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E' USCITO IL MIO LIBRO "LA DEMOCRAZIA ARANCIONE. STORIA DELL'UCRAINA DALL'INDIPENDENZA ALLE PRESIDENZIALI 2010", LIBRIBIANCHI EDITORE. Parte dei proventi finanzia l'Associazione AnnaViva.

domenica 16 maggio 2010

IL TEOREMA PETRYKIVKA.



La festa dell’Europa in via Lenin. L’ennesima contraddizione in salsa ucraina, che Petrykivka, quarta tappa della missione, ha regalato all’equipaggio dell’Eurobus, sbalordito da tale accostamento, quasi fosse dinnanzi a un piatto di pasta alla marmellata. In effetti, è bastato varcare il Dnipro per sentirsi indietro di trenta anni. La bandiera europea accanto al monumento del fondatore dell’Unione Sovietica, è grottesca. Ma, nel contempo, altamente indicativo della realtà territoriale.

Petrykivka è una cittadina di circa 5 mila abitanti, a una manciata di chilometri da Dnipropetrovs’k. A differenza dei casi precedenti, essa non si sviluppa su una strada maestra, bensì su un incrocio, su cui danno la rada locale, una filiale della UkrPromBank, il museo dell’amicizia, un muro dipinto ad hoc di bianco-rosso – colori caratteristici dell’identità nazionale ucraina, non a caso usati da Julija Tymoshenko nell’ultima campagna presidenziale – con la scritta in nero “Petrykivka vi da il benvenuto”, ed il principale negozio di alimentari, su cui campeggia un abnorme manifesto inneggiante all’armata rossa.

L’organizzazione è impeccabile, in perfetto stile sovietico. Accolti nella notte dalla canonica cerimonia del Karavaj – una bella fanciulla in abiti tradizionali, accompagnata dalle autorità locali, porge una torta di benvenuto agli avventori – i giovani diplomatici europei sono stati messi al corrente dal sindaco, istantaneamente, sul programma della due giorni: ore 8, sveglia. Ore 8:30, colazione comune. Ore 9, inizio dei seminari, i cui partecipanti sono stati già designati d’ufficio, senza possibilità di scelta. Ore 11:30, pausa per tutti. Ore 13:30, pranzo con le autorità. E così via. La sicurezza è garantita dalla polizia locale, omnipresente ad ogni iniziativa, coadiuvata dalle forze anti sommossa in tuta grigia. “Il paese è sicuro, ve lo garantisco – dichiara in tono solenne il capo della milicija, Lavrentij Tarasevych – ma baderemo alla vostra incolumità. Non temete, vi seguiremo ovunque”.

Come si possa lavorare tranquilli dinnanzi a tale benvenuto è un enigma. Così come è poco chiaro il perché a tutela degli giovani europei le autorità abbiano mobilitato persino la ochorona, se la cittadina è davvero sicura. Fatto sta che a Petrykivka non ci sono contadini, ma solo operai. Pendolari per giunta: ad attrarre la forza lavoro sono le industrie metal meccaniche del capoluogo, Dnipropetrovs’k, in particolare la InterPipe di Viktor Pinchuk, oligarca-pupillo dell’autoritario presidente Kuchma, al punto da riceverne la mano della figlia, oggi lontano dalla politica e dedito al mecenatismo e ad attività filantropiche. Tuttavia, a subire l’attrazione di Dnipro – com’è ribattezzata affettuosamente la città – sono solo i pochi fortunati che lavorano. Si, perché la stragrande maggioranza dei petrykivne un impiego non ce l’ha.

“La mattina e la sera è un viavai unico dalla stazione degli autobus – spiega Tetjana Dovzhenko, collega della testata locale Dniprovs’ka Zora – tutti a Dnipropetrovs’k, a lavorare in fabbrica. Sono solo il 20% dei locali. Qui la disoccupazione è alta, soprattutto tra i giovani. Gente che passa il tempo in strada, o alla ricerca di impieghi quotidiani per aiutare le famiglie. I meno volenterosi, invece, spendono i pochi soldi che hanno in tasca in birre, unica compagna in grado di farti passare la giornata”.

In effetti, di giovani per strada ce ne sono tanti anche in occasione del Den’ Jevropy, in cui Petrykivka mette in mostra i suoi talenti, dai piccoli allievi della scuola di pittura alla cantante pseudo-pop impegnata in cover della cantante Nastja – voce ufficiale della campagna di Julija Tymoshenko – e dell’immancabile Celentano, forse in onore dell’unico componente del nostro Paese, rappresentante di turno della missione.

Tutti sono interessati nell’interagire con i viaggiatori venuti da tanto lontano, sopratutto Sasha e Kostja. I due ventenni di anni ne dimostrano almeno dieci di più, anche perché da tre stagioni lavorano nell’industria casearia, sempre a Dnipro. Vogliono parlare di Europa, comprenderla e, soprattutto, integrarsi. Per costoro, la bandiera blu con 12 stelle rappresenta un sogno. Ed una possibilità di trovare lavoro e prosperità economica.

“L’Europa la vediamo solo in televisione, con la Champions’ League – dice Sasha – ma il Dnipro [la squadra di calcio di Dnipropetrovs’k, n.d.a.] non è in grado di qualificarsi, e la Dynamo e lo Shakhtar [le squadre rispettivamente di Kyiv e Donec’k, n.d.a.] raramente hanno possibilità di successo. Non sono mai stato in Italia. Ma vorrei tanto vedere il Colosseo. E stringere la mano a Totti. Chi c’è stato mi ha detto che si vive bene, e guadagna molto. Qui, invece, o ti accontenti, o non hai un impiego”.

Il perché di tale disoccupazione è spiegato da Kostja, collega di Sasha, giunto per l’occasione dalla vicina Chumaky, un’ altro borgo di campagna dominato nella sua piazza principale dalla statua di Lenin, con la scritta “Gloria al Lavoro”. Malgrado il motto cittadino, di lavoro non c’è ne. E nemmeno di gloria. Gli operai provenienti dalla vicina Moldova sono assunti più volentieri dai grandi imprenditori locali, russi, perché disponibili a paghe nettamente inferiori rispetto a quelle percepite da un ucraino medio. Un fenomeno che ha decrementato i salari ed inflazionato il numero dei senza impiego. Il tutto, senza alcun intervento, né da parte del governo, né da parte delle autorità locali, conniventi con gli oligarchi dell’area, ed abili a sfruttare la situazione a proprio vantaggio.

“Non c’è lavoro – spiega Kostja – colpa dei moldavi. Questi arrivano, si accontentano di paghe più basse, e ci rubano il lavoro. Vivono in quartieri separati, persino nei nostri villaggi. Hanno paura della nostra vendetta. Io non sono ostile, ma ogni tanto qualche rissa scappa. Bisogna capire che i responsabili sono anche gli imprenditori russi, che i moldavi se li portano da Mosca. Comprano la fabbrica per quattro soldi, e cacciano noi ucraini, in casa nostra. E nessuno ci da niente, tranne durante la campagna elettorale, quando il Partito ci riempie di hryvnje”.

Il gioco è presto spiegato. E che Dnipropetrovs’k sia un baluardo filorusso è una barzelletta venduta dai media nostrani e bevuta da chi l’Ucraina la vede da lontano. Gli autoctoni, soprattutto i giovani, si sentono ucraini. Parlano e capiscono perfettamente l’ucraino, anche se tra loro riesce meglio comunicare in russo. Vogliono l’Europa, e credono profondamente che il futuro della loro nazione sia a Bruxelles, e non a Mosca. Tuttavia, occorre vivere. E i soldi per mangiare te li danno solamente o gli oligarchi russi che, d’accordo con le autorità locali, controllano l’intera filiera della grande industria dell’area. Oppure, il Partija Rehioniv, la forza politica dell’attuale presidente, che sotto elezioni si ricorda dei disoccupati di Petrykivka e li assume come “volontari”, influenzandone inevitabilmente il voto.

“C’è un connubio tra i grandi industriali e il partito – spiega il responsabile regionale del progetto di cooperazione UE-Ucraina, Mykola Syrota – essi non solo sono abili a sfruttare a proprio vantaggio l’enorme disoccupazione, ma hanno tutto l’interesse a mantenere lo status quo: gli stipendi restano bassi, e tutti votano per chi ti paga durante la campagna elettorale. Il tutto, grazie all’aiuto dei media. Julija Tymoshenko, in passato, ha fatto tanto per Dnipropetrovs’k, dove è nata. Ma dal 2001, da quando è stata incarcerata per assurde accuse, ha perso il controllo del territorio, e ad oggi è continuamente discreditata dai media, che la rendono impresentabile. I petryvkine voterebbero per lei, ne condividono le idee. Ma devono mangiare. Così, ci teniamo persino il monumento a Lenin. E l’Europa, a cui apparteniamo, possiamo solo sognarla”.

A confermare tale teorema è Oleksej Michajlovych, uno di quegli anziani frequentatori del mercato locale ansioso di parlare di sé. Sostiene di percepire 180 hryvnje – 80 euro – mensili di pensione: una miseria, dal momento in cui, tolte le bollette, soprattutto quella, costosissima, per il gas, per vivere di hryvnje gliene rimangono solo 30. Poco più della bottiglia di horil’ka che, nonostante tutto, tiene ad offrire agli ospiti, accolti in casa per parlare serenamente, lontano dalla “protezione” della milicija locale. Dice di sentirsi fieramente ucraino e di non credere alle promesse di Janukovych circa l’innalzamento delle paghe sociali e delle pensioni. Parole già spese in passato quando premier era lui, ma mai mantenute.

“Sono vedovo, e da qualche anno vivo solo. Ho fatto di tutto nella mia vita, dall’autista all’operaio,sempre a Dnipropetrovs’k. E’ difficile, ma a darmi una mano ci pensa mio figlio. Lavora nell’amministrazione. Il presidente? Promette, ma non manterrà alcunché. Però ho votato per lui. E che altro potevo fare?”.

La sua è una umile dimora. Un cucinotto, un divano per dormire di notte e per guardare la televisione di giorno. La toilette si trova in giardino. Anzi, è il giardino. E nulla di più. Solo un attaccapanni, con appesi capi invernali. Ed un cappello, con una sciarpa blu con la scritta “Partija Rehioniv”. Una di quelle indossate dai manifestanti pro Janukovych, e dai “volontari” della sua campagna elettorale.

Matteo Cazzulani

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