoi confronti.

Sullo sfondo dei dissapori tra i due Paesi, i recenti tentativi da parte di Minsk di allentare la dipendenza dal vicino russo, sopratutto in ambito politico ed energetico. Sempre lo scorso luglio, la Bielorussia ha iniziato una seria collaborazione con la Lituania per il trasporto di nafta e gas. Aprendo, a riguardo, anche all'Ucraina. Inoltre, Lukashenka si è assicurato forniture di gasolio dal Venezuela, grazie a patti stretti personalmente con Chavez, e, nel mese di agosto, ha implementato l'estrazione di nafta dai giacimenti iraniani.

Da una crisi diplomatica ad una militare, più ad est. Nella giornata di martedì, 31 agosto, è riesplosa la tensione nella regione del Nagorno-Karabakh, contesa tra Azerbajdzhan ed Armenia da oramai una ventina di anni. Una sparatoria, della cui responsabilità Baku e Jerevan si sono accusate a vicenda. In tutto, cinque i morti - per dovere di cronaca, due azeri e tre armeni - ed un ferito - azero.

Il conflitto del Nagorno-Karabakh è uno di quei capitoli del mondo ex-sovietico ancora, pericolosamente, aperto. Combattuta tra il 1987 ed il 1994, la guerra ha comportato la perdita del controllo azero sulla regione, e la sua conseguente autoproclamazione a Repubblica Autonoma, non riconosciuta. Baku sempre ha rivendicato la proprietà del territorio, ed accusato gli armeni di aggressione ed occupazione. In risposta, Jerevan ha evidenziato come gli autoctoni siano etnicamente armeni.

A rialzare la tensione tra i due Paesi, lo scorso agosto, il prolungamento dello stazionamento dei militari russi in Armenia, fino al 2044. Baku ha risposto con forte preoccupazione dinnazni al rafforzamento militare del vicino e, sopratutto, alla presenza dei soldati di Mosca nell'area. Tuttavia, sono in molti, tra politologi ed esperti, a sottolineare come la mossa di Medvedev non sia in funzione anti-azera, bensì, un avvertimento alla Turchia, per scongiurarne ogni possibile futuro intervento nell'area, considerata appannaggio del Cremlino.

Calda la temperatura anche nel vicino Kyrgystan. Qui, la scorsa primavera, un colpo di Stato ha deposto la guida della rivoluzione dei tulipani, Kurmanbek Bakijev, ed instaurato sulla poltrona presidenziale Roza Otumbaeva, gradita a Mosca. Tuttavia, le violenze nel Paese, che in aprile hanno comportato la morte di 75 persone, tra cui il ministro dell'interno Moldomusa Kongatijev, non sono terminate. Sostenitori di Bakiev, riparato prima in Kazakhstan, poi in Bielorussia, si sono radunati nella città meridionale di Osh, al confine con l'Uzbekistan. Con cui, a causa dei numerosi profughi, si è aperta una crisi, risolta dall'intervento della Otumbajeva - nel frattempo confermata presidente e capo del governo ad interim fino al 2012 - che ha invocato l'aiuto dei russi.

Pronta la mobilitazione dell'Europa, che ha offerto alle nuove autorità di Bishek un contingente non armato di cinquanta uomini per sorvegliare la zona di confine con Tashkent. Nulla da fare, il Kyrgystan vuole solo i russi. Come dichiarato dal portavoce dell'amministrazione presidenziale, Ablanbek Dzhumabajev, nessun accordo sarà firmato fino a quando non si avranno cetezze sulla tutela degli interessi nazionali kyrgysi. Inoltre, da giorni, crescenti sono le proteste contro i piani di intervento del Vecchio Continente, malgrado esso sia teso al mantenimento della pace.

Infine, l'ennesimo capolavoro di equilibrismo diplomatico di Bruxelles: a provocare il conflitto russo-georgiano del 2008 è stata Tbilisi. Ma anche Mosca. La salomonica dichiarazione non è stata pronunciata da un ex candidato alla presidenza del consiglio italiano, ma dalla Commissione Europea. La quale, dopo due anni, ha chiuso lo studio della crisi che nell'agosto 2008. Allora, l'esercito del Cremlino violò la sovranità territoriale georgiana per strappare all'invisa ex-colonia - rea di ambire alla partnership NATO e di sognare l'ingresso nell'UE - le repubbliche separatiste di Abkhazija ed Ossezia Meridionale, infine dichiaratesi indipendenti, e, ad oggi, riconosciute solo da Federazione Russa, Venezuela, Nicaragua ed atollo di Nauru.

In un apposito documento, Bruxelles ha definito il conflitto come una naturale causa della complessa situazione etnico-politica della regione, instabile fin dai tempi della dissoluzione dell'Unione Sovietica, la cui struttura federale non è stata in grado di stabilizzare il Caucaso. La responsabilità della crisi del 2008 ricadrebbe sull'esercito georgiano, che, la notte tra il 7 e l'8 agosto, avrebbe sparato per primo: l'ultimo episodio di una escalation di reciproche provocazioni tra Mosca e Tbilisi.

La dichiarazione della Commissione Europea interessa un capitolo non ancora superato. Lecito ricordare che, lo scorso agosto, in concomitanza con il decimo anniversario della tragedia del sottomarino Kursk - in cui persero la vita 118 militari della marina russa - il Cremlino ha dispiegato propri missili in territorio abkhazo. Intercettori antiaerei C-300, che hanno provocato reazioni di protesta della sola Tbilisi. Nessuna reazione, invece, da chi la democrazia ed i Diritti Umani li dovrebbe tutelare ovunque nel mondo. Bruxelles era impegnata a discutere di nutella e lunghezza dei pesci pescabili. Il presidente USA, Obama, in vacanza, distratto da tornei di golf e pranzi a base di quei pochi gamberetti sfuggiti alla marea nera.

Matteo Cazzulani

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