Attenzione / Attention / Uwaga / Увага

E' USCITO IL MIO LIBRO "LA DEMOCRAZIA ARANCIONE. STORIA DELL'UCRAINA DALL'INDIPENDENZA ALLE PRESIDENZIALI 2010", LIBRIBIANCHI EDITORE. Parte dei proventi finanzia l'Associazione AnnaViva.

martedì 12 gennaio 2010

UCRAINA: VIVACE L’ULTIMA SETTIMANA DI CAMPAGNA ELETTORALE

L’assenza del leader filorusso ad un dibattito televisivo, il gas russo e una campagna antisemita contro il più giovane dei candidati hanno ravvivato la contesa politica che vedrà Domenica 17 gennaio il suo primo atto.

Come previsto, la campagna elettorale ucraina è uscita dal torpore nella quale finora è rimasta ed ha regalato gli ultimi clamori prima delle votazioni di Domenica.

Innanzitutto, ad alzare il livello dello scontro è stato il candidato filorusso Janukovyč il quale, dato per favorito da tutti i sondaggi, non si è presentato ad un dibattito televisivo a cui era invitata anche la principale rivale ed attuale premier Julia Tymošenko.
Lo sgarbo non è piaciuto a Lady Ju, che in una lettera aperta ha accusato lo sfidante di “non essere pronto a discutere né a rispondere a nessuna domanda” circa la cattiva gestione delle finanze del Paese durante il suo doppio premierato [dal 21 novembre 2002 al 5 gennaio 2005 e dal 4 agosto 2006 al 18 dicembre 2007, n.d.a.] ed altre questioni particolarmente spinose. “Viktor Fedorovyč teme a tal punto il dibattito con me che la sua rinuncia alla partecipazione è stata data da una terza persona” continua testualmente la Tymošenko, “a tutti è chiaro che Viktor Janukovyč teme di parlare del suo passato e non sa cosa dire riguardo al futuro. Viktor Janukovyč non ha né un programma, né un piano per lo sviluppo del Paese. In poche parole, è un re completamente nudo”. La leader del partito Bat’kivščyna (Patria) di orientamento liberal-patriottico ha sottolineato anche che “la partecipazione ai dibattiti televisivi di un politico candidato alla presidenza è una norma in tutti i paesi civili e democratici” nonché un obbligo morale, seppur non sancito ex lege. Alla luce di tutto ciò, la Tymošenko trae le dovute conclusioni: “qualora Lei [Janukovyč, n.d.a.] ritenesse che il suo intelletto e la sua capacità politica non le permettono di prendere parte ai dibattiti televisivi, allora dovrebbe ammettere di non essere nemmeno in grado di capeggiare un Paese, amministrarlo e rappresentarlo degnamente nel mondo”.

Roba forte insomma, che alza i toni dello scontro. Ma ad aumentare la temperatura della campagna elettorale – e delle case degli ucraini – è stato anche l’ennesimo capitolo sulla questione del gas, vera e propria arma politica con cui Mosca negli ultimi anni ha cercato di influenzare le questioni interne ucraine.
In gravissima crisi finanziaria, il monopolista ucraino Naftohaz entro il 7 gennaio 2010 doveva versare al colosso russo Gazprom 892 milioni di dollari per le forniture del mese di dicembre 2009; ottenuto uno slittamento di quattro giorni, Kyiv è riuscita a recuperare il danaro necessario e lo scorso 6 gennaio ha estinto il debito mensile. A risolvere la situazione, l’attuale presidente Viktor Juščenko, il quale ha fatto pressione sulla Banca Centrale Ucraina affinché anticipasse il danaro necessario al pagamento della rata, dopo che la precedente per il mese di novembre era stata onorata grazie all’intervento del Fondo Monetario Internazionale.
Oltre a Juščenko, merito per la risoluzione del problema va dato anche a Julia Tymošenko, che lo scorso novembre ha rinnovato il contratto con Gazprom, riuscendo ad ottenere l’eliminazione dell’onerosa clausola “prendi o paga” in virtù della quale Kyiv era costretta ad importare – e pagare – una quantità di “oro blu” superiore al suo reale fabbisogno; inoltre, Mosca ha ritirato presso la Corte di Arbitrato di Stoccolma l’accusa all’Ucraina di aver provocato la crisi del gas del gennaio 2009.
Kyiv continuerà comunque a pagare un prezzo molto salato per il gas russo, ma Lady Ju dopo anni è riuscita a garantire agli ucraini un mese di gennaio al caldo. Per giunta in pieno periodo elettorale.

Purtroppo, duole chiudere con un fatto increscioso che testimonia come l’antisemitismo sia ancora una piaga diffusa ovunque nel mondo. Voci sulle origini ebraiche di Arsenij Jacenjuk, il più giovane tra i candidati, si sono fatte sempre più insistenti: dalla fine di ottobre su internet è comparso un elenco non ufficiale dei 50 ebrei ucraini più influenti nel quale figurava proprio il suo nome; lo scorso novembre un certo Jurij Dubinski – presentatosi come leader della minoranza ebraica di Char’kiv (città dell’Ucraina orientale) – ha incoronato pubblicamente l’ex speaker del Parlamento “candidato di tutti gli ebrei”.
Nulla di male si direbbe. Peccato che dai giorni successivi il leader del Fronte del Cambiamento (così si chiama la sua forza politica) abbia subito un crollo vertiginoso nei sondaggi, passando dall’iniziale 19 all’attuale 6% dei consensi. E peccato che lo stesso Jacenjuk già in passato si sia sentito in dovere di negare in pubblico la propria provenienza ebraica, come quando al momento della nomina a speaker del Parlamento mostrò i documenti di nascita propri e dei suoi genitori. Oppure come quando nel novembre scorso dimostrò forte imbarazzo dinnanzi ad una lettera di dubbia autenticità furbescamente mostrata in televisione dall’esponente del Partito filorusso di Janukovyč Nestor Šufrič con cui la comunità ebraica del Paese si sarebbe ritenuta offesa dai tentativi del giovane Arsenij di nascondere le proprie origini.

La vergognosa questione Jacenjuk dimostra come la politica ucraina per certi versi debba percorrere ancora molta strada per definirsi pienamente matura e democratica. Malgrado dopo la rivoluzione arancione oggi a Kyiv si possa esprimere sostegno per l’uno o l’altro candidato ad una contesa elettorale, iscriversi ai partiti, fondare associazioni ed organizzare manifestazioni senza il timore di essere censurati o bloccati da un regime.

Matteo Cazzulani

Nessun commento:

Posta un commento