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domenica 4 settembre 2011

JULIJA TYMOSHENKO NON PUO' NEMMENO CONVOCARE PROPRI TESTIMONI: CONTINUA LA FARSA IN UN PAESE ALL'ORLO DI UNA NUOVA GUERRA DEL GAS


La Leader dell'Opposizione Democratica privata della possibilità di chiamare a testimonianza propri ex-collaboratori. L'Ucraina sull'orlo di una nuova crisi energetica, con la Russia che pone la liquidazione del colosso energetico nazionale, Naftohaz, come condicio sine qua non per la revisione dei contratti. La Procura prepara nuovi processi a carico di altri esponenti dell'Opposizione Democratica

Dopo la richiesta di liberazione, di necessarie visite mediche, e l'inserimento agli atti di prove schiaccianti, adesso anche i testé. Nella giornata di venerdì, 2 Settembre, il giovane giudice, Rodion Kirejev, ha negato alla difesa della Leader dell'Opposizione Democratica, Julija Tymoshenko, la convocazione di una lista di testimoni che, dinnanzi al ripetuto diniego del PM di includere agli atti studi ed articoli di notevole rilevanza, avrebbero potuto confermare l'innocenza dell'ex-Primo Ministro.

Tra essi, dirigenti della compagnia energetica statale Naftohaz, un importante dirigente della Ernst and Young, ed il titolari di Dicastero dell'ultimo governo arancione ancora non chiamati a testimoniare, i quali, tra il 19 ed il 21 Gennaio 2009, hanno preso parte alle concitate riunioni convocate per visionare gli accordi per il gas, che Julija Tymoshenko avrebbe firmato di sua iniziativa con l'allora suo collega russo, Vladimir Putin: secondo l'accusa, infrangendo il regolamento, ma a parere della difesa - e della maggior parte dei testimoni già ascoltati - in linea con le prerogative che consentono al Capo del Governo la presa di decisioni senza il consulto del Consiglio dei Ministri in situazioni di particolare emergenza.

Tra Russia ed Ucraina una nuova Guerra del Gas

Emergenza energetica che, malgrado l'orientamento filo-russo dell'amministrazione di Viktor Janukovych - ritenuto il vero organizzatore dei processi a carico della Tymoshenko e di un'altra decina di esponenti del campo arancione - si sta ripresentando, rischiando di riportare il Paese ad una nuova guerra del gas con la Federazione Russa. Peraltro, senza avvicinare Kyiv a Bruxelles: sempre più indignata dinnanzi ad una repressione politica che rischia seriamente di compromettere la firma dell'Accordo di Assciazione UE-Ucraina, ed il varo della Zona di Libero Scambio ad esso collegato.

Già giovedì, Primo di Settembre, il Primo Ministro, Mykola Azarov, ha dichiarato che l'Ucraina intende diminuire il consumo di gas russo - compensato da fonti alternative, come il carbone - e rivedere i contratti in vigore con Mosca, la quale, indignata, ha risposto che l'unica possibilità di rinegoziazione dipende dalla fusione di Naftohaz con il monopolista russo, Gazprom, in un nuovo soggetto energetico che, operante nel solo mercato ucraino - e posseduto a maggioranza dai russi - rileverebbe il controllo non solo della compravendita di oro blu, ma sopratutto la gestione del sistema infrastrutturale energetico di Kyiv. Un ultimatum secco, a cui Azarov ha risposto picche, ma che, invece, ha spinto Janukovych a cercare un incontro d'urgenza con il collega russo, Dmitrij Medvedev, per affrontare la questione, senza, tuttavia, ottenere udienza.

"Con la Russia è difficile accordarsi - ha dichiarato all'autorevole UNIAN l'esperto di questioni energetiche, Vadym Karas'ov - non ci è riuscito l'ex-Capo di Stato, Viktor Jushchenko, con una politica filo europea, e nemmeno l'attuale, Viktor Janukovych, la cui concezione plurivettoriale sta provocando comunque un nuovo conflitto con Mosca, dannoso per ambo le parti. L'unica in grado di trovare un accordo con la Russia, e mantenere invariato il cammino verso l'Europa, è stata Julija Tymoshenko - ha continuato - con degli accordi purtroppo onerosi".

Contratti per cui la Leader dell'Opposizione Democratica è vittima di un processo sempre più iniquo ed autoritario: sempre venerdì, 2 Settembre, dall'aula è stato espulso a forza il Deputato Nazionale di Bat'kivshchyna, Andrij Shkil', "colpevole" di avere espresso il proprio dissenso dinnanzi alla conduzione arbitraria del procedimento di Kirejev, totalmente improntata a favore dell'accusa. Ma la repressione ai danni del campo arancione non sembra finire qui.

Come dichiarato nella notte dall'autorevole Ukrajins'ka Pravda, la Procura Generale avrebbe preparato 25 capi d'accusa a carico di altrettanti esponenti di spicco dell'Opposizione Democratica, che, probabilmente, presto saranno citati a giudizio. Tra essi, l'ex-collaboratrice di Julija Tymoshenko, Tetjana Sljuz, l'ex-Vice-Ministro delle Emergenze, Viktor Varanchuk, e l'ex-Ministro dell'Economia, Bohdan Danylyshyn, attualmente in esilio politico in Repubblica Ceca.

Matteo Cazzulani

sabato 3 settembre 2011

JULIA TYMOSZENKO BEZ PRAWA NA ŚWIADKÓW


Liderowi Demokratycznej Opozycji odmówili nawet możliwość zwołania jej świadków w procesie. Ukraina ryzykuje nowy gazowy konflikt z Rosją. Prokuratura przygotuje nowe sprawy kryminalne dla innych przedstawicieli taboru pomarańczowego.

Po dowodach, wnioskach o wyzwoleniu i o wizytach lekarzy, też świadkowie. W piątek, 2 Września, młody sędzia, Rodion Kirejew, odmówił Liderowi Demokratycznej Opozycji, Julii Tymoszenko, konwokacji niektórych osób którzy, z powodu rozwiązania sądu nie dołączyć do spraw ważnych dokumentów, mogliby powtarzać niewinność byłej premiera.

W szczególnie, obrona poprosiła o posłuchaniu dyrektorów energetycznej kompanii Naftohazu, amerykańskiej Ernst and Young, oraz ministrów ostatniego rządu pomarańczowego, którzy jeszcze nie pojawili w procesie jako świadkowie, obecnych podczas pilnych posiedzeń kabinetu ministrów w.s. gazowych zgód, które Julia Tymoszenko podpisała w Styczniu 2009 roku z ówczesnym jej rosyjskim kolegą, Władimirem Putinem, własną inicjatywą.

Według oskarżenia, działalność byłej premiera była nielegalna, a obrona - i większość świadków - stwierdziła, iż głowa rządu ma prawo na własne decyzji bez konsultowania się z ministrami na wypadku ekstremalnych sytuacji.

Sama pilna sytuacja, która odbędzie się dzisiaj z powodu nieadekwatnej polityki zewnętrznej obecnego Prezydenta, Wiktora Janukowycza - którego uważa się prawdziwym organizatorem procesu nad Julią Tymoszenko i innymi przedstawicielami Demokratycznej Opozycji - który spowodował z jednego boku zza politycznych represjach izolację z Unii Europejskiej, a z innego kolejną wojnę gazową z Rosją.

Już Pierwszego Września, Premier, Mykoła Azarow powiadomił o niezbędności dla Ukrainy skrócenia importu drogiego gazu, a Moskwa odpowiedziała, iż negocjacja kontraktów będzie możliwa tylko zjednoczeniem Naftohazu z rosyjskim monopolistą, Gazpromem. Głowa rządu zaprzeczał tego rozwiązania, natomiast prezydent Janukowycz latał na pilne spotkanie z jego rosyjskim kolegą, Dmitrijem Miedwiediewem, które, chociaż, nie odbyło się.

"Zgadzać się z Rosją jest bardzo trudno - skomentował dla UNIAN eksperta, Wadym Karasiow - nie dał radę ani były głowa Państwa, Wiktor Juszczenko, z jego pro-europejską polityką, ani obecny prezydent, Wiktor Janukowycz, mimo jego wielowektorności. Tylko Julia Tymoszenko osiągnęła sukces - skończył - ale musiała zaakceptować bardzo wysoką cenę".

A propos tych kontraktów, Lidera Opozycji sądzą w nierównym procesie, podczas którego, zawsze w piątek, 2 Września, wysunęli z sali z siłą Deputowanego Andrzeja Szkilja, który protestował przeciw stronności za oskarżenie sędzia Kirejewa.

Oprócz tego, jak podtwierdzyła Ukraińska Prawda, Generalna Prokuratura przygotowała 25 spraw kryminalnych nad kolejnymi przedstawicielami Demokratycznej Opozycji, m.in. byłym wice-ministrem Niezwyczajnych Sytuacji, Wiktorem Waranczukiem, współpracowniczką Julii Tymoszenko, Tatiana Sliuz, orza byłym Ministrem Gospodarki, Bohdan Danyłyszyn, który przebywa w politycznym azyli w Czechach.

Matteo Cazzulani

giovedì 9 settembre 2010

FUSIONE GAZPROM-NAFTOHAZ, FRENO DI AZAROV. VIA LIBERA AL NABUCCO


FOTO UNIAN. Kyiv cauta sul progetto di fusione tra i colossi del gas ucraino e russo, ed esorta Mosca a desistere sul SouthStream. Semaforo verde al Nabucco.

Partnership alla pari, sì. Fusione incondizionata, no. Secco, e sorprendente, è il messaggio lanciato dal primo ministro ucraino, Mykola Azarov, in merito al progetto di fusione tra il colosso energetico del suo Paese, Naftohaz, con quello russo, Gazprom. Un'idea, caldamente proposta dal premier russo, Vladimir Putin, la scorsa primavera, a Sochi, su cui Kyiv e Mosca hanno lavorato negli ultimi mesi. Nella giornata di mercoledì, 8 settembre, l'altolà di Azarov, espresso dal portavoce, Vitalij Luk'janenko: la fusione è un passo azzardato. Meglio una partnership molto stretta, purché, sempre, a pari condizioni.

Quella, seppur indiretta, di Azarov è una conferma di quanto precedentemente affermato dal ministro dell'energia, Jurij Bojko, che all'agenzia UNIAN ha scartato l'ipotesi di una fusione tra i due colossi in un supermonopolista, e ribadito che nell'operazione, realizzabile sia sotto forma di stretta partnership che di associazione, la parità di peso tra Kyiv e Mosca è condicio sine qua non per un buon esito delle trattative.

"Non preventiviamo - ha commentato all'agenzia UNIAN - la fusione tra Naftohaz e Gazprom. Sarebbe preferibile un'unione delle due compagnie. Per noi - ha continuato - fondamentale è modernizzare il sistema infrastrutturale energetico nazionale, ed ottenere prezzi più a buon mercato del gas. In base a queste richieste - ha concluso - elaboeremo una proposta a Mosca".

Le dichiarazioni di premier e ministro dell'energia ucraini arrivano l'indomani di quelle del capo di Gazprom, Oleksej Miller, secondo cui la parte russa non è affatto interessata ad un'impresa comune, né ad una semplice collaborazione. Altresì, essa mira ad una fusione tout court, per la quale è disposta a concedere a Naftohaz lo sfruttamento di un giacimento dalla portata - potenziale - di 1 trilione di metri cubi.

"Le due compagnie devono fondersi - ha sentenziato - la partnership e l'unione sono solo i primi passi verso la creazione di un supermonopolista. Quando parliamo di comune impresa lo facciamo intendendo una fusione".

Comune impresa, unione, partnership o fusione che sia, di strada Kyiv e Mosca ne hanno percorsa già molta. Successivamente al consiglio di Putin, nel maggio scorso, Bojko ha dichiarato la disponibilità, da parte ucraina, di mettere a disposizione del futuro supermonopolista il giacimento di gas del Mar Nero. E, sopratutto, possesso, e manutenzione, dei gasdotti ucraini. In cambio, lo scorso 27 giugno Miller ha messo a disposizione alcuni giacimenti del centro della Russia.

Tuttavia, lo stop di Azarov non convince gli esperti sulla reversibilità del progetto di fusione, dal momento in cui l'inverno è alle porte, e, per affrontarlo, Kyiv necessita di gas a buon mercato. Pertanto, il tempo giocherebbe a favore di Mosca, abile nel fissare le sue proposte nei tempi necessari. Opinione condivisa dal ministro-ombra dell'energia, Oleks Hudyma, che ha invitato a tenere conto di come, solo negli scorsi giorni, Naftohaz si sia indebitata con la banca russa BTB, cui capo del Consiglio di Amministrazione è lo stesso Vladimir Putin. 400 milioni di dollari USA l'entità del prestito, erogato, in tranche periodiche, fino al 2013.

"Naftohaz - ha illustrato l'esponente del Blocco Tymoshenko - ha già accantonato la dote per il matrimonio con Gazprom. Negli scorsi giorni sono stati messi sul piatto 700 milioni di dollari, 400 dei quali presi a credito dalla Russia. Presto arriverà l'inverno, ed il Cremlino è avantaggiato nell'imporre le sue condizioni, facendo leva sul prezzo del gas".

Forse è proprio in vista dell'arrivo del generale inverno che l'Ucraina ha cercato rinnovare le forniture di gas turkmeno. Come riportato dall'agenzia Rosbalt, nella giornata di Domenica, 5 settembre, una delegazione, capeggiata dal viceministro degli esteri, Viktor Majko, si è recata ad Ashgabat. Nessuna certezza dai colloqui, ma sono in molti tra gli esperti ad essere convinti che, questa volta, l'accordo sarà ben lungi dall'essere raggiunto. Tra gli altri, Volodymyr Saprykin.

Da un lato, il Direttore dei programmi energetici del Centro Razumkov ha riconosciuto che il peggioramento delle relazioni russo-turkmene - sopratutto a seguito dell'incidente, di cui sarebbe responsabile Mosca, di una conduttura deputata all'esportazione del gas di Ashgabat all'Europa - apre gli spazi per un nuovo accordo con Kyiv. Ma, dall'altro, ha evidenziato che, qualora ne fosse rinnovata l'esportazione all'Ucraina, l'oro blu turkmeno giocoforza dovrebbe transitare per il territorio russo. Una prospettiva che Mosca, esclusa dall'affare, ed interessata a rifornire Kyiv di proprio combustibile, difficilmente permetterà.

"Bisogna comprendere - riporta la nota di Saprykin - che la fornitura di gas non è una questione solamente economica. Bensì geopolitica. E da questo punto di vista, Mosca non permette il transito di gas che non controlla attraverso il suo territorio. E ciò, sebbene oggi i rapporti con Kyiv siano nettamente migliori. Per Mosca, il gas turkmeno vale molto di più rispetto alle relazioni con l'Ucraina. Dunque, escludo un accordo con Ashgabat".

Lecito ricordare che il gas turkmeno, meno caro di quello russo, è sempre stato ambito da Kyiv. Già nel 2001, l'allora vicepremier con delega agli affari energetici, Julija Tymoshenko, riuscì ad assicurarsi, per quindici anni, una fornitura costante di oro blu turkmeno. Un successo politico della Lady di Ferro ucraina. Purtroppo, reso vano dall'ex-presidente, Viktor Jushchenko, che, nell'inverno 2006, dinnanzi all'interruzione delle forniture di Mosca, accettò la creazione di RosUkrEnergo: una joint venture russo-ucraina, compartecipata da Gazprom e Naftohaz, registrata in Svizzera, incaricata di vendere tale gas a Kyiv. De facto, l'Ucraina fu costretta a cedere all'intermediaro il monopolio dell'importazione del gas turkmeno, diminuendone la convenienza per il proprio bilancio.

All'incontro di Ashgabat, il Cremlino ha risposto prontamente. L'ambasciatore della Federazione Russa in Ucraina, Mikhail Zurabov, ha annunciato l'imminente visita del primo ministro russo, Vladimir Putin, per rinnovare gli accordi sulle forniture di gas. Il diplomatico ha sottolineato come a Mosca sia ben chiaro il bisogno che a riguardo ha la parte ucraina. Per questa ragione, Putin è intenzionato ad intavolare la discussione già nelle prossime settimane, senza aspettare la settima sessione della Commissione per la Cooperazione Economica russo-ucraina, prevista per il prossimo 26 ottobre.

"L'incontro - ha dichiarato - si farà. Le consultazioni dureranno per il seguente mese e mezzo. Inoltre - ha continuato - per un migliore accordo sul gas, che soddisfi la parte ucraina, riteniamo utile che Kyiv si integri maggiormente in quelle strutture internazionali appositamente create. In particolare, nell'Unione Doganale con Bielorussia, Kazakhstan e Russia, e nel sistema di collaborazione euroasiatica. Accanto a ciò, il processo di stretta collaborazione tra Mosca e Kyiv, in diversi settori, deve continuare".

Uno degli ambiti è quello dell'energia nucleare. Già nel maggio scorso, il primo ministro ucraino, Mykola Azarov, ha dichiarato di aver raggiunto un'intesa con Mosca per la comune costruzione di una centrale nel proprio Paese. Successivamente, il 21 giugno, è stato indetto un bando per l'assegnazione della partnership. Vinto, martedì 7 settembre, dal consorzio statale russo TVEL. A renderlo noto a Radio Liberty, Svitlana Merkylova, rappresentante in Ucraina della compagnia americana Westinghouse. L'unica, assieme ai russi, ad aver preso parte al concorso.

"Abbiamo ricevuto una comunicazione - ha spiegato laconicamente - in cui, ringraziandoci per la partecipazione, ci è stato notificato che la commissione giudicatrice ha assegnato il bando a TVEL".

Per Mosca non è finita qui. Nella giornata di lunedì, 6 settembre, alcune banche internazionali hanno dato il via libera al Nabucco: gasdotto euroamericano, progettato per trasportare gas centroasiatico direttamente nel Vecchio Continente, bypassando il territorio russo. Il semaforo verde, l'erogazione di prestiti al consorzio incaricato di construire la conduttura, di cui fanno parte la compagnia tedesca RWE, la bulgara Bulgargaz, l'ungherese MOL, la rumena Transgaz, la turca Botas e l'austriaca OMV.

Secondo quanto riportato dall'agenzia Bloomberg, e confermato da quella russa Lenta.ru, la Banca Europea degli Investimenti si è impegnata per 2 miliardi di euro, quella per lo Sviluppo e la Ricostruzione per 1,2, e la Banca Mondiale per 800 milioni. I restanti 8 miliardi, infine, saranno erogati dal bilancio del consorzio e da investitori privati. I lavori per la conduttura inizieranno nel gennaio 2011, con lo scopo di renderla operativa dal 2014. La portata del Nabucco, inizialmente fissata a 17 miliardi di metri cubi annui, è stata innalzata a 31 miliardi.

L'infrastruttura in questione è concorrente al SouthStream: conduttura, di progettazione russo-italiana, ideata, su un simile itinerario, per bypassare Paesi agli occhi del Cremlino instabili, come Ucraina, Moldova e Romania. Essa, dal 2015, trasporterà oro blu dalla Russia all'Italia, attraverso il fondale del Mar Nero, Grecia e Paesi Balcanici. Oltre a Gazprom ed ENI, alla realizzazione di quello che è stato battezzato "gasdotto ortodosso" partecipano la francese Suez Gaz de France, la già citata tedesca RWE, la serba Srbtransgas, la bulgara Bulgaria Energy Holding e la greca DEFSA.

Il progetto, la cui presidenza è stata offerta a più riprese all'ex premier italiano, Romano Prodi - sul modello di quanto avanzato, ed accettato, per il NordStream all'ex cancelliere tedesco, il socialdemocratico Gerard Schroder, oggi dipendente di Putin - è contrastato da Kyiv, che rischia l'isolamento. Per far desistere i russi dalla realizzazione del Southstream, l'Ucraina, dapprima, ha proposto la condivisione del proprio sistema infrastrutturale energetico. Successivamente, avanzato dubbi di carattere ecologico, sostenendo che la posa delle tubature potrebbe seriamente comprometere l'ecosistema del Mar Nero.

A ribadire, di recente, tale obiezione, il ministro degli esteri ucraino, Kostjantyn Hryshchenko, a Londra per una visita di lavoro. Come riportato dall'agenzia tedesca Deutsche Welle, il capo della diplomazia di Kyiv avrebbe esortato Mosca ad abbandonare un progetto a lei politicamente sconveniente. Nonché, ad alto impatto ambientale. Ciò nonostante, difficilmente la parte russa rinuncerà al gasdotto ortodosso. Il quale consentirà a Mosca di insturare un collegamento diretto con gli stretti alleati della parte occidentale del Vecchio Continente, assetati di gas e bisognosi dell'oro blu sulla cui esportazione Gazprom detiene il monopolio. Una dipendenza che, troppo spesso, condiziona la condotta della Vecchia Europa, sia sul piano energetico che, purtroppo, geopolitico.

Matteo Cazzulani

mercoledì 8 settembre 2010

UCRAINA, RIAPRONO I LAVORI ALLA RADA. E' SUBITO BAGARRE. CRONACA DELLA GIORNATA.





FOTO UNIAN.Un'Opposizione Democratica, sempre più divisa, protesta dentro e fuori il parlamento contro la politica fiscale del governo. Respinti quattro emendamenti. La Tymoshenko invita al voto amministrativo per sfiduciare Janukovych. Pavlychko: "frammentati non si vince".

Sessione nuova, vecchie diatribe. La campanella di inizio anno è suonata anche per la politica ucraina. Martedi, 7 settembre, esattamente una settimana dopo quella che ha richiamato nelle scuole del Paese allievi e scolari. I quali, di sicuro, hanno celebrato il ritorno tra i banchi in maniera meno spumeggiante di quanto fatto dai parlamentari, autori di una giornata surreale, politicamente agitata e, purtroppo, tragicomica.

Tutto ha inizio alle ore 9 locali, con l'inaugurazione ufficiale della nuova sessione, la settima: fino al 14 gennaio, dieci settimane di riunioni plenarie, cinque di lavori nelle commissioni, quattro di campagna elettorale per le consultazioni locali, e dieci ore di question time. Un'occasione solenne, a cui, oltre ai 399 deputati registrati, hanno presenziato il presidente, Viktor Janukovych, l'intero Consiglio dei Ministri, il Capo della Corte Suprema, Vasyl' Onopenko, quello del Tribunale Amministrativo, Oleksandr Pasenjuk, ed i direttori della Banca Nazionale Ucraina, del Comitato Nazionale Antitrust, del Consiglio Superiore di Giustizia e del Fondo del Demanio.

Fin dalla mattina, i parlamentari del Partija Rehioniv - la forza politica, egemone nel Paese, a cui appartengono Capo dello Stato, premier ed il resto dei titolari dei dicasteri - hanno circondato la tribuna centrale, per evitare che i lavori, come preannunciato, venissero bloccati dall'Opposizione, sui cui scranni sono stati issati otto striscioni contro l'operato del governo in materia fiscale ed energetica, e, sopratutto, di condanna della decisione di innalzare le imposte per gas e servizi comunali. "Prezzi instabili, innalzamento dell'età pensionabile, incremento delle tasse sono genocidio fiscale per gli Ucraini", il loro contenuto. "Ucraina senza la gente" un altro, scimmiottando lo slogan elettorale con cui le elezioni presidenziali sono state vinte da Janukovych.

Ed è stato proprio il Capo dello Stato ad aprire i lavori. Lo ha fatto con un discorso pacato, equilibrato, persino superpartes, con cui ha invitato il parlamento ad approvare leggi per il bene del Paese, ed espresso la speranza che tutti i deputati, di maggioranza e di opposizione, siano autori di un lavoro costruttivo.

"La gente - ha dichiarato dalla sua postazione, alla sinistra dello speaker - si aspetta provvedimenti utili per il bene delle regioni del Paese. Da parte mia, non ci saranno discriminazioni. Tutti i parlamentari sono uguali, per me l'appartenenzaalla coalizione [maggioranza, n.d.a.] o all'opposizione non ha importanza. Bisogna lavorare insieme".

Anche il Presidente del Parlamento, Volodymyr Lytvyn, ha fatto proprio lo spirito di concordia. Annunciato l'ordine del giorno, con la messa ai voti di nuovo codice fiscale e moratorie all'innalzamento delle tasse, proposte dall'Opposizione, ha dichiarato la propria soddisfazione dinnanzi all'esito della riunione dei capigruppo. In cui, precedentemente, in cambio dell'inserimento nell'odg dei propri emendamenti, gli esponenti del Blocco Tymoshenko e di Nasha Ukrajina-Narodna Samooborona hanno rinunciato al blocco dei lavori.

Una pax fragile, difficilmente raggiunta, e prontamente rotta. Ad aprire il fuoco, il primo ministro, Mykola Azarov, che con un discorso al vetriolo ha colto l'occasione per accusare l'Opposizione di destabilizzare il Paese, e gettato sul precedente governo Tymoshenko l'intera responsabilità della crisi finanziaria in cui versa l'Ucraina.

"La così detta opposizione - ha tuonato - ha lasciato debiti astronomici, e continua a destabilizzare il Paese. Dovrebbe vergognarsi di aver sfiorato la bancarotta, e di avere trascinato lo Stato al marasma. Ciò nonostante, il governo continuerà a lavorare per la stabilità economica e politica".

Parole pesanti, sopratutto se pronunciate da un primo ministro. Per giunta, in un'occasione ufficiale. I deputati dell'Opposizione si sono recati verso la tribuna per bloccare i lavori, e, come effettuato da Oleh Ljashko, del Blocco Tymoshenko, denunciare al microfono l'ennesima intimidazione verbale del Partija Rehioniv ai danni di esponenti del BJuT. Pronta la reazione dei parlamentari della maggioranza, a loro volta accorsi verso il centro dell'aula. E' bagarre, e Lytvyn è costretto al time-out. Ma non c'è pace.

Terminata la pausa, viene votata la cancellazione del vecchio Codice fiscale. Una procedura necessaria per approvare quello nuovo, elaborato dal Partija Rehioniv. Successivamente all'incremento della bolletta del gas per la popolazione del 50%, deciso arbitrariamene lo scorso primo di agosto, la nuova versione prevede un incremento delle tasse sui beni immobili, e sulle attività della piccola e media impresa. 251 i favorevoli: maggioranza compatta - Partija Rehioniv, Blocco Lytvyn e comunisti.

Il vice speaker, Mykola Tomenko, del Blocco Tymoshenko, ha preso parola e accusato la maggioranza di nuocere alla ripresa economica, in quanto il codice annullato garantiva agevolazioni fiscali per la piccola imprenditoria, indispensabili per la ripresa del Paese. E, purtroppo, eliminate dal nuovo documento. Ancora bagarre. Lytvyn, dopo aver posticipato la votazione sul nuovo Codice Fiscale nelle prossime sedute, ha convocato l'ennesima pausa.

Ancora una ripresa, ennesima votazione. E nuova baruffa. Questa volta, la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata l'annullamento delle moratorie all'innalzamento del costo del gas e dei servizi comunali. Presentate, in quattro mozioni distinte, da Opposizione e comunisti. Ad avere maggiore successo, la Kompartija, con 200 voti a favore della sua proposta su 421. A sostegno di quella del Blocco Tymoshenko, presentata da Oleh Ljashko, invece, 176. Due voti in meno, 174, per quelle di Nasha Ukrajina, presentate da Jurij Karmazin e Roman Zvarych. Un'operazione irregolare, a cui non tutti i deputati della maggioranza hanno preso parte fisicamente. Per questa ragione, Ljashko ne ha richiesto la ripetizione.

Al nuovo stop è seguita l'ennesima vittoria della maggioranza, con la concessione del permesso al consiglio comunale di Kyiv di indire un referendum per l'eliminazione dei consigli territoriali interni alla città. Un'idea del sindaco della capitale, Leonid Chernovec'kyj, per aumentare il proprio controllo su un territorio - come confermato dagli ultimi sondaggi - a lui diventato politicamente ostico. Doveroso sottolineare che nelle ultime presidenziali Chernovec'kyj ha supportato Janukovych, al punto da non spargere il sale per le strade ghiacciate della capitale, e, così, disincentivare il voto in favore di Julija Tymoshenko. Per questa ragione, il Partija Rehioniv ha suppotato la richiesta, presentandola alla Rada. Ancora una volta, la maggioranza è compatta: 245 i favorevoli.

Questa volta, nessuna bagarre. Anche perché la vera mobilitazione è fuori dall'edificio della Rada, dove il Comitato per la Difesa dell'Ucraina ha chiamato a raccolta la popolazione per protestare contro il rincaro delle imposte del gas e dei servizi comunali, decisi dal governo nonostante da Mosca sia stato ottenuto uno sconto sul prezzo di importazione dell'oro blu. Lecito ricordare, a caro prezzo politico e militare: Kyiv ha dovuto rinnovare la permanenza dell'esercito russo in Crimea fino al 2042, ed accettare la fusione di gioielli dell'economia nazionale con monopolisti russi nel campo dell'energia atomica, idroelettrica e della costruzione di aerei civili.

Secondo fonti ufficiali, al presidio sono accorsi in 10 mila. Non solo militanti di Bat'kivshchyna - il partito di Julija Tymoshenko - e di Svoboda, ma anche privati cittadini, indignati dalla politica della verticale del potere Janukovych-Azarov. A poca distanza, 2 mila sostenitori del Partija Rehioniv. Come dimostrato da interviste rilasciate al 5 Kanal, solo i più anziani di essi si sono dimostrati consapevoli del perché delle loro ragioni. I più giovani, invece - studenti sfaccendati o disoccupati delle regioni orientali del Paese - hanno ammesso di essere stati invogliati dalla prospettiva di una gita nella capitale, con vitto garantito.

Dal palco della mobilitazione dell'Opposizione Democratica, la leader, Julija Tymoshenko, ha invitato tutti gli ucraini a concretizzare la propria scontentezza recandosi alle urne il prossimo 31 ottobre, per punire il Partija Rehioniv alle prossime elezioni comunali. Inoltre, ha dichiarato la volontà di proseguire in sede parlamentare la battaglia per l'abolizione dell'incremento delle tasse ai danni della popolazione e della piccola e media impresa. Infine, ha richiesto ufficialmente le dimissioni del Capo dei Servizi segreti, Valerji Khoroshovs'kyj, e del ministro dell'istruzione, Dmytro Tabachnyk. Accusati, il primo, di uso politico di milicija e magistratura. E, il secondo, di ucrainofobia.

"Richiederemo costantemente le dimissioni di Tabachnyk - ha dichiarato la Lady di Ferro ucraina - autore di una politica antiucraina. Ricordiamo di quando, contrario all'Indipendenza, ha bruciato la nostra bandiera nazionale. Richederemo anche quelle di Khoroshovs'kyj - ha continuato. Il Partija Rehioniv necessita di una investitura da parte degli ucraini. Qualora il prossimo 31 ottobre vincessero le elezioni locali, si sentirebbero legittimati a continuare nella loro politica, lesiva degli interessi nazionali. Per questo - ha affermato - invito tutti voi a recarvi alle urne. Le amministrative- ha concluso - sono la nostra prima difesa".

Prima difesa a cui ha chiamato anche il leader di Narodna Samooborona, l'ex ministro degli Interni, Jurij Lucenko, che ha invitato tutti coloro che hanno l'Ucraina nel cuore a sostenere Bat'kivshchyna - il partito della Tymoshenko - per lanciare un forte segnale a Janukovych. Di segno oposto, invece, il pensiero del coordinatore del Comitato per la Difesa dell'Ucraina, Dmytro Pavlychko. L'oppositore di vecchio corso, attivo già sotto il regime sovietico, ha ipotizzato una sconfitta dell'Opposizione alle prossime consultazioni, dal momento in cui, allo stato attuale, essa è divisa da dissidi intestini.

"Dove sono Jacenjuk, Kyrylenko e Hrycenko - ha esclamato, riferendosi ad altri leader di spicco dell'Opposizione a Janukovych - Se non capiamo che dobbiamo restare uniti, queste elezioni sono perse. Dobbiamo unirci, per il bene del nostro Paese. La nostra forza è il Majdan. Lì, nel 2004, abbiamo dimostrato [con la rivoluzione arancione, n.d.a.] che possiamo vincere. Ma solamente se combattiamo insieme, uniti".

Parole sagge, dettate dall'esperienza di chi, nella sua storia, di battaglie per l'Ucraina e la libertà ne ha combattute molte. Forse, anche per questo, persino profetiche. Difatti, nella serata, l'ennesimo strappo. Con una nota, Svoboda ha espresso indignazione per l'assenza, sul palco della manifestazione, del proprio leader, Oleh Tjahnybok, e della presidente della regione di Ternopil', Oleksija Kajdy, e promesso ripercussioni politiche. Sebbene a rappresentare la forza politica ci fosse Irina Farion, lo strappo è stato consumato. E, purtroppo, l'Opposzione Democratica è ancora più frammentata.

Una divisione che indebolisce. Sempre nella serata, l'ennesima tegola, che chiude una giornata campale della politica ucraina. Il vice capo di Bat'kivshchyna, consigliere di Julija Tymoshenko, Oleksandr Turchynov, è stato convocato dai servizi segreti per un interrogatorio. A comunicarlo, una nota del Blocco Tymoshenko. Che, oltre a porre l'accento sulla mancata trasmissione delle ragioni della convocazione dell'ex vice premier, ha espresso forte preoccupazione per quella che ritiene l'ennesima operazione giudiziaria contro un esponente dell'entourage della Lady di Ferro ucraina.

"Ricordiamo - riportala nota del BJuT - che in prigione sono finiti già l'ex vice capo di Naftohaz [il colosso ucraino del gas, n.d.a.] Ihor Didenko, l'ex capo del controllo Statale di frontiera, Anatolij Makarenko, e l'ex minostro degli esteri, Bohdan Danylyshyn".

Matteo Cazzulani

lunedì 6 settembre 2010

MOLDOVA, FALLISCE IL REFERENDUM. CHISINAU RESTA UNA REPUBBLICA PARLAMENTARE.


Al referendum per la modifica dell'articolo 78 della Costituzione vota solo il 30%. Nessuna elezione diretta del presidente, come proposto dalle forze della coalizione di governo per superare la crisi politica. Venti di guerra in seno al campo democratico. Esultano i comunisti, favorevoli all'astensione.

Una vittoria politica dei comunisti, ottenuta con l'arma democraticamente più fastidiosa: l'astensione. Questo, in sintesi, quanto accaduto in Moldova, Domenica, 5 settembre, in occasione del referendum nazionale indetto per introdurre l'elezione diretta del Capo dello Stato, e trasformare il Paese in una repubblica presidenziale. Il quorum necessario, il 33,3% degli aventi diritto, non è stato raggiunto. L'affluenza si è arrestata al 30%.

Un'occasione sprecata, dal momento in cui il refendum poteva risolvere una situazione politica di instabilità, proprio con il più democratico degli strumenti. Una spiegazione, ribadita per tutta la campagna elettorale dai partiti della coalizione di governo "Alleanza per l'Integrazione Europea" - il Partito LiberalDemocratico di Moldova, PLDM, il Partito Democratico di Moldova, PDM, il Partito Liberale, PL, e l'Alleanza "Moldova Noastra" - che, a quanto pare, non ha convinto i moldavi. Forse, come rilevato da diversi analisti, anche a causa della litigiosità tra gli esponenti della maggioranza, che hanno preferito spendere tutte le energie sulla ricerca del candidato da presentare alle presidenziali, già fissate, prima ancora di Domenica, per novembre.

Un'autogol, per cui esultano solo i comunisti, che hanno invitato i moldavi a boicottare una consultazione elettorale bollata come inutile e pretesto per indire nuove elezioni. Soddisfazione è stata espressa dal leader, l'ex presidente, Vladimir Voronin, e da diversi membri del partito. Jurije Muntjan ha parlato di fallimento del tentativo di usurpare il potere da parte della maggioranza, mentre una sua collega, la deputata, Maria Postojko, si è felicitata per il mancato raggiungimento del quorum in quello che ha definito uno show antidemocratico.

Eppure, questo show antidemocratico era davvero necessario. Infatti, la coalizione di governo ha proposto il ripristino dell'elezione diretta della Prima Carica dello Stato - in vigore fino al 2000 - dopo che per due volte in un anno e mezzo il parlamento non è riuscito ad scegliere il presidente. In merito, chiaro è stato lo speaker del parlamento, Mihai Ghimpu, leader del Partito Liberale e, sopratutto, Capo dello Stato ad interim, fino alla risoluzione della crisi.

"I moldavi - ha dichiarato alla vigilia del referendum - hanno il diritto di andare alle urne, e votare sì al refendum. Occorre riappropriarsi di quel diritto, democratico, di eleggere direttamente il presidente che si vuole, toltoci dai comunisti nel 2000. Qualora il quorum non fosse raggiunto, la crisi politica continuerà".

Alla base dello stallo politico, l'estrema frammentarietà dell'"Alleanza per l'Intergrazione Europea", al potere dalla primavera del 2009. Allora, dopo le ennesime elezioni falsate dai comunisti, proteste nonviolente sotto il palazzo presidenziale dei democratici moldavi - altrimenti note cone Rivoluzione Twitter - portarono alle dimissioni di Voronin, al tempo Capo di Stato. L'ultima rivoluzione colorata nell'Europa centro-orientale, con cui i democratici moldavi - pacificamente armati di bandiere nazionali, romene e dell'Unione Europea - in nome della Democrazia, delle libertà, e dell'integrazione con l'Occidente rovesciarono l'ennesima autocrazia di eredità sovietica.

Ciò nonostante, la maggior parte della responsabilità della dell'empasse, che ingessa il Paese, ricade proprio sui comunisti. Essi, seppure all'opposizione, sono il gruppo parlamentare con più deputati, 48 su 101. Facile, per loro, dapprima restare compatti, ed aprofittare delle divisioni interne alla maggioranza su ogni questione. E, successivamente, sfruttare la crescente sfiducia dei moldavi nella politica, per boicottare un referendum osteggiato persino in sede internazionale, con la vana presentazione di un ricorso presso la Commissione Europea.

In molti tra gli esperti hanno sottolineato come la condotta dei comunisti sia dettata anche dal fatto di trovarsi senza un leader: a Voronin, per due volte Capo dello Stato, la legge vieta di correre per un terzo mandato. Preso dalla carica ricoperta, l'ex Capo dello Stato non è stato in grado di individuare, ed allevare, un suo erede. Ed oggi, i comunisti si trovano con tanti colonnelli, ma nessuna figura di riferimento.

Leader che, invece, abbondano nel campo della maggioranza democratica. E che, fallito il referendum, già affilano i coltelli in vista delle prossime parlamentari. Sulla loro data, ancora nessuna uficialità. Ma in molti sostengono che una soluzione dello scontro intestino alla coalizione di governo sia questione di poco tempo. A contendersi la leadership dell'"Alleanza per l'Integrazione Europea", l'attuale premier, il leader del Partito Liberal-Democratico, Vlad Filat, ed il capo del Partito Democratico, Marian Lupu. Il primo, impegnato nella rincorsa dei voti di centro, sostenitore dell'integrazione con NATO ed UE, e, con una consolidata partnership con l'ALDE, già ben integrato nelle strutture partitiche del Vecchio Continente. Il secondo, invece, inserito nell'internazionale socialista, e maggiormente attento alle buone relazioni con Mosca. Complice, la collaborazione con "Russia Unita", la forza politica del primo ministro russo, Vladimir Putin.

Ad essi, si aggiungono il già citato Mihai Ghimpu, ed il presidente di "Moldova Noastra", Serafim Urechean. Un raggruppamento di personalità, alleate e concorrenti, che, se da una lato certifica il progresso del sistema partitico moldavo, dall'altro ricorda Paesi similmente liberatisi da autocrazie post-sovietiche, come l'Ucraina. Resta la speranza che, diversamente da Kyiv, tale competizione non prevalga sull'interesse della nazione. E, in nome di personalismi ed invidie, non porti lo schieramento democratico a rompersi, ed a sacrificare la legittima volontà del popolo moldavo, per cui esso è oggi al potere: l'ingresso nell'Unione Europea, dopo anni di sofferenze, e sottomissione al Cremlino.

Matteo Cazzulani

domenica 5 settembre 2010

AZERBAJDZHAN, MOSCA IMPONE LA PAX GASATA

Il Cremlino sempre più presente nello scacchiere caucasico. Dopo i missili in Armenia, colloqui con Baku per la tregua militare con Jerevan. E per l'egemonia energetica nella regione.

Un casco blu ed una penna, calda al punto giusto per firme importanti. Di sicuro, Dmitrij Medvedev non avrà scordato di riporli nella sua valigia, destinazione Baku. Nella giornata di giovedì, 2 settembre, il Presidente della Federazione Russa si è recato in Azerbajdzhan, in visita presso il suo collega, Il'kham Alijev. Scopo dell'incontro, almeno ufficialmente, la risoluzione del contrasto militare con l'Armenia, ripreso negli ultimi mesi.

Lo scorso giugno, un violento scambio di fuoco aveva rotto una delicata tregua, raggiunta solo pochi giorni prima. Successivamente, il 31 agosto, gli ennesimi scontri armati tra soldati di Baku e Jerevan, nel caldo teatro del Nagorno-Karabakh. La regione, contesa nell'omonima guerra tra il 1987 ed il 1994, dopo avere ottenuto con le armi l'indipendenza dall'Azerbajdzhan, e si è dichiarata repubblica autonoma. Una situazione, tuttavia, mai risolta: in pochi hanno riconosciuto lo status della neonata realtà geopolitica, costantemente rivendicata, nelle parole e nei fatti, dai due Paesi contendenti.

L'inquilino del Cremlino, che si è sempre presentato come arbitro della discordia, ha ascoltato Alijev, registrato le sue ragioni, ed invitato a riaprire il dialogo con Jerevan. Il tutto, nonostante poche settimane fa lo stesso Medvedev abbia ratificato con l'Armenia un accordo che prolunga la permanenza dell'esercito russo nel Paese fino al 2044. Una decisione accolta con preoccupazione da Baku, timorosa di un possibile inserimento di Mosca in aiuto del suo storico alleato.

Ma non solo armi. Il casco blu della regione - che Mosca ritiene propria sfera di influenza - ha sollevato anche questioni di diversa natura. Dapprima, economico-agricole, con un generico piano di collaborazione internazionale nel bacino del Caspio, per sfruttarne le risorse idriche. In seguito, secondo indiscrezioni, energetiche. Difatti, i due avrebbero raggiunto un accordo che garantisce a Gazprom - il monopolista russo del gas - l'esclusiva sullo sfruttmanto dei giacimenti azeri.

Un colpo grosso. Che, da un lato, rafforza la presenza di Mosca nell'area, e ne certifica il monopolio nell'esportazione di oro blu all'Europa. Dall'altro, sottrae Baku dalla lista dei Paesi sostenitori del Nabucco: gasdotto, di progettazione euroamericana, che trasportando oro blu centroasiatico nel Vecchio Continente aggirando il territorio russo, ha lo scopo di allentare la dipendenza UE dal Cremlino. Il quale, come noto, spesso si avvale dell'arma energetica per mutare in proprio favore gli equilibri geopolitici.

Sulle reali intenzioni di Medvedev sono in pochi tra gli esperti azeri ad avere dubbi. Il politologo Rasim Musabajov ha sottolineato come la visita del presidente russo, inizialmente prevista per la fine del mese, sia stata anticipata di diversi giorni. Casualmente, alla vigilia dell'incontro tra Alijev ed il presidente USA. Un messaggio ben chiaro, affinché Obama, già poco determinato nei confronti della Russia, non interferisca negli interessi di Mosca nell'area, ed eviti ogni stretta relazione con Baku.

Più chiaro l'ex consigliere del presidente per la politica estera, Vafa Guluzala. "Credo - ha dichiarato a Radio Liberty - che dietro ai recenti episodi nel Nagorno-Karabakh ci sia il ministero della difesa russo. E' per suo preciso ordine che gli armeni hanno di nuovo aperto le ostilità. E' possibile, che lo abbia fatto per esercitare pressione sulla parte azera. Costringendola, in cambio dell'ennesima tregua, ad accettare i missili del Cremlino a Jerevan, e a soddisfare le richieste energetiche di Mosca".

Matteo Cazzulani

sabato 4 settembre 2010

LAVROV A VARSAVIA RIAVVIVA IL DIALOGO RUSSO-POLACCO


Il ministro degli esteri russo incontra Sikorski e diplomatici polacchi. "Basta contrasti, collaboriamo e miglioriamo le nostre economie". Contrariata l'opposizione: "Varsavia torni alla sua storica vocazione, più Minsk e Kyiv, meno Mosca".

L'ennesima riconciliazione, con lo sguardo al 2011. Nella giornata di giovedi, 3 settembre, a Varsavia ha avuto luogo un incontro tra i ministri degli esteri polacco, Radoslaw Sikorski, e russo, Sergej Lavrov, invitato d'eccezione alla riunione annuale dei diplomatici di tutto il Paese. Scopo del forum, la preparazione al secondo semestre 2011. Quando la Polonia, per la prima volta nella sua storia, deterrà la presidenza di turno UE. Un'occasione che Varsavia intende consacrare al miglioramento delle relazioni con Mosca, dopo anni di incomprensioni e contrasti, provocati da ragioni storiche ed energetiche.

Una ventata di tale concordia la si è potuta respirare al meeting tra Lavrov e Sikorski. I quali, in una nota congiunta, hanno dichiarato la necessità di migliorare i rapporti tra i due Paesi, sull'onda di quanto avvenuto negli ultimi mesi. Complici, i rinnovati accordi sul gas, e la cooperazione per chiarire la dinamica della tragedia di Smolensk: l'incidente aereo in cui, il 10 aprile scorso, hanno perso la vita il presidente, Lech Kaczynski, e le altre maggiori cariche dello Stato. Inoltre, i due hanno parlato di concreti progetti comuni per il futuro, quali modernizzazione delle economie, nuove infrastrutture energetiche, ed impegno comune per chiudere, in definitiva, le ferite del passato. In primis, la strage di Katyn - in cui, nel 1940, l'NKVD sterminò il fiore della intellighenzia polacca, rea di essere il meglio di un Paese che, secondo i piani di Stalin, avrebbe dovuto essere sottomesso all'URSS.

Nel corso della conferenza stampa, Lavrov ha spiegato di rapportarsi con Varsavia non solo per dialogare con essa, bensì per interagire con tutta l'Unione Europea, con cui il Cremlino ha pieno interesse ad instaurare serene relazioni. Per questa ragione, ha espresso piena soddisfazione per il nuovo corso della politica estera di Polonia e Repubblica Ceca, meno aggressive nei confronti di Mosca, e maggiormente consapevoli delle loro responsabilità in seno all'UE. Secondo il capo della diplomazia del Cremlino, i due Paesi - pronti, solo qualche anno fa, ad accogliere gli elementi dello scudo spaziale USA per difendersi da possibili aggressioni russe - avrebbero compreso che litigare con Mosca è controproducente.

"Le nostre relazioni - ha evidenziato - sono notevolente migliorate. Credo che la motivazione non sia legata solo alla tragedia di Smolensk, ma ad un vero e proprio riavvicinamento tra i nostri due popoli, ed alla reciproca volontà di normalizzare le relazioni, ed installare un sereno vicinato".

A sua volta, Sikorski ha accennato alla semplificazione del regime dei visti tra UE e l'enclave russa di Kaliningrad. Un progetto che, malgrado le preoccupazioni della vicina Lituania, Varsavia considera come un proprio obiettivo, da raggiungere ad ogni costo. Inoltre, il capo della diplomazia polacca ha spiegato di voler passare dalle armi ai danari, demilitarizzando i rapporti con la Federazione Russa, ed evolvendoli sul piano economico. A riguardo, di estrema importanza sarà la visita del presidente russo, Dmitrij Medvedev, prevista a breve.

"Gli ucraini - ha aggiunto Sikorski - hanno ottenuto una semplificazione del regime dei visti. Non vedo - ha continuato - come simile iniziativa non possa non essere estesa anche a Kaliningrad. Di questo, si occuperanno i due Capi di Stato. Personalmente. Raggiungeremo un accordo, che sancirà la rinnovata concordia tra le parti. La stessa - ha concluso - che, oggi, si è avvertita nel corso della lezione di Lavrov ai nostri diplomatici".

Il docente del Cremlino, tuttavia, non è piaciuto all'opposizione. L'eurodeputato del partito conservatore "Diritto e Giustizia", Ryszard Czarnecki, ha sottolineato come il reale miglioramento dei rapporti bilaterali non ci sia affatto. Altresì, ha spiegato che Mosca si serve di Varsavia solo in occasioni di facciata, preferendo Berlino come interlocutore per argomenti di maggiore rilevanza economica ed energetica. In seguito, l'esponente del principale partito di opposizione ha criticato Sikorski, spiegando che la presenza di un ministro degli esteri straniero alla riunione annuale dei diplomatici della Repubblica di Polonia, per giunta in veste di insegnante, è un fatto inaudito, contrario al bon ton ed al regolamento.

Per Czarnecki, ciò sarebbe naturale conseguenza del nuovo corso della politica estera polacca, notevolvemte mutata da quando il Paese è governato unicamente dal partito liberale "Piattaforma Civica", troppo timoroso sulle questioni di politica estera. Secondo l'Europarlamentare, la Polonia dovrebbe tornare ad essere attiva nei confronti dell'integrazione nell'UE di Bielorussia ed Ucraina. Un ruolo storico, che il presidente, Bronislaw Komorowski, ed il primo ministro, Donald Tusk, sembrano avere rinnegato.

Nel merito della presenza di Lavrov alla riunione dei diplomatici è entrato anche il vice presidente della commissione esteri, Karol Karski, che ha commentato come inammissibile il comportamento dell'esponente del Cremlino.

"Nihil novi - ha dichiarato l'esponente di Diritto e Giustizia - Lavrov non ha aggiunto alcunché al dialogo tra Varsavia e Mosca. Al contrario - ha continuato Karski - letteralmente, ha dettato istruzioni ai nostri diplomatici. Non possiamo accettare tale comportamento. A tenere lezioni - ha continuato - possono essere esponenti di altri Paesi UE, o della NATO. Non il capo della diplomazia di un Paese che, fino a pochi giorni fa, ci ha costantemente minacciati e contrastati".

Matteo Cazzulani