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martedì 28 luglio 2009

IN BIDEN WE TRUST

Il vicepresidente americano Joe Biden si è recato in Ucraina e Georgia per riequilibrare la politica estera USA nei confronti dei Paesi ex-sovietici.

“Le nuove aperture verso la Russia non saranno a spese di altri Stati. Rifiutiamo la logica delle sfere d’influenza e difendiamo il principio secondo cui ogni Stato democratico è sovrano e gode del diritto a scegliere autonomamente alleati e partner commerciali”. Così ha dichiarato il consigliere della vicepresidenza per la sicurezza nazionale Tony Blinken alla vigilia dell’imbarco di Joe Biden per Kyiv.

In Ucraina e Georgia è crescente la preoccupazione circa il completo disinteresse dell’amministrazione Obama verso le legittime aspirazioni euroatlantiche di Kyiv e Tbilisi, ultimamente sacrificate dalla Casa Bianca in nome di un auspicato miglioramento delle relazioni con Mosca.

Le parole di Obama sul dovuto rispetto dell’integrità territoriale e dell’indipendenza della Georgia pronunciate durante i colloqui con Putin e Medvedev poco hanno rassicurato l’opinione pubblica di Tbilisi. E la freddezza americana dinnanzi alle ripetute umiliazioni che le armate del Cremlino hanno inflitto al più debole esercito georgiano è una costante iniziata già sotto la presidenza Bush: dapprima, di fronte alla spropositata e violenta invasione della Georgia, reazione militare al tentativo di Tbilisi di riprendere il controllo delle province separatiste di Abkhazja e Ossezia del Sud; successivamente, a seguito del riconoscimento dell’indipendenza dei due territori di cui sopra, accettata solo da Mosca e dal Nicaragua.

A Kyiv invece, la noncuranza occidentale nei confronti dell’ingresso nella NATO e nell’UE è ben spiegata da una metafora apparsa sul settimanale Zerkalo Nedeli, secondo cui “l’Ucraina è una valigia troppo preziosa per disfarsene, ma troppo scomoda da portare”.

Dunque, il viaggio di Biden è fondamentale per riequilibrare l’esito della recente visita di Obama a Mosca. A testimoniarlo, la scelta a Capo della delegazione dello stesso vicepresidente USA, da sempre attento ai destini dei Paesi ex-sovietici. Tra gli intenti della missione, la creazione di un gruppo di lavoro per la sicurezza energetica ed il rinnovo del Patto di Partenariato Strategico già stretto con Kyiv da George Bush, nel quale è chiaramente riportato che “l’integrazione euroatlantica dell’Ucraina e la realizzazione delle riforme necessarie per il suo ingresso nella NATO e nell’UE sono priorità per entrambi i firmatari”.

Nella conferenza stampa congiunta del 21 luglio a Kyiv, il presidente Vyktor Juščenko ha illustrato come la sua preoccupazione ricada in primis sulla sicurezza e sull’integrità territoriale dell’Ucraina “possibile unicamente per mezzo di un’integrazione col mondo euroatlantico”.
Juščenko ha evidenziato come fondamentale per il suo Paese sia l’indipendenza energetica dal vicino russo, invitando a tale pro gli investitori americani a prendere parte al progetto di riforma della rete ucraina di prelievo del gas e, più in generale, di tutto il sistema energetico.
Infine, il Presidente ucraino ha approfittato della presenza di Biden per invitare pubblicamente Barack Obama a Kyiv per una visita di cortesia e di amicizia, possibilmente prima delle prossime elezioni presidenziali in programma per il prossimo inverno.

Da parte sua, Biden ha dichiarato che “gli USA appoggiano un’Ucraina sovrana ed il suo diritto a svolgere elezioni democratiche senza ingerenze dall’estero [ergo dalla Russia, n.d.a.]”, assicurando che il cambio di rotta nelle relazioni con la Russia non avrà ricaduta alcuna sul rapporto con gli amici ucraini. Al contrario, il vice Obama ha espresso il suo convincimento che il reset tra Washington e Mosca sarà un vantaggio anche per Kyiv, poiché da parte americana non mancherà mai l’appoggio ad un’Ucraina più forte, democratica e pienamente integrata nella Comunità euroatlantica.
Affinché tali scopi possano essere realizzati, Biden ha sottolineato come sia necessario un immediato arresto delle conflittualità interne al Parlamento ucraino, attanagliato da continue crisi di governo dovute ad una forte instabilità: “il compromesso non è segno di debolezza, ma dimostrazione di forza e responsabilità politica”.

Con un discorso al parlamento georgiano il 23 luglio, il vicepresidente USA ha rassicurato anche Tbilisi sul fatto che il riavvicinamento con Mosca non pregiudicherà in alcun modo le strette relazioni di amicizia tra i due Paesi. “Capiamo quanto la Georgia aspiri alla NATO. Appoggiamo pienamente questa ambizione e continueremo a lavorare affinché Tbilisi raggiunga tutti gli standard necessari per l’ingresso nell’Alleanza Atlantica”.
Biden ha aggiunto che Washington non intende riconoscere l’indipendenza di Abkhazja ed Ossezia del Sud, invitando tutti gli altri Paesi occidentali a mantenere il medesimo atteggiamento, poiché il riconoscimento della sovranità delle due regioni georgiane separatiste – occupate militarmente da Mosca lo scorso agosto – sarebbe un errore irrimediabile. Così come tuttavia lo sarebbe anche un tentativo armato da parte di Tbilisi di riprenderne il controllo.
Il discorso al parlamento è stato più volte interrotto da calorose ovazioni, in particolare dopo l’affermazione che “gli USA appoggeranno il cammino verso il ritorno di una Georgia sicura, libera, democratica e nuovamente unita”.

Oltre al discorso al Parlamento, Biden ha intrattenuto un colloquio privato con il Presidente Mikheil Saakašvili, il quale, con tono amichevole, ha richiesto al vice Obama di non bloccare le esercitazioni militari NATO in territorio georgiano per l’addestramento dell’esercito di Tbilisi come preteso dal Cremlino , poiché “l’appoggio americano per la Georgia è vitale”.
Soprattutto dinnanzi alle ennesime minacce provenienti da Mosca nei confronti dello Stato caucasico: dal Ministero degli Esteri russo, Grigorij Karasin ha tuonato che “la Russia prenderà contromisure concrete per prevenire il riarmo dell’esercito georgiano”. Nemmeno si trattasse dell’armata napoleonica o della terribile orda di Tamerlano. A tali affermazioni, Saakašvili ha risposto come esse siano la prova che “la Georgia è un Paese sotto attacco e vittima di una parziale occupazione militare [dell’Abkhazja e dell’Ossezia del Sud, n.d.a.] . Ciononostante, la nostra [georgiana, n.d.a.] scelta di approdare nella comunità euroatlantica è irreversibile”.

Infine, il vice presidente USA ha incontrato i leader delle opposizioni georgiane, che negli ultimi mesi hanno richiesto fortemente le dimissioni di Saakašvili, accusato di essere un presidente autoritario ed unico responsabile della disastrosa guerra combattuta contro Mosca. Tra essi, l’ex speaker del Parlamento Nino Burjanadze e l’ambasciatore emerito all’ONU Irakli Alasania.

La due giorni georgiana si è conclusa con una visita ai bambini sfollati dall’Abkhazja e dall’Ossezia del Sud in seguito all’aggressione russa dello scorso agosto.

A Tbilisi, nonostante l’entusiasmo degli esponenti politici, la visita di Biden è stata accolta con distacco dalle gerarchie militari georgiane, in attesa che le promesse del vice Obama di amicizia e di supporto politico e militare si traducano in fatti concreti.

Una speranza condivisa, per non abbandonare tra gli artigli dell’orso russo un popolo a noi molto più vicino sul piano culturale di quanto si pensi. Contrariamente a quanto fatto negli ultimi mesi dagli Stati della Vecchia Europa, totalmente succubi del Cremlino per via della cronica dipendenza energetica.
Aspettando un’Europa finalmente forte ed unita in politica estera, Tbilisi e Kyiv non hanno che sperare in Washington per liberarsi definitivamente dall’imperialismo russo e per entrare nella tanto legittimamente ambita comunità euroatlantica insieme con gli altri Stati liberi e democratici.
Matteo Cazzulani

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