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giovedì 19 agosto 2010

DOPO I MISSILI IN ABKHAZIJA, I RUSSI IN ARMENIA E TADZHIKISTAN.


FOTO NEZAVISIMAJA GAZETA. Mosca si accorda con Jerevan e Dushanbe per il prolungamento dello stazionamento del proprio esercito in Armenia e Tadzhikistan. Allarme di Azerbajdzhan e Georgia. Indifferenti USA ed UE.

Dopo l'Abkhazija, Armenia e Tadzhikistan. Nemmeno la lotta contro i terribili incendi, provocati dall'ondata di caldo eccezionale, sono riusciti a fermare la politica estera russa. Una complessa partita a scacchi, giocata con estrema abilità, che ha visto Mosca mettere a segno due mosse vincenti nel corso di una sola giornata.

Il primo scacco matto, in Armenia. Come riportato dal canale televisivo "Rossija 24" e dall'agenzia Gazeta.ru, l'esercito russo resterà nel Paese fino al 2044. A confermare tutto ciò, il ministro degli esteri di Jerevan, Edvard Nalbandjan, che ha sottolineato l'importanza di tale prolungamento non solo per garantire la sicurezza del Paese, assieme alle forze armate autoctone, ma anche per rafforzare i rapporti politici bilaterali col Cremlino, prezioso alleato di cui l'Armenia necessita.

"Il sito interessato - ha illustrato con una nota - è la base militare di Gjumri. Ivi resteranno i militari russi, che opereranno in collaborazione con le nostre forze armate. E' un accordo vantaggioso per ambo le parti. Noi [l'Armenia, n.d.a.] garantiamo la sicurezza dei nostri confini, e la Federazione Russa, i suoi interessi geopolitici nell'area. Siamo già concordi su tutto. Presto, ufficializzeremo il documento".

Secca la reazione dell'Azerbajdzhan, Paese confinante che con Jerevan intrattiene relazioni diplomatiche assai complicate. La situazione è delicata già dalla guerra per il possesso della regione del Nagorno-Karabakh - ad oggi repubblica indipendente non riconosciuta - combattuta nel 1987-1994, ma, de facto, capitolo non ancora chiuso, in cui Baku accusa i russi di interventismo in favore degli armeni. Ciò nonostante, rappresentanti del governo azero escludono ogni velleità interventista da parte di Mosca, ma esprimono forte preoccupazione per la crescente militarizzazione delle forze armate armene.

"E' evidente - ha dichiarato il deputato alla Mejlis azera Ajdyn Mira-zade - che Jerevan si rimilitarizza e rafforza il proprio potenziale armamentario. E' questo il lato critico della questione, non la presenza dei russi. Tra Jerevan e Baku potrebbero spezzarsi quegli equilibri militari faticosamente raggiunti negli ultimi anni. L'area, ancora calda, potrebbe destabilizzarsi".

Lecito ricordare che l'Azerbajdzhan, assieme a Turkmenistan, Georgia e Turchia, è uno dei Paesi su cui dovrebbe transitare il Nabucco: gasdotto progettato da USA ed UE per trasportare oro blu di provenienza centroasiatica in Occidente, aggirando il territorio, e con esso la dipendenza economica, ed il conseguente ricatto politico, della Russia. Un disegno a cui Mosca si è sempre opposta. Da un lato, iniziando la costruzione di una conduttura parallela, il Southstream. Dall'altro, cercando di controllare militarmente l'area, posizionando pedine pesanti sulle caselle dello scacchiere caucasico.

Stando alle fonti, l'accordo russo-armeno sarà presentato il prossimo venerdi, 20 agosto, in occasione del summit dell'Organizzazione per l'Accordo sulla Sicurezza Collettiva (ODKB): alleanza economico-militare di mutuo soccorso, varata a Tashkent il 15 maggio 1992, tra Federazione Russa, Armenia, Kazakhstan, Kyrgystan, Uzbekistan, Bielorussia e Tadzhikistan. Esso, oltre a quanto già dichiarato al ministro degli esteri di Jerevan, e alle ragioni geopolitico-energetiche, sarebbe mirato anche al controllo della frontiera con la Turchia, Paese su cui Mosca non ripone enorme fiducia.

Il secondo scacco matto il Cremlino lo ha messo a segno proprio nell'ultimo degli stati elencati tra i membri ODKB, il Tadzhikistan. Nella giornata di martedi, 17 agosto, a Sochi ha avuto luogo un importantissimo vertice tra i presidenti russo, Dmitrij Medvedev, afgano, Hamid Karzaj, pachistano, Asif Ali Zardari, e, appunto, tadzhiko, Emomali Rakhmon. Scopo ufficiale dell'incontro, il rafforzamento della partnership economica, ed il varo di una politica regionale di sicurezza comune alle quattro realtà dell'Asia. In realtà, il summit è stata l'occasione per rinegoziare l'affitto che Mosca corrisponde a Dushanbe per lo stazionamento delle proprie truppe nella base aerea di Ajni.

In virtù degli accordi in vigore, stretti nel 2008, i russi dovrebbero sgomberare l'area nel 2013, ma il Cremlino intenderebbe posticipare tale data. D'altro canto, per ottenere maggiori entrate, utili al ripianamento di un bilancio dissestato, la parte Tadzhika intenderebbe sfruttare l'occasione per ritoccare al rialzo l'affitto. Stando a quanto riportato dal quotidiano russo Nezavisimaja Gazeta, e alle dichiarazioni dello stesso Rakhmon, Mosca e Dushanbe si sarebbero accordati facilmente.

"Siamo pronti ad ogni accordo col Cremlino - ha affermato il Capo di Stato Tadzhiko - Per noi la partnership con Mosca è indispensabile. Non si tratta di sola economia. Anche il lato militare, politico e sociale hanno la loro importanza".

Doveroso sottolinere come le parole di Rakhmon testimonino una precisa strategia politica, che Mosca riuscirebbe a sfruttare a proprio vantaggio. Nel 2012, a Dushanbe, sono in programma le elezioni presidenziali, che l'attuale Capo di Stato tadzhiko non intende perdere. Per farlo, gli è utile l'appoggio politico - ed economico - della Federazione Russa. La quale, a sua volta, necessita della repubblica centroasiatica in quanto uno dei suoi principali partner commerciali. Inoltre, in territorio russo vivono e lavorano più di un milione di Tadzhiki, fattore non di poco conto in prospettiva elettorale. Anche per questa ragione, Rakhmon, di recente, avrebbe negato a Washington l'utilizzo della base in questione per il trasporto delle truppe USA in Afghanistan.

In aggiunta, utile ribadire che, lo scorso 12 agosto, le autorità militari russe hanno dichiarato il dislocamento di una batteria missilistica in Abkhazija: regione, assieme all'Ossezia del Sud, sottratta alla Georgia a seguito della guerra lampo dell'estate 2008, e resa Stato indipendente per rafforzare il predominio moscovita sull'area. Il vice premier georgiano con delega alla reintegrazione del Paese, Temur Jakovashvili, ha evidenziato come la mossa del Cremlino contrasti con quasi tutte le clausole degli accordi di pace stretti con la mediazione di NATO e Unione Europea, allora rappresentata dal presidente di turno, il francese Nicholas Sarkozy.

In particolare, Mosca avrebbe sistematicamente infranto l'obbligo di arrestare ogni azione bellica, di ritirare il proprio esercito dai teatri di guerra, ed ivi permettere il ritorno di quello georgiano, di consentire l'accesso, ed il libero transito, di convogli per gli aiuti umanitari. E, infine, di affrontare la questione dell'Indipendenza delle due regioni, strappate con la forza a Tbilisi, in sede internazionale.

Infine, sconcertante constatare come, dinnanzi a tale politica dei missili e dei gasdotti, rimanga silente chi dovrebbe ricordare a Mosca che rispetto della democrazia, dei diritti umani, e della sovranità territoriale dei Paesi terzi indipendenti siano valori non negoziabili, da rispettare sempre e comunque in ambito internazionale. L'Unione Europea, troppo impegnata a discudere di nutella e della lunghezza dei pesci da pescare nelle proprie acque, e gli Stati Uniti del presidente Obama, indaffarato in bagni e partite di golf con la famiglia in Florida. Landa tranquilla e soleggiata, lontana dalle mine e dalle bombe del Caucaso.

Matteo Cazzulani

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