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giovedì 15 ottobre 2009

ANCHE LA POLONIA FIRMA LISBONA

Varsavia è il penultimo paese europeo a ratificare il trattato di Lisbona dopo innumerevoli ostacoli. Da ultimo, la penna stilografica del Presidente.

KRAKÓW – Sabato 10ottobre 2009 passera alla storia come il giorno in cui le ultime resistenze polacche all’UE sono state superate. Difatti, il presidente Lech Kaczyński ha firmato il trattato di Lisbona dopo la vittoria del “sì” al referendum irlandese, mantenendo la promessa fatta al Presidente dell’Europarlamento Jerzy Buzek.

La cerimonia, solenne e ufficiale, è avvenuta in diretta tv nella tarda mattinata. Oltre a Kaczyński, tra i partecipanti hanno figurato il premier Donald Tusk, il già citato Jerzy Buzek, il capo della Commissione Europea Barroso ed il premier svedese Fredrik Reinfeldt, presidente di turno dell’UE.

“La questione riguarda il futuro dei cittadini polacchi. E la Polonia è uno stato sovrano, per cui devono essere i polacchi e non gli irlandesi a decidere”. Così ha esordito il presidente padrone di casa nel suo discorso antecedente la sigla del trattato. Quasi a voler chiarire che la decisione di ratificare Lisbona non è legata al si del referendum irlandese, ma dipende da una sua precisa volontà.
Difatti, ha continuato spiegando che per entrare in vita il trattato necessita del consenso di tutti i Paesi UE, dunque senza l’adesione di Dublino la sua firma sarebbe risultata inutile. Per questa ragione, Kaczyński avrebbe aspettato l’esito del referendum irlandese per porre la sua firma “in difesa del principio dell’unanimità”.

Quello di sabato pareva totalmente un’altra persona rispetto al Kaczyński di solo un anno fa, quando a più riprese dichiarava come il trattato di Lisbona [e con esso il futuro dell’UE, n.d.a.] fosse “definitivamente morto”. Ma fatto sta che la firma è stata posta, e finalmente la Polonia ha ratificato il trattato di Lisbona, concordemente – è bene ricordarlo – con la maggioranza dell’opinione pubblica e delle forze politiche presenti in parlamento (la maggioranza del liberale Tusk è caratterizzata da una vocazione fortemente europeista).

Sempre nel corso del suo intervento ufficiale, Kaczyński ha evidenziato come il trattato in questione sia “vantaggioso per la Polonia”, poiché al momento della sua negoziazione nel 2007, 13 dei 14 postulati presentati da Varsavia sono stati accolti, tra cui il prolungamento fino al 2017 del conteggio dei voti secondo i parametri di Nizza che consentono alla Polonia una cospicua rappresentanza in seno all’Europarlamento. Per questa ragione, ha tessuto le lodi dell’ex ministro degli esteri Anna Fotyga – appartenente al suo stesso partito di estrema destra “Legge e Giustizia”, al governo dal 2005 al 2007 – per il lavoro svolto in quella occasione.
Parole di elogio sono state rivolte anche a Tadeusz Mazowiecki, capo del primo governo della Polonia post-comunista, grazie al cui ruolo “la caduta del Muro di Berlino ha potuto tradursi in realtà”.

A ragione, il presidente ha spiegato come a suo modo di vedere”questo grande esperimento umano debba mantenere il suo principio di apertura verso nuovi membri, Georgia ed Ucraina in primis”.

In ultima istanza, l’affermazione secondo cui l’Unione Europea deve restare “un’unione di Stati nazionali che mantengono la propria sovranità”. Un auspicio poco europeista ma digeribile vista la posta in palio. Il continente intero ha atteso questa firma per 557 lunghissimi giorni. E, da vero copione picaresco, in ultimo è stata fiaccata anche l’ultima resistenza: la penna di Kaczyński, inceppatasi e prontamente sostituita.
A corredo del solenne atto, gli interventi delle altre personalità presenti. Il premier polacco Donald Tusk non ha risparmiato alcune frecciate al presidente, affermando di essere “sorpreso per il ritardo di circa un anno con cui Kaczyński si è convinto a firmare il trattato”. “Una ratifica – ha continuato il capo del governo polacco – che non è frutto di becero calcolo politica, ma dimostra come la Polonia ha smesso di essere un membro novello dell’UE ed è consapevole delle proprie responsabilità all’interno dell’Unione”.

Il presidente del Parlamento Europeo Jerzy Buzek – ex-premier polacco dal 1997 al 2001 – ha evidenziato l’importanza della firma in quanto “consente ai governanti del continente di possedere maggiori strumenti per migliorare la qualità della vita dei cittadini europei”. Per questo, è convinto che “anche i più strenui oppositori [come Lech Kaczynski, n.d.a.] presto o tardi si renderanno conto dell’estrema importanza di un’Europa davvero forte e politicamente integrata al suo interno”.

Il premier svedese Reinfeldt ha illustrato invece come ora manchi solo la firma di Praga per l’entrata in vigore del trattato. Il presidente ceco Václav Klaus ha affermato che il suo no è legato all’assenza di rassicurazioni che prevengano eventuali pretese tedesche sui Sudeti, territori appartenenti alla Repubblica Ceca. Una preoccupazione che sembra essere solo sua, dal momento in cui la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica del suo Paese è strenuamente favorevole alla firma del Trattato.

Kaczyński e Klaus rappresentano due facce del medesimo fenomeno: un nazionalismo becero che pur essendo minoritario nei propri paesi detiene le leve del potere. Felicemente, in Polonia si è riusciti a superare tale fastidiosa situazione che gettava discredito su un popolo che in realtà vive l’Europa da molti più secoli di quanto comunemente si pensi nel resto dell’occidente e che con convinzione considera l’UE come la propria casa politica.

Tale sentire è presente anche in Repubblica Ceca. Sta sopratutto a noi europei degli Stati che già hanno ratificato Lisbona aiutare i nostri fratelli cechi nel convincere il presidente Klaus che certi rigurgiti xenofobi non appartengono né al dna dell’UE né rendono onore alla gloriosa tradizione della sua patria, che al vecchio continente ha fornito nella storia indimenticabili pagine di letteratura, grandi uomini e persino qualche Sacro Romano Imperatore. Praga appartiene all’Europa. E l’Europa non può fare a meno di lei.

Matteo Cazzulani

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