Attenzione / Attention / Uwaga / Увага

E' USCITO IL MIO LIBRO "LA DEMOCRAZIA ARANCIONE. STORIA DELL'UCRAINA DALL'INDIPENDENZA ALLE PRESIDENZIALI 2010", LIBRIBIANCHI EDITORE. Parte dei proventi finanzia l'Associazione AnnaViva.

domenica 27 settembre 2009

Saluto all'Italia

Care Amiche Lettrici, Cari Amici Lettori,

Con questa breve comunicazione intendo salutare ufficialmente tutti Voi che con costanza ed interesse seguite il mio blog.

Non si tratta di un saluto di congedo per cessata attivita. Anzi. Semplicemente, i prossimi articoli da me composti saranno redatti non piu dall'Italia, bensi dalla Polonia. Un Paese che amo, nel quale ho deciso di trascorrere un soggiorno di qualche mese. Sara per me non soltanto l'occasione per migliorare la mia capacita linguistica nella lingua di Milosz e Walesa, ma anche un'opportunita per seguire piu da vicino alcune delle questioni su cui scrivo. In primis, la crisi del gas - che si preannuncia particolarmente aspra anche per questo inverno - e le elezioni ucraine, programmate per la meta gennaio.

Relazionarvi direttamente dai luoghi interessati credo sara fattore di Vostro apprezzamento e gradimento, nonche una possibilita per fruire di notizie elaborate fisicamente - e non solo virtualmente - sul posto.

RingraziandoVi per la costanza e la pazienza con cui mi seguite, Vi saluto caramente.

A risentirci dalla Nuova Europa.


Matteo Cazzulani
Presidente Associazione ANNAVIVA
+393493620416
www.annaviva.com

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lunedì 21 settembre 2009

MOSCA SFIDA LA NATO ANCHE IN BIELORUSSIA

Circa 15 mila soldati – di cui 3 milioni appartenenti all’esercito della Federazione Russa – stanno compiendo imponenti operazioni di addestramento militare in funzione anti-occidentale. Nonostante la recente decisione USA di rinunciare allo scudo spaziale in Repubblica Ceca e Polonia e le ultime aperture NATO sulla possibile creazione di un sistema di difesa integrato Washington-Bruxelles-Mosca.

Si tratta dell’operazione Zapad 2009 (Occidente 2009), denominazione militare che rende bene l’idea di quale sia il suo vero obiettivo principale: la prevenzione di attacchi da ovest. Difatti, lo scopo ufficiale è quello di garantire la sicurezza dell’alleanza tra Bielorussia e Russia, stipulata oramai da diversi anni e rinsaldata da periodiche sessioni di addestramento comune, sempre e rigorosamente svoltesi in territorio bielorusso. Le manovre attualmente in corso dureranno fino al 29 settembre, giorno in cui le truppe saranno passate in rassegna dai presidenti Dmitrij Medvedev e Alaksandar Lukašenka.

A detta degli esperti, l’operazione in corso sarebbe la più imponente mai accaduta nella storia. Oltre all’ingente quantità di soldati, nell’addestramento sono coinvolti anche 63 aerei militari, 43 elicotteri, 470 mezzi blindati, 228 carri armati e artiglieria varia.

Fatto curioso è che negli ultimi tempi la partecipazione di militari della Federazione Russa è aumentata sempre più, scatenando vivacissime proteste delle opposizioni (l’ultima lo scorso martedì 8 settembre) e, come da copione a Minsk, violente repressioni da parte della milicja con il conseguente arresto di dimostranti particolarmente invisi al regime. “Ci inquieta la presenza di una così alta quantità di militari russi ed il rafforzamento della collaborazione militare con la Russia. Tutto ciò è dannoso per la Bielorussia” ha affermato il nuovo vicesegretario del Fronte Popolare Bielorusso (BNF) Igar Lalkou al quotidiano polacco Gazeta Wyborcza.

Significativo è il parere di Alaksandar Alesin, esperto di tattiche militari bielorusse. “Non c’è nulla da nascondere, ad essere esercitata è la difesa dell’alleanza russo-bielorussa in vista di possibili conflitti con la NATO. Eppure non ha alcun senso compiere tali esercitazioni impiegando artiglieria e aviazione militare”. Infatti, Alesin sottolinea come Mosca abbia deciso di intensificare le manovre militari in un periodo di grave crisi economica mondiale per dimostrare al pianeta di possedere un esercito ancora potente e pericoloso. E Minsk, accettando l’aumento del contingente russo nelle operazioni sul suo suolo, a sua volta dimostrerebbe al vicino sincera lealtà nonostante alcuni, timidi cambiamenti della propria politica estera in apertura all’Occidente.

Se sommate alla presenza dei missili iskander nell’enclave di Kaliningrad, tali esercitazioni dimostrano la reale volontà da parte del Cremlino di collaborare con un Occidente visto come nemico per consolidare il proprio consenso interno. Il tutto, nonostante il nuovo corso della politica estera di Barack Obama, che in nome di un reset con Mosca tanto ostinato quanto pericoloso ha compromesso la situazione di alcuni dei suoi alleati più stretti.

Sebbene a riguardo fosse stato firmato un accordo poco più di una anno fa, giovedì 17 settembre 2009 – a settanta anni esatti dall’invasione sovietica della Polonia – l’ex senatore dell’Illinois ha comunicato ufficialmente la rinuncia allo scudo spaziale in Europa Centrale, la cui realizzazione prevedeva l’installazione di una postazione radar in Repubblica Ceca e di una batteria di intercettori patriot – tecnicamente utilizzabili solo per scopi difensivi – in Polonia entro il 2012. Sebbene ufficialmente approntato contro possibili minacce iraniane, tale progetto è stato accettato dai due Paesi UE per migliorare le proprie strutture militari in difesa dalla rinata autocrazia russa, soprattutto in seguito alla guerra russo-georgiana, con la quale il Cremlino de facto ha infranto la sovranità territoriale di uno Stato sovrano ed indipendente. Ribadendo la connotazione anti-iraniana del progetto, Obama ha invalidato gli accordi con Praga e Varsavia ed ha promosso un nuovo sistema di difesa con postazioni missilistiche e radar dislocate su unità mobili terrestri e marittime entro il 2015.

Inoltre, nella giornata di venerdì 18 settembre il segretario generale della NATO Fogh Rasmussen ha ipotizzato la creazione di una difesa comune tra USA, Europa e Russia per prevenire le minacce provenienti da Iran e Corea del Nord. Un passo significativo per coinvolgere maggiormente Mosca nelle strutture militari occidentali, descritto dai media russi come una vittoria del Cremlino su un Occidente sempre più debole.

Tuttavia, le già citate esercitazioni russo-bielorusse, condotte espressamente in funzione anti-occidentale, e la presenza degli iskander tra la Polonia e la Lituania puntati verso ovest rendono più complicato concepire come Mosca possa accettare le ultime aperture atlantiche e partecipare ad un progetto di difesa comune con Washington e Bruxelles.
E getta seri dubbi sulla reale incisività della politica estera di Obama, che con il suo soft-profile nel concreto ha ottenuto finora il solo risultato di deludere gli alleati della Nuova Europa – storicamente al fianco di Washington anche nelle situazioni più critiche come la guerra in Irak. Ovviamente, senza tuttavia riuscire ad arrestare né le repressioni iraniane alle sempre più frequenti manifestazioni democratiche, né le rinate velleità imperiali di una Russia che mira all’egemonia sui paesi dell’ex-blocco sovietico, che tiene in scacco l’Europa per mezzo del gas e che sullo scenario politico interno calpesta i diritti umani, le opposizioni democratiche e la stampa libera.
Matteo Cazzulani

giovedì 17 settembre 2009

ORA E’ UFFICIALE. OBAMA RINUNCIA ALLO SCUDO IN EUROPA CENTRALE

Per mezzo di una conferenza stampa convocata ad hoc alle 16 (ora europea) del 17 settembre 2009, il presidente USA Barack Obama ha comunicato la definitiva rinuncia di Washington al sistema di difesa antimissilistico in Europa Centrale.

La motivazione della rinuncia è legata al fatto che il progetto dello scudo spaziale così come finora concepito non sarebbe abbastanza “elastico nei confronti di potenziali minacce da parte dell’Iran”. In realtà, pare proprio che la nuova amministrazione USA voglia evitare ogni possibile attrito con Mosca, dove la democratura del Cremlino ha cementato un ampio consenso interno rinvigorendo l’idea di una “Grande Russia” che deve rimpossessarsi del suo “estero vicino”, ovvero di tutti i Paesi una volta parte dell’impero sovietico, e, in secondo luogo, ristabilire la propria egemonia sull’ex areale dell’ex Patto di Varsavia. In Paesi – è bene ricordarlo – oggi finalmente liberi membri dell’Unione Europea.

Secondo la nuova strategia americana, il nuovo scudo antimissilistico “sarà più forte, intelligente e veloce”. Obama ha aggiunto di aver parlato con i primi ministri di Repubblica Ceca e Polonia, a cui avrebbe “confermato i forti legami con i loro Paesi. Ho detto loro che il nuovo programma migliorerà non soltanto la sicurezza USA, ma anche dei nostri alleati della NATO”.

Nel passaggio successivo, l’inquilino della Casa Bianca ha illustrato la maniera con la quale tale decisione sarebbe maturata.“Dopo essermi consultato con lo stato maggiore dell’esercito americano ho deciso di varare un sistema di difesa missilistica differente rispetto a quello programmato dall’amministrazione Bush”. Obama ha chiarito poi che la differenza consisterà nell’adozione di missili a corto raggio, e non più a lungo come i patriot promessi a Varsavia. Per questa ragione – nonostante sia stato firmato un accordo tra le parti già nell’agosto 2008 – in Polonia non sarà dispiegata alcuna batteria, ed in Repubblica Ceca l’installazione di una postazione radar non avrà più alcun senso.

“Continueremo la collaborazione con Polonia e Repubblica Ceca nella creazione del nuovo sistema al fine di rafforzare le nostre capacità difensive comuni. Ma collaboreremo anche con gli altri Paesi NATO e con la Russia” ha aggiunto l’ex senatore dell’Illinois.

In chiusura, il segretario alla Difesa Robert Gates ha parlato della possibilità di dispiegare nuovi sensori ed intercettori in zone dell’Europa meridionale e settentrionale non prima del 2015.

Nella notte, Obama ha informato della decisione il primo ministro ceco Jan Fischer. Una delegazione della Casa Bianca – capitanata dal sottosegretario alla difesa Michele Flournoy – ha incontrato nella mattinata il Ministero degli Esteri polacco Radosław Sikorski, a cui è seguita una conversazione telefonica tra il Primo Ministro Donald Tusk e lo stesso presidente USA.

Lo stesso Tusk ha dichiarato che la decisione di Washington è stata “autonoma”, aggiungendo che la nuova strategia non muta il rapporto tra Varsavia e Washington, improntato sulla “reciproca amicizia e collaborazione non soltanto in campo militare”. Al contrario, potrebbe “consentire un ulteriore miglioramento delle relazioni bilaterali”.

Tuttavia, resta il fatto che ad oggi il nuovo corso della politica estera di Obama lascia Praga e Varsavia ancora più sole di quanto prima già non lo fossero. Senza più l’appoggio USA e con un’Europa noncurante delle ragioni dei suoi membri centro-orientali, reagire a possibili minacce provenienti da Mosca – che mantiene i suoi missili Iskander nell’enclave di Kaliningrad e che tiene in scacco il Vecchio Continente per mezzo del gas – per Repubblica Ceca e Polonia sarà maggiormente complicato.
Matteo Cazzulani

mercoledì 16 settembre 2009

PERCHE ADERISCO ALLA MANIFESTAZIONE PER LA LIBERTA DI STAMPA DI SABATO 19 NOVEMBRE A ROMA

Appresa la notizia dell’organizzazione di un’imponente manifestazione per la libertà di stampa, assieme all’Associazione AnnaViva, che ho l’onore di presiedere, non ho esitato ad aderire anche a titolo personale. Del resto, una simile posizione già è stata assunta l’estate scorsa, quando si è deciso di supportare e pubblicizzare l’appello per la libertà di stampa nel mondo firmato e promosso da Nando Dalla Chiesa (sempre sottoscrivibile sul mio blog http://matteocazzulani.blogspot.com).

Nell’ambito di AnnaViva – che per mia grande passione ricopre l’intero mio tempo libero (e anche qualcosa di più) – mi batto nel quotidiano non solo per lo sviluppo della democrazia e per la tutela dei diritti umani nel mondo ex-sovietico, ma anche per la difesa della libertà di stampa: un diritto che a Mosca ed in altre realtà dell’ex Unione Sovietica è ben lontano dall’essere riconosciuto. Lo dimostrano le continue violenze e vessazioni a cui sono soggetti i giornalisti indipendenti non allineati col pensiero del regime; ne è esempio forse più noto l’assassinio di Anna Politkovskaja, donna dal grande coraggio – a cui AnnaViva deve il proprio nome – uccisa nella Russia di Putin, “colpevole” di documentare con straordinaria determinazione le ripetute violazioni dei diritti umani da parte dell’esercito federale russo in Cecenia e nel resto del Caucaso.

Pur non rientrando nell’area di mio interesse, anche il Paese che mi ha dato i natali un poco mi sta a cuore. E, coerentemente con la mia impronta politica liberaldemocratica, non vorrei mai che un domani gli italiani vivessero in uno Stato in cui il pensiero del singolo, quale che sia il suo orientamento politico-culturale, fosse censurato qualora non coincidesse con quello delle autorità.
Sia chiaro, la situazione italiana è ben più rosea rispetto a quella che posso quotidianamente constatare in Russia e nell’area ex-URSS. E sono fiero di condurre un’associazione che sulla scena politica nazionale è fermamente – e fieramente – neutrale, non riconoscendosi in nessun partito né movimento alcuno.
Tuttavia, ritengo la libertà di stampa un preziosissimo valore che non ha confini e che deve essere tutelato ovunque nel mondo, a Mosca come a Roma: la differenza che intercorre tra le querele, le carte bollate ed i palinsesti televisivi stravolti all’ultimo momento nostrani e le violenze in salsa russa sono puramente di forma, ma non di sostanza.

Per questo, sabato 19 settembre 2009 anche io prenderò parte con i colleghi di AnnaViva alla manifestazione per la libertà di stampa, al fianco degli amici di Articolo 21 e degli altri organizzatori. Per manifestare non contro qualcuno, ma in favore di un diritto basilare e fondamentale per ogni Paese libero e democratico.
Matteo Cazzulani

lunedì 14 settembre 2009

L’OPPOSIZIONE BIELORUSSIA SCEGLIE UN NUOVO LEADER

Il giovane Alaksej Janukevič è stato eletto alla guida del Fronte Popolare Bielorusso (BNF). Una scelta che muta l’orientamento politico delle opposizioni e rafforza la candidatura di Alaksandar Milinkević alle prossime elezioni presidenziali.

Malgrado le continue repressioni a cui è sottoposta – non ultima quella attuata dalla milicija lo scorso 8 settembre in piazza Kastryčniskaja ai danni dei manifestanti filo europei contrari alla presenza dell’esercito russo a Minsk – l’opposizione bielorussa rilancia la sfida al dittatore comunista. Lo dimostra il Fronte Popolare Bielorusso (Belaruski Narodny Front), principale partito della coalizione democratica che in occasione del suo dodicesimo congresso (svoltosi lo scorso sabato 5 settembre) ha eletto suo nuovo leader il giovane 33enne Alaksej Janukevič, preferito all’esponente della “vecchia guardia” del partito Lavon Barščeuski.

Il Fronte Popolare Bielorusso possiede un programma articolato basato su principi liberali e filo occidentali: adesione a NATO e UE; creazione di un’economia di mercato (Minsk è l’unico paese europeo ad essere retto da un’economia ancora pianificata dallo Stato); sviluppo di una vera e propria democrazia, ove libertà di stampa, di opinione e di associazione siano finalmente garantite. Fondato nel 1990, il BNF ha supportato la candidatura di Alaksandar Milinkević alle elezioni del 2006, falsate dal regime di Lukašenka. Nonostante molti tra i suoi esponenti di spicco siano ancora detenuti nelle carceri del Paese per ragioni politiche, la recente, lieve attenuazione della morsa del regime – ottenuta solo grazie alle pressioni occidentali – ha consentito al Fronte Popolare di presentare proprie liste alle ultime elezioni locali, riuscendo ad ottenere qualche seggio in alcuni consigli cittadini. Nel dicembre 2007, alla sua guida è stato eletto Barščeuski, cui mandato è terminato lo scorso agosto.

La questione principale sulla quale i due candidati si sono confrontati riguarda le alleanze ed il ruolo che il BNF deve esercitare nell’ambito dell’Unione delle Forze Democratiche, la vastissima coalizione che comprende tutte le forze politiche avverse a Lukašenka, dal movimento “Per la Libertà” (Za svabodu) di Alaksandar Milinkević a quelle di ispirazione comunista e filorusse come il Partito dei Comunisti di Bielorussia (PKB, da non confondere con il Partito Comunista di Bielorussia del dittatore) ed il Partito Civico Unito (Ab’jadnaja Gramadzanskaja Partyja). Barščeuski sosteneva una maggiore presenza del BNF all’interno della coalizione. Invece, il neoeletto leader ha presentato una mozione improntata per intero sul rafforzamento dell’indipendenza del partito e sulla ristrutturazione dell’alleanza, che “deve diventare una coalizione patriottica composta unicamente da forze popolari e democratiche, senza la presenza di raggruppamenti filo russi e comunisti”, come da lui stesso dichiarato al termine delle votazioni. Dopo un dibattito lungo e partecipato, Janukevič ha avuto la meglio con 174 voti favorevoli su 318.

Tuttavia, diversi esperti di politica bielorussa non esitano ad indicare Alaksander Milinkević come il vero vincitore del congresso. Non solo a causa della medesima visione politica scettica nei confronti degli alleati comunisti e filorussi, ma anche perché Janukevič sarebbe ancora troppo giovane per la candidatura alle presidenziali del 2011. Come dichiarato dal politologo Valery Karbalevič al quotidiano polacco Gazeta Wyborcza, “il BNF con tutta probabilità sosterrà [nuovamente, n.d.a.] Milinkević, indicandolo come il candidato più forte delle opposizioni”. De facto, la scelta di Janukevič rafforzerebbe le divisioni interne all’opposizione e comprometterebbe la possibilità di scegliere un unico candidato alla presidenza condiviso da tutti gli oppositori al dittatore Lukašenka.

A prescindere dalle opinioni politiche di ciascuno, la dinamicità interna alle forze democratiche e liberali in Bielorussia non può che essere analizzata positivamente, in quanto certifica un alto stato di salute e forza delle opposizioni, per nulla fiaccate dalle ripetute campagne di diffamazione e repressione perpetrate dal regime comunista. Nel contempo, la frequente scelta di nuovi leader da parte di questi movimenti testimonia la loro impossibilità di intraprendere progetti politici a lungo termine a causa dell’ancora opprimente presenza di una polizia politica che arresta sistematicamente gli oppositori più carismatici.
Pertanto, rappresenta un serio spunto di riflessione anche e sopratutto per noi occidentali, affinché d’ora in poi ci si responsabilizzi e si inizi a supportare con maggiore convinzione e determinazione la lotta nonviolenta per la democrazia e per il rispetto delle libertà civili in un Paese che per ragioni storiche e culturali appartiene più all’Europa che a Mosca.
Matteo Cazzulani

giovedì 10 settembre 2009

MINSK: ENNESIMA MANIFESTAZIONE REPRESSA DAL REGIME

Pesanti sono le notizie che rimbalzano da Minsk. Come riportato da radio free europe e dal sito di informazione Viasna, decine di manifestanti hanno protestato nella centralissima piazza kastrycniskaja contro la presenza in Bielorussia dell'esercito di Mosca per effettuare esercitazioni congiunte con quello di Minsk nell'ambito del progetto militare zapad 2009.

Nella giornata di martedì 8 settembre, festa della gloria militare bielorussa, i dimostranti - tutti appartenenti ai partiti di opposizione al regime di Lukashenka - si sono radunati fin dal primo mattino per esprimere la loro contrarietà alla presenza di militari stranieri - 6000. Candando lo slogan "russi a casa" e sventolando le bandiere bianco-rosse della Bielorussia libera, hanno presto subito le ripetute cariche della polizia di regime. Di inaudita violenza secondo svariati testimoni, rivolta persino contro donne ed anziani.

Trenta sono gli arrestati, quasi tutti appartenenti al movimento politico "Bielorussia Europea". Tra le vittime delle percosse anche diversi giornalisti, tra cui un reporter polacco di Tvp.

Continua la battaglia dei democratici bielorussi per la libertà e per l'emancipazione del loro paese dalla Russia di Putin. Sognano l'Europa, come dimostra il puntuale richiamo al vecchio continente durante le loro manifestazioni, sia con slogan che con bandiere. Eppure Bruxelles sembra guardare altrove, impaurito da possibili ricatti sul prezzo del gas dalla Russia di Putin, che considera Minsk uno dei tanti feudi da riconquistare.

Sentirsi europei oggi significa anche supportare la sacrosanta battaglia per la democrazia in Bielorussia. Ed io, seppur molto lontano, come i giovani manifestanti porto un braccialetto bianco-rosso (dono di uno di loro) con la scritta del loro motto: Za svabodu (per la libertà)!


Matteo Cazzulani

domenica 6 settembre 2009

MOSCA 2009, CRONACA (E PICCOLO VADEMECUM) DI UN TURISMO RESPONSABILE

E’ un fine settimana di tarda estate. Per molti, il week-end della partenza dalle vacanze. Per altri (perlopiù meneghini) la data del derby della Madonnina. Ma per l’associazione AnnaViva si tratta di una ricorrenza fondamentale: il 30 agosto è il compleanno di Anna Politkovskaja, la coraggiosa giornalista attorno alla cui memoria l’associazione è nata per difendere la libertà di stampa, diffondere la democrazia e tutelare i diritti umani nel mondo ex-sovietico. E’ il secondo dalla sua morte, da quando cinque colpi di pistola l’hanno zittita per sempre il 7 ottobre 2006, lo stesso giorno del compleanno dell’allora presidente (oggi primo ministro) russo Vladimir Putin.

Per questa ragione, una delegazione dell’associazione – in collaborazione con la testata Critica Sociale – è volata a Mosca per rendere omaggio a questa donna straordinaria nel giorno in cui avrebbe compiuto 51 anni. Colpisce il sorriso con cui è ritratta nella foto posta sulla sua tomba nel periferico cimitero di Troekurovo, dove è sepolta accanto a generali e militari che hanno combattuto per la “grandezza” della Russia. Ma colpisce anche constatare come prima dell’arrivo dei parenti e di alcuni colleghi di Novaja Gazeta (il giornale indipendente per cui scriveva) solo due sono le persone russe dinnanzi al suo monumento funebre: madre e figlia, semplici lettrici della Novaja, venute appositamente dalla provincia. Rimangono piacevolmente meravigliate dall’esistenza di una associazione che dall’Italia – Paese di quella Vecchia Europa tanto amica di Mosca e tanto dipendente dal suo gas da tacere sulla mancata libertà di stampa in Russia – si batte per tenere vivo il ricordo di Anna, “la più nota giornalista libera assassinata accanto a Natalia Estemirova e ad Anastasia Baburova” come da loro definita.

Scambiamo due parole anche con Dmitrij Muratov, il direttore della Novaja, rientrato appositamente dalle ferie da due ore. Con voce sommessa esordisce affermando che “in Cecenia la libertà di informazione è morta”, aggiungendo che la dolorosa decisione di ritirare i propri inviati da Groznyj è stata necessaria per evitare ulteriori vittime. Il suo tono di voce non muta quando analizza l’atteggiamento dell’Europa nei confronti di questa Russia autocratica, definito come “buono grazie al ruolo di Svezia, Polonia e Germania, eccezion fatta per Schroeder [che una volta terminato il suo mandato di cancelliere non ha esitato ad accettare la guida del consorzio Nord Stream, incaricato della costruzione dell’omonimo gasdotto che dal 2012 rifornirà di gas direttamente Berlino, aggirando membri UE invisi a Mosca come Svezia, Polonia e Stati Baltici, n.d.a.]”. Nemmeno quando, lucidamente, definisce il nuovo processo ai sospettati dell’omicidio Politkovskaja una “commedia dell’arte”, trasmettendoci lo sconforto che si prova dinnanzi ad uno Stato autocratico che inscena processi-farsa per tenere nascosta la verità.

Il ricordo di Anna continua nel pomeriggio con la visita della sua casa in via Lesnaja, 8. Una targa nera accanto alla porta d’ingresso di colore rosso vivo ricorda ai moscoviti che qui è stata uccisa. Accanto ad essa, una rosa, forse lasciata da qualche “passante responsabile” in fretta e furia, per non passare guai.

Il “turismo responsabile” di AnnaViva prevede per il giorno successivo una visita ufficiale a Memorial, l’associazione più attiva nella difesa dei diritti umani nella Russia di Putin con la quale collaborava la già citata Natalia Estemirova, assassinata pochi mesi fa per la medesima ragione di Anna: il coraggio di raccontare fatti scomodi al Cremlino. Ci accoglie Elena Žemkova, direttore esecutivo della sede moscovita. Sottolinea come la cecenizzazione del conflitto nel Caucaso abbia costretto pure Memorial a richiamare i suoi inviati non solo da Groznyj, ma dall’intera area interessata dalle operazioni militari. “La Russia – racconta – è un grande Paese che strumentalizza il passato contro i suoi nemici attuali: lo si vede in questi giorni nei confronti della Polonia, follemente accusata di essere la vera responsabile dello scoppio della Grande Guerra Patriottica [così i russi chiamano la Seconda Guerra mondiale, n.d.a.] così come è stato nei mesi scorsi con Georgia, Ucraina e Paesi Baltici”. Anche la sua analisi della situazione attuale della Federazione Russia è coerente e lungimirante: “sotto El’cyn sono state avviate importantissime riforme che hanno fruttato solo durante l’era Putin, che per questa ragione è giudicato dall’opinione pubblica un buon governante. In realtà, l’attuale primo ministro non ha fatto nulla per evitare una crisi economica che qui si è abbattuta maggiormente che altrove, preferendo spendere soldi per le Olimpiadi [in programma a Soči, sul Mar Nero, nel 2014, n.d.a.]”. Secondo la Žemkova, una soluzione concreta per una Russia più libera e democratica è riposta nella coltivazione della memoria e nello studio del passato, che Mosca deve affrontare responsabilmente, riconoscendo la barbarie del periodo sovietico.

L’ingresso della redazione della Novaja (condiviso con la Moskovskaja Pravda, a pochi minuti dalla fermata della metropolitana Čistye Prudy) conduce ad una sorta di museo contenente reperti vari, tra cui lo schermo utilizzato dalla Politkovskaja. Il solo pensiero che su di esso siano apparsi fiumi di parole tanto vere quanto scomode lascia alquanto colpiti se si ha a cuore la libertà di stampa. Così come si resta attoniti nell’osservare la scrivania sulla quale Anna lavorava: spoglia ed espressiva allo stesso tempo, posizionata accanto ad una piccola libreria di colore nero in cui sono riposte alcune delle letture preferite dalla coraggiosa giornalista.

Nella mensa interna alla redazione – una sorta di piccolo bar gestito da una simpatica babuška – risponde alle nostre domande Vitalij Jaroševskij, responsabile della pagina esteri. Lo fa di buon grado, lo si capisce dalla mole di informazioni che in poco tempo ci comunica.
“La guerra in Cecenia non è finita – debutta – ma, per cortesia, chiamiamola guerriglia. E non parliamo solo di Groznyj: le operazioni militari sono le medesime in Inguscezia e nel resto del Caucaso. Del resto – continua – la Russia ha sempre promosso politiche militari nel nord del Caucaso [dai tempi degli zar al periodo sovietico fino all’attuale Russia di Putin, n.d.a.] perché Mosca non sa come fare per mantenere il controllo sulla regione”. Anch’egli riflette sul tema della strumentalizzazione della storia per fini politici, individuandone la causa nella mancata condanna in Russia di Stalin, un “omicida patologico” ancora assurto a padre della patria per rinvigorire l’idea della velikaja Rossija (grande Russia). Afferma che “la politica estera russa è infantile, poiché colpisce chi non le sta simpatico. La revisione del patto Molotov-Ribbentrop è uno dei tanti eccessi del nazionalismo russo: si vuole colpire la Polonia? Allora la si presenta come alleata dei nazisti, quando invece è stata Mosca ad esserlo per due anni [dal 1939 al 1941, n.d.a.] e si tace sulla strage di Katyń [eccidio diabolicamente ed accuratamente progettato da Stalin nel 1940 per sterminare l’élite militare e culturale polacca, n.d.a.]; si vuole attaccare l’Ucraina? Allora nulla viene detto sull’Holodomor [la terribile carestia provocata da Stalin nel 1933 per sterminare migliaia di contadini ucraini, n.d.a.] e si insiste sulla collaborazione che molti ucraini prestarono ai nazisti in funzione anti-bolscevica; si vogliono colpire i Paesi Baltici? Ecco che anche loro sono esagitati nazionalisti alleati dei nazisti”.
C’è spazio infine per un pensiero sullo scudo spaziale USA in Europa Centrale, alla cui installazione l’amministrazione Obama sta, purtroppo, ripensando, preferendo il coinvolgimento di Paesi meno invisi a Mosca come Turchia ed Israele. “Innanzitutto, non vi è alcuna decisione ufficiale del Congresso circa la rinuncia al progetto in Europa Centrale. Poi, occorre riflettere sul perché della questione: se Mosca non fosse vista come un pericolo da cechi e polacchi, Praga e Varsavia non avrebbero acconsentito al dispiegamento di radar e missili americani sul proprio territorio”. Un’analisi seria, che raramente mi è capitato di registrare in tanti mesi di studio sulla questione. Sarebbe davvero opportuno che il Dottor Jaroševskij spiegasse come stanno le cose a molti benpensanti di casa nostra, che tanto si dilettano a giustificare Putin ed il suo regime. Spesso, persino dalle colonne dei principali quotidiani italiani.

Capitolo successivo del “turismo responsabile” consiste nella partecipazione al rally delle opposizioni in piazza Triumfal’naja, rigorosamente vietato dal sindaco Lužkov, noto omofobo ed antisemita. Si tratta di una manifestazione nonviolenta per la libertà di associazione in Russia, organizzata da realtà di diverso orientamento politico, dal partito Solidarnost’ – che comprende il movimento Drugaja Rossija (L’Altra Russia) di Garri Kasparov, la SPS (Unione delle Forze di Destra) ed i liberali filo europei di Jabloko – ai NazBol – i nazional-bolscevichi.
Per distrarre la folla, le autorità hanno disposto un ridicolo spettacolo di acrobazie in bicicletta proprio sotto il monumento a Majakovskij. Gia dalle 16:30 gli omon si posizionano nelle vie periferiche, pronti per la carica. Dalla piazza lungo tutta la Tverskaja ulica – quasi fino alla fermata del metro Puškinskaja – camion da cantiere vengono disposti lungo il lato della strada, ed il numero dei militari aumenta vertiginosamente. Se ne contano a centinaia. I manifestanti sono solo un’ottantina, tutti riuniti silenziosamente all’uscita della fermata del metro Majakovskaja. Tre di loro saranno prelevati dalla polizia, rei di aver intonato slogan ed esposto dei cartelli. Questa è la Russia di Putin, la Russia che non ci piace.
Così come non ci piacciono i militari in divisa grigio-rossa che impongono il silenzio dinnanzi alla salma imbalsamata di Lenin all’interno del tetro mausoleo in Krasnaja Ploščad’ (Piazza Rossa). Un monumento da visitare per capire cos’è davvero la Russia di Putin: un rinato impero che cambia la propria simbologia ma mantiene il medesimo stile del passato. Per questa ragione, AnnaViva ne fa l’ultima tappa del suo “turismo responsabile”.

Il “turismo responsabile”, appunto. Sarebbe scorretto chiudere senza spiegare cosa sia.
E’ una vacanza che supera i luoghi comuni, in tutti i sensi. Il “turista responsabile” si reca laddove è necessario attivarsi per la difesa della democrazia e dei diritti umani e civili. Armato di un semplice Iphone, ne documenta le violazioni e le trasmette alla rete istantaneamente. Dotato di taccuino e registratore mp3, da voce a chi si batte per la loro tutela, spesso contro governi autoritari. Il “turista responsabile” ama frequentare locali tipici, assaggiare la cucina del luogo, dedicarsi allo shopping e tirar tardi la sera in buona compagnia, ma con la consapevolezza di aver prima speso la propria giornata in maniera produttiva.
In sostanza, il “turista responsabile” non cerca sole, divertimenti e piaceri, ma si attiva per migliorare l’esistenza di donne, uomini e bambini privi del bene più prezioso che un essere umano in quanto tale possa – e ha diritto di – avere: la libertà.
Matteo Cazzulani

giovedì 3 settembre 2009

DANZICA 2009: RIPRENDE LA GUERRA DEL GAS

Dietro alle commemorazioni per lo scoppio della seconda guerra mondiale, i primi ministri di Polonia, Russia ed Ucraina hanno segnato un nuovo inizio della crisi del gas. Apparentemente le tensioni politiche tra Mosca, Varsavia e Kyiv si sono allentate, ma de facto la dipendenza energetica della Nuova Europa dal Cremlino è aumentata.

Il primo giorno di settembre del 2009 con tutta probabilità sarà ricordato per l’imponente commemorazione dell’inizio della seconda guerra mondiale a settanta anni esatti dal suo scoppio. Meno per la ripresa del conflitto sul gas. La compresenza a Danzica del premier polacco Donald Tusk e del primo ministro della federazione russa Vladimir Putin ha consentito un vero e proprio giro di boa nelle relazioni bilaterali tra Varsavia e Mosca. Nonché, con la visita nella tarda mattinata del Capo del governo Ucraino Julija Tymošenko, il raggiungimento di importantissimi accordi sul gas, tesi ad evitare un inverno tanto rigido dal punto di vista climatico quanto rovente da quello politico. Ma che nei fatti è un boomerang che lega ancor più fortemente Varsavia e Kyiv a Mosca.

I premier polacco e russo si sono incontrati a Sopot (cittadina confinante con Danzica) nella mattinata del primo settembre 2009 a margine della commemorazione internazionale dello scoppio della seconda guerra mondiale. Come illustrato dal polacco Tusk, l’incontro è stato caratterizzato da un clima di “pace e collaborazione” volto a riavvicinare due Paesi tra i quali il dialogo è storicamente arduo e complicato. Una “situazione assurda”, poiché “una pronta intesa è stata raggiunta tra Varsavia e Berlino e tra Mosca e Berlino, ma è alquanto bizzarro che ciò non sia stato possibile anche tra polacchi e russi”.

In primis, è stato affrontato il problema dell’interpretazione storica del patto Molotov-Ribbentrop, con cui la Germania nazista e la Russia comunista de facto si accordarono per una quarta spartizione della Polonia nel settembre del 1939, provocando lo scoppio della seconda guerra mondiale. Nei giorni scorsi, Mosca ha accusato la Polonia di aver stretto un presunto accordo segreto con Hitler in funzione anti-russa, addossando su Varsavia l’intera colpa dell’inizio del conflitto, nonché l’infame – quanto infondata – accusa di essere scesa a patti con quel terzo reich che predicava la superiorità della razza ariana sugli slavi. Dopo aver dichiarato che il suo Paese “ha considerato sempre i polacchi come fratelli nella lotta al fascismo” [forse intendeva “sudditi”, n.d.a.], Putin ha riconosciuto l’esistenza di differenti interpretazioni della storia che, tuttavia, non devono interferire in un rapporto politico tra i due stati “notevolmente migliorato nel corso degli ultimi due anni”. In virtù di questa dichiarazione di intenti, il primo ministro russo aprirà ai polacchi gli atti URSS riguardanti la stage di Katyń: un eccidio diabolicamente ed accuratamente progettato con cui Stalin sterminò grandissima parte dell’élite militare e culturale polacca. Tusk ha dichiarato di considerare le dichiarazioni di Putin “molto seriamente” ed ha proposto la creazione di una apposita commissione polacco-russa sulle questioni calde del passato, affinché “i nostri Paesi non potranno più utilizzare la storia l’uno contro l’altro”.
Piccola, quanto doverosa concessione di Putin è stata la firma dell’accordo sulla navigazione nell’estuario della Vistola. Finalmente, Mosca ha accettato la riapertura delle acque territoriali al largo dell’enclave di Kaliningrad alla navigazione delle imbarcazioni polacche, vietata dopo l’ingresso di Varsavia nell’UE. Tale decisione – una ritorsione politica – costringeva le navi non russe dirette al porto di Elbląg ad assurde manovre per aggirare il tratto di mare controllato dalla marina militare del Cremlino.

Tuttavia, la questione più significativa del vertice è legata al gas, tema “che deve essere staccato da connotazioni politiche” come auspicato da Tusk. Speranza disillusa. Abilmente, Mosca si è dichiarata “pronta come in passato a rifornire la Polonia di tutto il gas a lei necessario”. Ovvero di quei 2 miliardi di metri cubi che Varsavia acquistava dalla compagnia svizzera – ma legata a Gazprom – RosUkrEnergo (RUE) prima che Kyiv fosse costretta a rescindere con essa il contratto per le forniture a seguito dell’ultima crisi dello scorso inverno, quando Mosca – per ritorsione alla legittima quanto storica vocazione europea ed occidentale dell’Ucraina – chiuse i rubinetti e pretese dal vicino il pagamento di un prezzo più alto rispetto a quello stabilito da precedenti accordi. La decisione di Varsavia di acquistare gas dall’Ucraina è stata dettata dalla necessità di diversificare le forniture, stabilendo inoltre un tetto alla quota di importazione diretta dalla Russia. Tuttavia, “se la Polonia vorrà alzare questo limite si dovranno rivedere gli accordi bilaterali. Una questione puramente tecnica” come dichiarato da Putin, ma che in realtà nasconde un lungimirante calcolo politico.
Già negli scorsi mesi la polacca PGNiG (Polskie Górnictwo Naftowe i Gazownictwo) ha chiesto a più riprese a Gazprom un aumento delle forniture, ottenendo come risposta la pretesa di rivedere le quote di partecipazione in EuRoPol Gaz, società proprietaria del gasdotto che rifornisce la Polonia: finora, Gazprom e PGNiG ne possiedono il 48% ex aequo; il restante 4% appartiene all’azienda Gas-Trading, a sua volta partecipata per il 43,4% da PGNiG, per il 16% da Gazprom e per il 36% da Bartimpex, il più importante partner dei russi in Polonia. Gazprom vuole fortemente incrementare la sua presenza in EuRoPol Gaz al 50%, arrivando così alla maggioranza delle azioni della società se si considera lo schiacciante predominio di Gazprom-Bartimpex in Gas-Trading.

Più semplicemente, il Cremlino vuole il possesso dei gasdotti polacchi. Per questo ha sempre respinto ogni proposta di Varsavia di suddividere la società proprietaria del gasdotto unicamente tra PGNiG e Gazprom al 50% ciascuno, eliminando il terzo partner. E per questo Putin si è sempre opposto alla costruzione di un secondo gasdotto russo-polacco – previsto da precedenti accordi firmati nel 1993 con l’allora capo del governo Jerzy Buzek (oggi presidente del Parlamento Europeo) – preferendo sviluppare il progetto Nord Stream, antieuropeo ed ecologicamente pericoloso ma benedetto dalle cancellerie occidentali – Berlino, Roma e Parigi in testa – che lungo il fondale del Baltico dal 2012 rifornirà direttamente la Germania, saltando Paesi sul piano politico ragionevolmente ostili a Mosca, quali Svezia, Polonia e Stati Baltici.

Oltre che con Varsavia, Putin ha stretto patti “gasati” anche con Kyiv. Giunta a Sopot nella tarda mattinata, il premier ucraino Julia Tymošenko ha rinnovato gli accordi di fornitura di oro blu con Gazprom, ottenendo in cambio la possibilità di pagare soltanto il gas effettivamente consumato e non dell’intera quantità stabilita per contratto come in passato. La ratifica avrà luogo il prossimo ottobre nella città ucraina di Char’kiv in occasione della riunione del Comitato di Collaborazione Economica, a cui il primo ministro russo è stato appositamente invitato.

Tutti gli Stati che un tempo erano inclusi nel Patto di Varsavia sono fortemente dipendenti da Mosca per il gas. La Polonia lo è all’89%; l’Ucraina quasi totalmente. Tuttavia, occorre che i governanti di questi Paesi siano ben più lungimiranti rispetto ai loro colleghi dell’Europa Occidentale ed impediscano la svendita dei gasdotti al Cremlino, la cui sopravvivenza economica è legata unicamente al gas, arma utilizzata per ristabilire il dominio moscovita su quell’”estero vicino” che legittimamente e in maniera sovrana ha preferito l’occidente, la NATO e l’UE.
Un misero sconto sul prezzo dell’oro blu non può essere accettato a costo dell’indipendenza da un impero risorto con tutta la sua furbizia aggressiva, che minaccia un’Europa ancora colpevolmente ignara sul pericolo che esso rappresenta.
Matteo Cazzulani