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E' USCITO IL MIO LIBRO "LA DEMOCRAZIA ARANCIONE. STORIA DELL'UCRAINA DALL'INDIPENDENZA ALLE PRESIDENZIALI 2010", LIBRIBIANCHI EDITORE. Parte dei proventi finanzia l'Associazione AnnaViva.

sabato 15 maggio 2010

IHNATPIL’ E MEDVEDIVIKA: L’UCRAINA DI FRONTIERA NEL CUORE DEL PAESE.



E’ una linea di confine ad unire Ihnatpil’ a Medvedivika, due località, molto differenti tra loro, situate rispettivamente nelle regioni di Zhytomir e Cherkasy. Pur trovandosi al centro dell’Ucraina, gli autoctoni di ambo i paesi si sentono abitanti di una terra di frontiera, baluardo dell’ucrainicità in tutte le sue sfaccettature.

A differenza della vicina Ovruch, Ihnatpil’ è un centro abitato decisamente più dinamico. Non è una lunga strada in stile sovietico a catalizzare tutte le attività , bensì la modesta scuola, adibita, a lezioni concluse, a centro di aggregazione. La popolazione, per lo più contadina, è decisamente più attiva, e tanto orgogliosa del proprio fiume al punto da presentarlo nella cerimonia di accoglienza come il fiore all’occhiello. Forse non a caso, la cucina locale offre piatti a base di pesce, e non solo carne di maiale come nei dintorni.

Pietanze e corsi d’acqua a parte, la vera differenza che distingue Ihnatpil’ dal circondario è meramente politica. Infatti, qui è dalla rivoluzione arancione che vincono i partiti dell’Opposizione Democratica, ed anche alle ultime presidenziali ad avere la meglio è stata Julija Tymoshenko. Una scelta che il paesino sta pagando caro: il governo Azarov, insediato dal presidente Janukovych a propria immagine e somiglianza con soli ministri della sua forza politica, il Partija Rehioniv, lo ha inserito tra gli enti locali a cui tagliare i sussidi per lo sviluppo, altresì confermati, quando non aumentati, al circondario, fedele al Capo dello Stato e ai suoi alleati comunisti.

“Julija Tymoshenko – spiega il sindaco, Pavlo Rafal’s’kyj – ci ha aiutato davvero molto. Solo un anno fa, ha consegnato di persona una nuova autoambulanza, con la quale soccorriamo anche i paesi vicini. Oltre a lei, nessun altro. A parte un gruppo di olandesi venuti in missione diplomatica l’anno passato. Ci hanno lasciato dei computer. Ma non i soldi per iniziare un corso di informatica, che nessun ente è interessato ad erogarci. Inoltre, nel budget 2010, il governo ha ridimensionato del 30% i finanziamenti che ci spettano. Così, non avremo nemmeno le risorse per smantellare la nostra industria petrolchimica, in disuso, come previsto da una delibera di quattro mesi fa. Né per pagare l’autista del mezzo di soccorso, che presto saremo costretti a tenere chiuso in garage. E’ una punizione politica, ne sono convinto. Il medesimo trattamento lo ha subito solo l’altro borgo del circondario di Ovruch dove ha vinto Julija”

Ciò nonostante, in questo Paese politicamente di frontiera c’è chi non si abbandona alla disperazione e si da da fare per avvicinare la comunità di Ihnatpil’ all’Occidente. Tat’jana Oleksejevna, responsabile ONU per la regione di Zhytomir, non è solamente la coordinatrice del locale comitato organizzatore della missione Eurobus, ma anche una paladina dell’ecologia e dell’attivismo sociale del centro abitato in cui è nata, ed il cui avvenire, assicura, è in cima alle sue priorità.

“Ogni anno organizziamo la giornata dell’ecologia. La prima Domenica di maggio, quando il tempo inizia ad essere clemente, puliamo ogni angolo del paesino, sindaco in testa. Mentre i bambini della scuola piantano cinque nuovi alberi. Inoltre, mantengo di persona contatti con alcune organizzazioni giovanili per inviare ogni anno un ragazzo a trascorrere una settimana in Europa. Non è molto, ma facciamo quello che possiamo”.

Dal patriottismo civico di Tat’jana Oleksejevna, a quello nazionale di Medvedivka. Anche il paesino della oblast’ di Cherkasy è disposto su un viale principale, su cui si trovano la chiesa, il negozio di abbigliamento, quello di alimentari, la posta ed il museo di storia. C’è anche la scuola, sulla cui facciata ancora permangono le effigi dell’epoca sovietica, che stridono con il vicino monumento a Maksim Zaliznjak, eroe nazionale ucraino del diciottesimo secolo, sotto il quale si svolge la cerimonia di benvenuto degli organizzatori, rigorosamente in abiti tradizionali e con tanto di intro musicale. I locali parlano in surzhyk, un dialetto molto stretto tra ucraino e russo, e non si dedicano solamente all’agricoltura. In molti lavorano nel capoluogo, una necessità che ha spinto alcuni ingegnosi medvedivchki a creare una piccola società di trasporti, ad oggi campione di efficienza con la sua flotta di cinque minibus.

Come illustra Lidija Ivanivna, corrispondente dalla regione per il Holos Ukrajini, il giornale ufficiale della Verhovna Rada, anche Medvedivka è una terra di frontiera. Pur trovandosi a pochi chilometri dal Dnipro, nel pieno centro del Paese, qui si sono combattute le principali battaglie per l’indipendenza dell’Ucraina: dai contrasti coi polacchi ai conflitti con l’impero russo, fino alla resistenza degli anni venti per difendere la Repubblica Popolare di Ucraina dall’aggressione comunista.

“Siamo orgogliosi della nostra cultura – sottolinea la collega – e ci teniamo a mostrarla. Medvedivka è il cuore dell’Ucraina: non c’è capitolo della nostra storia che non abbia interessato il nostro territorio. Ci sentiamo pienamente ucraini, e ne andiamo fieri. Il nostro motto è il medesimo dell’esercito del Holodnyj Jar [Canyon Freddo, com’ è ribattezzata la regione, per via della varietà di avvallamenti originati dalla caduta di un meteorite in epoca preistorica, n.d.a.] di resistenza all’avanzata dei comunisti: O la volontà dell’Ucraina, o la morte”.

Purtroppo, il calore sprigionato dall’energia dei medvedivchki è raffreddato dall’agghiacciante ombra del genocidio più sottaciuto dalla storiografia europea. L’Holodomor, la carestia provocata da Stalin negli anni ’30 per incamerare i beni dei kulaki ucraini ed eliminare ogni forma di ucrainicità nello stesso tempo, ha colpito forte. Anche qui.

A testimoniarlo è Ol’ha Petrivna, arzilla vecchietta di 87 anni, pronta a condividere la sua straordinaria biografia. Spiega come l’operazione di collettivizzazione forzata delle terre le ha portato via non solo i beni di famiglia, ma anche cinque dei sette fratelli. Solo l’astuzia del padre nel nascondere alcune provviste, e la determinazione della madre, le hanno consentito di sopravvivere alla Grande Fame, ai soprusi dei soldati russi e alle macabre scene di cannibalismo. Poi, il matrimonio, con Pavlo Antonovych. E la guerra, l’ennesima tragedia che la separa per sempre dal marito e la porta lontano anche dalla sua terra, a Breslavia, in un campo di lavoro tedesco. Infine, il ritorno a Medvedivka: una decisione sofferta, ma necessaria per crescere il figlio nella sua terra natia, come desiderato dal consorte disperso.

“La collettivizzazione è iniziata nel’22 – spiega la babushka, visibilmente commossa – i moscoviti [i russi, n.d.a.] ci hanno preso tutto: terre, cavalli, maiali. Persino la capra che ci dava il latte. La Grande Carestia è cominciata più tardi, nel ‘33. Non avevamo da mangiare se non quello che mio padre era riuscito a nascondere in casa. Una miseria. Presto siamo rimasti solo in due figli. Mia madre vendeva i suoi gioielli in cambio di patate e ortaggi. Il pane lo avevamo nascosto sotto terra. La carne, invece, non ci fidavamo a comprarla: girava voce che il cimitero fosse diventato un punto di ritrovo per tutti gli affamati, anche dai paesi vicini”.

Sulla causa dell’Holodomor, Ol’ha Petrivna non ha alcun dubbio nel classificarla come un’operazione mirata alla liquidazione del suo popolo. “Anche in altre zone dell’ex-URSS abitate da ucraini, a Rostov ad esempio, si sono verificate simili carestie. I comunisti russi hanno colpito il popolo ucraino, questa è la verità”.

Malgrado la tragicità del racconto, la testimone ottantasettenne di rado si abbandona all’emozione del pianto nel rimembrare i suoi trascorsi. Al contrario, spesso sorride, incoraggiata dall’interesse degli interlocutori. “Siete giovani e attenti. E le mie storie vi interessano. Sono sicura che la mia testimonianza non sarà dimenticata, e la memoria di quello che ho passato conservata”.

Matteo Cazzulani

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