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lunedì 6 settembre 2010

MOLDOVA, FALLISCE IL REFERENDUM. CHISINAU RESTA UNA REPUBBLICA PARLAMENTARE.


Al referendum per la modifica dell'articolo 78 della Costituzione vota solo il 30%. Nessuna elezione diretta del presidente, come proposto dalle forze della coalizione di governo per superare la crisi politica. Venti di guerra in seno al campo democratico. Esultano i comunisti, favorevoli all'astensione.

Una vittoria politica dei comunisti, ottenuta con l'arma democraticamente più fastidiosa: l'astensione. Questo, in sintesi, quanto accaduto in Moldova, Domenica, 5 settembre, in occasione del referendum nazionale indetto per introdurre l'elezione diretta del Capo dello Stato, e trasformare il Paese in una repubblica presidenziale. Il quorum necessario, il 33,3% degli aventi diritto, non è stato raggiunto. L'affluenza si è arrestata al 30%.

Un'occasione sprecata, dal momento in cui il refendum poteva risolvere una situazione politica di instabilità, proprio con il più democratico degli strumenti. Una spiegazione, ribadita per tutta la campagna elettorale dai partiti della coalizione di governo "Alleanza per l'Integrazione Europea" - il Partito LiberalDemocratico di Moldova, PLDM, il Partito Democratico di Moldova, PDM, il Partito Liberale, PL, e l'Alleanza "Moldova Noastra" - che, a quanto pare, non ha convinto i moldavi. Forse, come rilevato da diversi analisti, anche a causa della litigiosità tra gli esponenti della maggioranza, che hanno preferito spendere tutte le energie sulla ricerca del candidato da presentare alle presidenziali, già fissate, prima ancora di Domenica, per novembre.

Un'autogol, per cui esultano solo i comunisti, che hanno invitato i moldavi a boicottare una consultazione elettorale bollata come inutile e pretesto per indire nuove elezioni. Soddisfazione è stata espressa dal leader, l'ex presidente, Vladimir Voronin, e da diversi membri del partito. Jurije Muntjan ha parlato di fallimento del tentativo di usurpare il potere da parte della maggioranza, mentre una sua collega, la deputata, Maria Postojko, si è felicitata per il mancato raggiungimento del quorum in quello che ha definito uno show antidemocratico.

Eppure, questo show antidemocratico era davvero necessario. Infatti, la coalizione di governo ha proposto il ripristino dell'elezione diretta della Prima Carica dello Stato - in vigore fino al 2000 - dopo che per due volte in un anno e mezzo il parlamento non è riuscito ad scegliere il presidente. In merito, chiaro è stato lo speaker del parlamento, Mihai Ghimpu, leader del Partito Liberale e, sopratutto, Capo dello Stato ad interim, fino alla risoluzione della crisi.

"I moldavi - ha dichiarato alla vigilia del referendum - hanno il diritto di andare alle urne, e votare sì al refendum. Occorre riappropriarsi di quel diritto, democratico, di eleggere direttamente il presidente che si vuole, toltoci dai comunisti nel 2000. Qualora il quorum non fosse raggiunto, la crisi politica continuerà".

Alla base dello stallo politico, l'estrema frammentarietà dell'"Alleanza per l'Intergrazione Europea", al potere dalla primavera del 2009. Allora, dopo le ennesime elezioni falsate dai comunisti, proteste nonviolente sotto il palazzo presidenziale dei democratici moldavi - altrimenti note cone Rivoluzione Twitter - portarono alle dimissioni di Voronin, al tempo Capo di Stato. L'ultima rivoluzione colorata nell'Europa centro-orientale, con cui i democratici moldavi - pacificamente armati di bandiere nazionali, romene e dell'Unione Europea - in nome della Democrazia, delle libertà, e dell'integrazione con l'Occidente rovesciarono l'ennesima autocrazia di eredità sovietica.

Ciò nonostante, la maggior parte della responsabilità della dell'empasse, che ingessa il Paese, ricade proprio sui comunisti. Essi, seppure all'opposizione, sono il gruppo parlamentare con più deputati, 48 su 101. Facile, per loro, dapprima restare compatti, ed aprofittare delle divisioni interne alla maggioranza su ogni questione. E, successivamente, sfruttare la crescente sfiducia dei moldavi nella politica, per boicottare un referendum osteggiato persino in sede internazionale, con la vana presentazione di un ricorso presso la Commissione Europea.

In molti tra gli esperti hanno sottolineato come la condotta dei comunisti sia dettata anche dal fatto di trovarsi senza un leader: a Voronin, per due volte Capo dello Stato, la legge vieta di correre per un terzo mandato. Preso dalla carica ricoperta, l'ex Capo dello Stato non è stato in grado di individuare, ed allevare, un suo erede. Ed oggi, i comunisti si trovano con tanti colonnelli, ma nessuna figura di riferimento.

Leader che, invece, abbondano nel campo della maggioranza democratica. E che, fallito il referendum, già affilano i coltelli in vista delle prossime parlamentari. Sulla loro data, ancora nessuna uficialità. Ma in molti sostengono che una soluzione dello scontro intestino alla coalizione di governo sia questione di poco tempo. A contendersi la leadership dell'"Alleanza per l'Integrazione Europea", l'attuale premier, il leader del Partito Liberal-Democratico, Vlad Filat, ed il capo del Partito Democratico, Marian Lupu. Il primo, impegnato nella rincorsa dei voti di centro, sostenitore dell'integrazione con NATO ed UE, e, con una consolidata partnership con l'ALDE, già ben integrato nelle strutture partitiche del Vecchio Continente. Il secondo, invece, inserito nell'internazionale socialista, e maggiormente attento alle buone relazioni con Mosca. Complice, la collaborazione con "Russia Unita", la forza politica del primo ministro russo, Vladimir Putin.

Ad essi, si aggiungono il già citato Mihai Ghimpu, ed il presidente di "Moldova Noastra", Serafim Urechean. Un raggruppamento di personalità, alleate e concorrenti, che, se da una lato certifica il progresso del sistema partitico moldavo, dall'altro ricorda Paesi similmente liberatisi da autocrazie post-sovietiche, come l'Ucraina. Resta la speranza che, diversamente da Kyiv, tale competizione non prevalga sull'interesse della nazione. E, in nome di personalismi ed invidie, non porti lo schieramento democratico a rompersi, ed a sacrificare la legittima volontà del popolo moldavo, per cui esso è oggi al potere: l'ingresso nell'Unione Europea, dopo anni di sofferenze, e sottomissione al Cremlino.

Matteo Cazzulani

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