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martedì 18 maggio 2010

SACHNOVSHCHYNA: TRA STABILITA E LIBERTA’ DI STAMPA



Qual è il prezzo della libertà di stampa? Questa è la domanda che sorge spontanea a Sachnovshchyna, durante l’ennesimo teatrino del Den’ Jevropy, nell’ennesima piazza Lenin, sotto l’ennesima statua del creatore dell’Unione Sovietica. Ma, oramai, dalla sorpresa si è passati al disgusto. Siamo in provincia di Kharkiv, l’ex capitale dell’Ucraina Sovietica, in un paesino di campagna che, tuttavia, nulla ha a che vedere con il tipico paesaggio agricolo.

A dominare a Sachnovshchyna è l’imponente panificio:un’enorme struttura, per un quarto di proprietà statale, per il resto compartecipato da un cartello di oligarchi locali e russi. Poi c’è la ferrovia, parallela alla quale si trova la via principale con i suoi negozi ed il mercato, ove simpatiche babushky vendono, e regalano, di tutto, dai libri – in russo ed ucraino – ai cappellini in tessuto di jeans con la bandiera ucraina. Da essa, una via parallela comunica con la piazza centrale, un immenso spazio di un chilometro quadrato dedicato a Lenin, la cui statua domina il lato principale. Sembra un esagerazione, ma in fondo non lo è se si tiene a mente che qui le autorità, ancora oggi, passano in rassegna le delegazioni delle fabbriche di tutto il circondario. Poi, ci sono altri due monumenti. Il primo, nel parco adiacente, ai caduti dell’armata rossa: un bassorilievo enorme con i volti dei militari ed una luccicante stella rossa. L’altro, nascosto nel lato opposto di piazza Lenin, alle vittime di Chernobyl: una piccola grotta, capeggiata da una croce ortodossa. Non lontano, inoltre, si trovano i due edifici nevralgici per la vita della cittadina. La SilRada, centro amministrativo, e la Casa della Cultura. Entrambi, in stile sovietico.

Anche qui, di contadini non ce ne sono. Le donne vendono prodotti al mercato, mentre gli uomini lavorano o nel grande panificio, la cui spiga di grano, impressa sulla facciata dell’edificio, è utilizzata anche come stemma del paesino, o nelle industrie metal meccaniche di Kharkiv. Il resto della manodopera è assorbito dall’amministrazione, che, suddivisa in tre organi con identiche competenze, svariati incarichi ed una miriade di vice capo, non è in grado di decidere nulla, ma, almeno, da impiego a un centinaio di persone. La popolazione è tiepidamente gentile ed ospitale, capisce e parla l’ucraino, e conduce uno stile di vita estremamente rigido ed ordinato.

A rappresentarli è il governatore, Volodymyr Volodymyrovych Bojuk, uomo di mezza età, amante della buona cucina e della horil’ka (vodka), che tiene a definirsi un sincero patriota pragmatico che lavora per il bene della sua gente e del suo territorio. Amico personale del presidente Janukovych, la cui foto, sempre in stile sovietico, campeggia d’obbligo in ogni locale della SilRada, ha contribuito a scrivere il programma del Partija Rehioniv per l’ultima campagna presidenziale che, assicura, così come le operazioni di voto, nella sua cittadina si è svolta regolarmente, senza brogli, né contestazioni alcune. Per il governatore, un altro valore fondamentale è l’ospitalità, soprattutto se consona al cerimoniale ufficiale. Lo dimostra con la ricca cena offerta all’equipaggio dell’Eurobus all’arrivo a Sachnovshchyna: portate di carne, varenyky, kolbasy e buterbrod, intervallate da brindisi introdotti da discorsi di non meno di tre minuti ciascuno. Anche sulla politica nazionale ha le idee chiare. Occorre adoperarsi per il bene della gente, dare lavoro a tutti e alzare le paghe sociali. Accanto a ciò, lo sviluppo della sua regione, un territorio che, a differenza delle regioni occidentali, produce, a suo dire, tutta la ricchezza del Paese.

“Siamo tutti patrioti – esordisce a tavola – e vogliamo il bene dell’Ucraina. Unita, ma sia chiaro: noi, qui, lavoriamo. Non come a ovest, dove non si produce nulla, e la popolazione emigra in Unione Europea per servire come camerieri e zappare la terra. Perché non farlo anche qui da noi? Janukovych è un amico intimo, una persona pragmatica. Sono favorevole all’Europa, perché abbiamo bisogno di progetti come il vostro e dei finanziamenti di Bruxelles. Le nostre industrie non sono in buono stato, bisogna aiutare i nostri grandi imprenditori ad assumere di più. Ma più Europa non significa voltare le spalle alla Russia, che si è sempre preoccupata del benessere di un popolo fratello come il nostro”.

Per dovere di cronaca, alla domanda sul come la permanenza dell’esercito di Mosca in territorio ucraino fino al 2042 e l’assorbimento da parte del Cremlino del sistema infrastrutturale energetico di Kyiv possano essere considerati come un atto di ausilio disinteressato da parte del fratello maggiore russo, il Borghezio locale non ha risposto. Sta di fatto che il buon amministratore locale di perplessità ne genera anche tra i suoi concittadini, obbligati a lavarsi, cucinare e lavare i piatti tassativamente entro le nove della sera, prima della chiusura notturna dell’acqua corrente.

“Volodymyr Volodymyrovych dice che non ci sono i soldi per garantire il funzionamento dell’acquedotto per l’intera giornata – spiega Petro Mykolajovych, abitante di Sachnovshchyna – eppure di tasse ne paghiamo, sia allo Stato che all’amministrazione locale. Il hubernator [governatore, n.d.a.] si limita ad occupare la carica che gli hanno assegnato, e nulla di più. Niente per il bene della gente, né per il territorio”.

A conferma, la testimonianza di Ludmila Serhijivna, tanto orgogliosa del suo nipote quanto arrabbiata con la SilRada. In lingua russa, illustra tutto il suo scetticismo nei confronti delle promesse del hubernator, e dell’attuale governo, circa l’innalzamento delle paghe sociali, ed esprime la sua nostalgia per l’epoca sovietica, quando le paghe erano garantite e le entrate, sicure, permettevano un modesto stile di vita. E non importa se di libertà non ce n’era. Caduto il comunismo, l’economia ha sempre vacillato, e chi ne ha risentito sono state le persone che, come lei, operaia prima e pensionata poi, percepiscono una retribuzione a reddito fisso.

“Ma quali aiuti, sono solo promesse. Le stesse che sento da ogni governo. Prima, soprattutto sotto Brezhnev, prendevo abbastanza per comprarmi cipolle e pomodori ogni giorno. Oggi me li posso permettere solo una volta al mese. Andrij [il nipote, n.d.a.] non trova lavoro, e per questo si allena nella squadra di calcio del Paese. E’ un campione, ma non ha un impiego. Volodymyr Volodymyrovych non mantiene alcunché, si limita a vendere le industrie del luogo ai suoi amici e a indire appalti per la gestione delle terre. E’ un pessimo amministratore”.

Dinnanzi a tale scontento ci si aspetterebbe una reazione della popolazione, per lo meno a livello elettorale. Invece no. Il Partija Rehioniv, forza politica di Janukovych, e del governatore, vince con percentuali bulgare ad ogni votazione. Il perché lo spiega Viktor Volodymyrovych Sydorenko, responsabile locale della missione Eurobus, che sottolinea come malgrado ci possa essere tutto il malcontento possibile nei confronti delle attuali autorità locali e statali, la gente voglia solo stabilità, senza lanciarsi in avventurosi cambiamenti.

“Stabilità. E’ questa la parola chiave per comprendere come la gente vota qui – argomenta, mentre, sconsolato, mostra al sottoscritto e al collega della radio polacca quello che sarebbe dovuto diventare il campetto polisportivo di Sachnovshchyna: una distesa d’erba. Deserta, dal momento in cui l’amministrazione locale si è rifiutata di concedere fondi – hanno tutti paura del cambiamento, una pigrizia politica ereditata dall’Unione Sovietica, che qui è sentita con molta nostalgia. Nessuno, diversamente che nelle regioni occidentali, è sensibile alle questioni nazionali. Anche perché qui la popolazione è di origine russa, spostata a forza da Stalin per rimpiazzare i locali, esiliati in Siberia, nell’ambito dell’operazione di russificazione dell’Ucraina degli anni trenta”.

A quanto risulta, una cambiamento politico è poco probabile. Salvo, mediante il realizzarsi di una rivoluzione generazionale, puntando sull’interesse verso l’Europa dimostrato dai, pochi, giovani accorsi al Den’ Jevropy. Ma, fatto ancora più tragico, a dare una mano non c’è nemmeno una stampa libera. A confidarlo è una collega del quotidiano locale, ansiosa di condividere con un giornalista occidentale il proprio disagio e, come apertamente dichiarato, di affidarli un messaggio di allarme da portare e diffondere in Europa. Tetjana Tetjanova – il nome, per ovvi motivi, è di fantasia – spiega come nel territorio la sua attività sia continuamente ostacolata da pressioni delle autorità che, prima con consigli, poi con direttive sempre più esplicite, fino alla minaccia di licenziamento, la obbligano a dare un immagine di Sachnovshchyna come città impeccabile, ordinata, ideale. Il tutto, da tre anni a questa parte. Una prassi che si reitera, indipendentemente dal colore politico della giunta territoriale, ora di maggioranza del Partija Rehioniv, prima di Nasha Ukrajina.

“Ciò che motiva la mia professione è raccontare la verità per informare. Non ho paura nel dichiarare che la stampa locale è sotto pressione da parte delle autorità. E non solo a Sachnovshchyna. Colleghi dei circondari limitrofi subiscono gli stessi atteggiamenti. Non si tratta di temniky [documenti inviati dalle autorità alle redazioni con le indicazioni su quali priorità dare alle varie notizie del giorno], ma di pressioni psicologiche. Le stesse utilizzate nelle fabbriche dai grandi industriali per indirizzare il voto degli operai. Ma, sia chiaro, non è solo colpa di Janukovych. Anche la precedente amministrazione, nominata da Jushchenko, aveva lo stesso atteggiamento. Non voglio tornare ai tempi dell’Unione Sovietica, ma solo poter scrivere liberamente. Un domani, forse grazie all’Europa, il mio sogno potrà realizzarsi”.

Matteo Cazzulani

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