Attenzione / Attention / Uwaga / Увага

E' USCITO IL MIO LIBRO "LA DEMOCRAZIA ARANCIONE. STORIA DELL'UCRAINA DALL'INDIPENDENZA ALLE PRESIDENZIALI 2010", LIBRIBIANCHI EDITORE. Parte dei proventi finanzia l'Associazione AnnaViva.

venerdì 28 agosto 2009

LA VERA CINA CHE SI AVVICINA

Opportunità per futuro, tecnologia, commercio e turismo. Così il Celeste Impero che fu viene presentato dalla maggior parte delle cancellerie e dei media occidentali. In realtà, si tratta di una delle ultime dittature comuniste del pianeta che copia le nostre innovazioni, reprime ogni forma di dissenso interno – ed anche esterno – e si fa beffe degli accordi internazionali.

Cina: repubblica popolare di 9.575.388 chilometri quadrati abitata da circa 2 miliardi di persone, di cui 24 mila addensate negli agglomerati urbani delle due maggiori città, Pechino e Shanghai. Se a questa descrizione geografica si aggiunge la presenza di siti culturali di notevole importanza turistica ed archeologica (come la Grande Muraglia ed il Monastero Sospeso nei pressi di Datong) e di una cucina apprezzata in tutto il mondo, è comprensibile come questo Paese possa attirare l’attenzione non solo di un qualsiasi viaggiatore – magari un poco distratto – in cerca di destinazioni esotiche per le proprie vacanze, ma anche di più attenti industriali, imprenditori ed affaristi in cerca di profitti e di nuovi mercati.
Inoltre, se si considera la straordinaria crescita economica dell’ex Celeste Impero, dovuta all’investimento del surplus del mercato interno nell’acquisto di fonti di energia e di materie prime in Asia ed Africa e nell’acquisto di pesanti quote di grandi imprese in Europa, si capisce come Pechino – titolare di un seggio permanente alle Nazioni Unite e novella protagonista della corsa allo spazio – sia già una potenza mondiale con la quale ogni Stato deve giocoforza fare i conti in ambito internazionale.

Tuttavia, tale descrizione idilliaca stride non di poco con la effettiva realtà del Paese, documentabile se in Cina ci si reca per una decina di giorni e si presta attenzione non solo alle mete turistiche di grande richiamo, ma anche alla quotidianità e agli usi ivi in voga.
Tralasciando lo sgradevole odore (un misto tra carne fritta andata a male e rifiuti organici) che si può assaporare durante i primi giorni di soggiorno presso un albergo ubicato nel mezzo degli hutong (tipiche stradine spesso non asfaltate) della capitale e l’abitudine degli autoctoni a sputare pubblicamente – solo uno stolto non capirebbe che sono tratti tipici di ogni cultura, pertanto non assumibili come dato per valutare il grado di maturità di una civiltà – subito si è colpiti dalla straordinaria densità della popolazione, perlopiù riversata nelle (per noi europei) enormi strade con mezzi di ogni genere: da automobili di bassa lega e motocicli elettrici a biciclette con annesso carrettino stracolmo di merce e di generi alimentari.
Percorrendo tragitti non turistici impressiona poi la folta presenza di toilette pubbliche – necessarie quando nella propria abitazione non si possiede il bagno – e di abitazioni in rovina che si affacciano su marciapiedi sporchi a causa degli ammassi di spazzatura (altro che il caso Napoli). Per strada spesso si è fermati da povera gente intenzionata a vendere qualsiasi tipo di merce pur di guadagnare qualche soldo da un “ricco” occidentale; simile scena si ripete nei numerosissimi centri commerciali di Pechino, dove venditori letteralmente assatanati assalgono ogni turista per rifilargli prodotti chiaramente contraffatti anche a prezzi notevolmente ribassati rispetto alla proposta iniziale – in Cina la contrattazione è un abitudine.
Subito ci si chiede come ciò sia possibile in un Paese comunista che in quanto tale distribuisce i beni “a ciascuno secondo i propri bisogni”.

La contraffazione, appunto. E’ proprio questo il punto di maggiore forza della Cina che cresce e che si impone nell’economia mondiale. A dispetto di quanto si possa immaginare – specie se si considera la grandissima abilità degli astronomi del Celeste Impero – i cinesi sono un popolo poco incline all’invenzione, handicap colmato con l’estrema abilità nel copiare ogni sorta di prodotto fabbricato da quelle popolazioni più evolute nel settore come noi occidentali. Ciò non riguarda soltanto l’ambito del vestiario – peraltro nei centri commerciali si trovano perlopiù goffe imitazioni di capi firmati – ma anche e soprattutto quello tecnologico. Significativa è stata la conversazione avuta con un giovane studente a Shanghai, il quale mi ha presentato il treno superveloce che conduce i passeggeri dall’aeroporto alla metropolitana ad altissima velocità sospeso sulle rotaie come “una pietra miliare dell’industria del Paese di tecnologia tedesca ma di produzione cinese”. In sostanza, copiata dall’industria teutonica.
Furbi loro ad imitare ciò che gli altri concepiscono. Ed altrettanto meschini nel rivendere il medesimo prodotto a prezzi inferiori grazie al basso costo di una manodopera costituita da lavoratori letteralmente schiavizzati e sottopagati, a cui le più elementari garanzie sindacali non sono affatto garantite. Ancora una volta, ci si chiede come questo sia possibile in un Paese comunista.

Volgendo all’ambito politico, molto altresì può essere compreso dalla sola visita delle mete turistiche della capitale, ad esempio la celebre Piazza Tian’ An Men. Comprendere l’estensione della piazza e l’atmosfera che in essa si respira è semplice se già si è stati a Mosca, poiché si tratta di una Krasnaja Ploščad’ (Piazza Rossa) un poco più corta e molto più afosa: ovunque sono presenti uomini delle forze dell’ordine in rigido stato di guardia, appostati in vari punti in squadre di mai meno di due unità; la simbologia del potere comunista è celebrata dal ritratto di Mao Zedong sul lato sud e dalle numerose bandiere rosse issate qua e la nei pressi del mausoleo del sopra citato autore della rivoluzione popolare (diversamente, in Russia il nuovo regime putiniano ha rimpiazzato i vessilli dell’URSS con l’aquila bicipite di eredità zarista. Cambia l’apparenza ma non la sostanza). Se si vuole visitare la piazza al suo interno, occorre superare una accurata perquisizione con tanto di controllo al metaldetector dei propri zaini e borse. Capita anche qui di incontrare qualche coraggioso mendicante, subito allontanato in malo modo dalla polizia: la povertà – ergo la reale condizione della Repubblica Popolare cinese – non va mostrata in pubblico, specie laddove si celebra la “grande” Cina e dove i “ricchi” occidentali possono osservare. E, magari, documentare e riflettere.
Nella Città Proibita, la miriade di turisti può sostare per qualche minuto presso l’ingresso principale intrattenuta da esercitazioni militari dell’esercito cinese presso i campetti da pallacanestro all’interno del sito turistico – si, avete letto bene: all’interno della Città Proibita ci sono dei campi da basket! –. Da non perdere, se si ha un po’ di tempo, l’alzabandiera della durata di trenta minuti circa.
Anche in siti turistici meno affollati il regime non lesina a dare mostra della sua “grandezza”. Nel mezzo del semicentrale parco Ri Tan si può assistere alle medesime parate militari di cui sopra senza il fastidio di essere spintonati da cinesi ansiosi di immortalare il proprio “grande” esercito e di applaudire alla loro abilità, rigorosamente armati di bandierina della Cina comunista precedentemente acquistata da un bagarino.
La situazione non cambia a Shangai. Nel centralissimo museo cittadino in Piazza Renim (Piazza del Popolo) l’entrata è gratuita. Fattore degno di plauso se solo lo spettacolo offerto non fosse l’ennesima celebrazione della “grandezza” della Cina Popolare, questa volta nelle arti e nella cultura. Le “culture delle minoranze nazionali” abilmente sono relegate in una stanzetta al terzo – ed ultimo – piano dell’edificio, casualmente chiusa da mesi per imprecisati lavori di manutenzione. Così, lo studente cinese in visita al più importante museo di arte del suo Paese può uscire con la consapevolezza che in Cina non esiste né una cultura uigura, né un popolo tibetano, né la presenza di altre religioni come Islam, ebraismo e cristianesimo al di fuori del buddismo, dell’induismo e del confucianesimo. E, ovviamente, dell’ateismo di Stato, imposto dal regime comunista.

A proposito dei musei, ecco la questione che più di tutte esemplifica l’atteggiamento cinese nei confronti della comunità internazionale. In tutto il mondo, presso i siti turistici, i musei, le biblioteche, quando non persino nelle biglietterie ferroviarie (come nella Polonia tanto criticata da molti tra i benpensanti nostrani) è riconosciuta la ISIC (International Student Identity Card), un documento UNESCO che permette ad ogni studente universitario del mondo un sensibile – e giusto – sconto. Ebbene, in Cina tale certificazione non viene riconosciuta; altresì è ammesso solo il biglietto studentesco cinese. E quando alla cassa si fa presente che l’ISIC è un documento rilasciato dall’ONU, in cui Pechino è membro permanente e si permette di porre veti su questioni di vitale importanza per il nostro pianeta – spesso concordi con gli amichetti russi – raramente si riesce a vedere riconosciuto il proprio diritto allo sconto. E’ davvero sconcertante constatare come la Cina si rifiuti di rispettare patti siglati a livello internazionale. Ed è ancor più fastidioso registrare come altri accordi siglati nel medesimo ambito – l’ONU – vengano pretesi, quando non imposti alla comunità internazionale da tali personaggi. Se in queste piccole situazioni Pechino si atteggia in questa maniera, facilmente è immaginabile quanta considerazione abbia del diritto e delle convenzioni internazionali.

Infine, due righe sulla libertà di espressione. Scontato registrare l’assenza di voci libere ed indipendenti non allineate col regime comunista sia sulla carta stampata che nelle televisioni locali, dove (come in Russia del resto) i quotidiani ed i telegiornali consacrano larghissimo spazio alla propaganda del governo, illustrando quanto di buono attuato giornalmente dalla Repubblica Popolare.
Tuttavia, oltre alle voci interne al Paese sono zittite anche quelle straniere. Social network come Twitter, Facebook e YouTube sono censurati, ed ad essi è davvero impossibile accedere. Persino i blog privati sono oscurati, così come alcuni siti di informazione come Radio Free Europe e Reuters. Solo Google funziona senza problemi, avendo accettato controlli e restrizioni imposti da Pechino. Dinnanzi a tale isolamento, comunicare con il mondo è proibitivo. E così, solo una volta tornati in occidente si ha la possibilità di raccontare quanto accade laggiù e che cos’è veramente la Repubblica Popolare cinese.

Si tratta di uno Stato autocratico che guadagna prestigio e potenza in campo economico e politico anno dopo anno. Una dittatura comunista, che malgrado il suo spiccato attivismo sulla scena del capitalismo mondiale, così come l’URSS di ieri – e la Federazione Russa di oggi – reprime i dissidenti, annichilisce i giornalisti ed onora gli accordi internazionali soltanto quando sono per essa vantaggiosi. Uno Stato socialmente lacerato da una ristretta nomenklatura di regime che possiede tutte le ricchezze, e da una massa di poveri, tenuta nell’ignoranza, nella povertà e in disperate condizioni igieniche.

Personalmente, come presidente di AnnaViva mi batto nel quotidiano per lo sviluppo della democrazia e per il rispetto dei diritti umani nel mondo ex-sovietico, soprattutto nel Caucaso e nella Russia di Putin, dove dissidenti e giornalisti indipendenti sono quotidianamente vittime di vessazioni e violenze di ogni genere. E’ una battaglia di civiltà, che riguarda la libertà di popoli a me cari dalla grandissima tradizione letteraria e culturale,.
Tuttavia, visitata la Cina sono ancora più consapevole che questo mio impegno ha un valore globale. E che sta all’Occidente – Unione Europea e Stati Uniti – difendere questi valori fondanti della dignità umana. Magari, con la creazione di una Lega delle Democrazie che per mezzo dialogo e della nonviolenza possa nel più breve tempo possibile garantire ad ogni cittadino di ogni Paese del pianeta dignità, benessere e libertà.
Matteo Cazzulani

Nessun commento:

Posta un commento