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sabato 21 agosto 2010

FUSIONE GAZPROM-NAFTOHAZ, AFFAIRE RUE ED OLEODOTTO ODESSA-BRODY. LA CALDA ESTATE ENERGETICA NELL'EUROPA EX-SOVIETICA


FOTO UNIAN. Al via le trattative per la fusione tra i colossi del gas russo ed ucraino, Gazprom e Naftohaz. Un tribunale ucraino Kyiv condanna la compagnia nazionale Naftohaz in favore di oligarchi del settore. Gli esperti: "gazocrazia". Spunta l'ipotesi, con l'ausilio bielorusso e lituano, dello sfruttamento al contrario dell'oleodotto Odessa-Brody.

Gas e Nafta sono davvero materiali altamente infiammabili. Nonostante la chiusura per ferie della Rada, a riscaldare la politica ucraina, e, con essa, di tutta l'area europea centro-orientale, è la tematica energetica. Oltre a Kyiv, anche Bielorussia, Russia e Lituania sono coinvolte in progetti che potrebbero segnare una svolta negli equilibri geopolitici della regione.

La notizia più recente è l'avvio delle trattative tra Mosca e Kyiv per la costituzione di un unico supermonopolista nel settore del gas che, stando ai piani, dovrebbe nascere dalla fusione tra il monopolista russo, Gazprom, e quello ucraino, Naftohaz. Come riportato dall'agenzia di stampa russa Ria Novosti, e confermato da quella ucraina UNIAN, nella giornata di venerdi, 20 agosto, il capo di Gazprom, Aleksej Miller, ed il ministro dell'energia ucraino, Jurij Bojko, hanno intrattenuto il primo di una serie di incontri per realizzare un progetto che interesserà l'estrazione di oro blu in Russia, il suo transito in Ucraina e lo sviluppo del sistema infrastrutturale energetico di Kyiv.

"Nell'incontro - riporta una nota di Gazprom - avvenuto presso i nostri [di Gazprom, n.d.a.] uffici si è affrontato l'inizio delle trattative per la creazione di un'unica compagnia energetica. Siamo soddisfatti per come procedono le trattative, e per lo stato della cooperazione con Naftohaz, sopratutto per quanto riguarda la firma di nuovi contratti a lungo termine, finalizzati al rinnovo delle forniture a Kyiv ed al transito di gas attraverso il territorio ucraino".

La proposta di unire Gazprom e Naftohaz in un unico supermonopolista è stata avanzata, a sopresa, dal primo ministro russo in persona, Vladimir Putin, in occasione di un incontro col il collega ucraino, Mykola Azarov, lo scorso maggio, a Sochi. Tuttavia, stando al parere di molti esperti, e ad alcune indiscrezioni, non si tratterebbe di una fusione a pari condizioni, poiché alla compagine ucraina sarebbe riservato solamente il 6% delle azioni del nuovo soggetto. Dinnanzi a ciò, l'Opposizione Democratica da un lato ha denunciato la volontà del Cremlino di estendere il proprio controllo sul sistema infrastrutturale energetico ucraino per sottomettere il Paese sul piano economico e, di conseguenza, politico. Dall'altro, ha accusato amministrazione presidenziale e governo di contrastare gli interessi nazionali, e di svendere, per favorire i propri finanziatori, le pedine principali dell'industria ucraina. Difatti, accanto ai monopolisti del gas, Mosca e Kyiv hanno già provveduto all'unificazione dei propri colossi in altri settori cruciali per l'economia della regione, da quello dell'energia nucleare ed idroelettrica alla costruzione di aerei. Sempre secondo quanto proposto da Putin in quel di Sochi.

La fiammata precedente, ancora inerente all'oro blu, nella giornata di giovedì, 19 agosto. Il tribunale del quartiere Shevchenko di Kyiv ha confermato la sentenza dell'arbitrato di Stoccolma sulla diatriba tra Naftohaz e RosUkrEnergo - misteriosa compagnia registrata in Svizzera, controllata al 50% da una affiliata del monopolista russo Gazprom, RosGasAg, e, all’altro 50%, dalla elvetica Centralgas Holding, agente per conto di due oligarchi ucraini, Ivan Fursyn e Dmytro Firtash - ed obbligato il governo ucraino alla restituzione di 12 miliardi di metri cubi di gas col versamento di un'ammenda di 5,5 miliardi di dollari. Il Ministero dell'energia, che controlla Naftohaz, ha promesso di continuare la battaglia in apello. Ma in pochi credono nella reale intenzione di proseguire l'iter processuale, né nella possibilità di successo.

A dare la notizia, poi confermata, il quotidiano russo Kommersant'', che ha spiegato come la sentenza sia stata emanata già lo scorso 13 agosto. Un atteggiamento che ha irritato, non di poco, il capo della Commissione Parlamentare per la Sicurezza Nazionale - da prassi concessa all'opposizione - Anatolij Hrycenko, il quale ha sottolineato come sia stato lo stesso governo a caldeggiare, e favorire, tale decisione, pesante per il bilancio statale. Un atteggiamento, apparentemente inspiegabile, che testimonia la volontà dell'attuale magioranza di tutelare gli interessi dei propri sponsor prima che quelli della nazione: Dmytro Firtash è uno dei principali finanziatori del Partija Rehioniv, la forza politica, egemone nel Paese, a cui appartengono presidente, premier e quasi tutto il resto del Consiglio dei Ministri. Inoltre, lo stesso titolare del dicastero all'energia, Jurij Bojko, era tra i quadri dirigenti di RosUkrEnergo. Un conflitto di interessi che, ha spiegato Hrycenko a Radio Liberty, ben chiarirebbe la questione.

Simile analisi è stata espressa anche da personalità di alta competenza, estranei alla sfera politica. Il direttore del centro di studi energetici "Nomos", Mykhajlo Honchar, ha evidenziato come la faccenda testimoni la mancanza di un sistema giudiziaro in grado di tutelare gli interessi del Paese, preferendo assecondare gli interessi dei singoli, grandi affaristi. I quali, spalleggiati dalle forze politiche della maggioranza - Partija Rehioniv, Blocco Lytvyn e comunisti - hanno fatto dell'Ucraina una gazocrazia, in cui a governare sono oligarchi corrotti, e non più i rappresentanti della volontà popolare.

Per meglio chiarire l'intera questione, doveroso un breve storico. RosUkrEnergo ha detenuto il monopolio della vendita di gas turkmeno - meno caro di quello russo, altresì venduto a Kyiv da Gazprom - a Naftohaz, ed agito come intermediario nelle trattative energetiche tra Mosca e Kyiv fino al novembre del 2009. Dieci mesi prima, in gennaio, Mosca e Kyiv si erano accordate per eliminare la compagnia elvetica, e Gazprom aveva concesso a Naftohaz il permesso di utilizzare il gas gestito da RosUkrEnergo, conservato nei serbatoi ucraini. L'ex intermediario, tuttavia, ha presentato ricorso all'arbitrato di Stoccolma, accusando la compagnia ucraina di aver rubato l'oro blu, e di non avere rispettato le clausole contrattuali, in vigore dal 2006.

Lo scorso 8 giugno, Naftohaz è stata condannata alla restituzione di 11 miliardi di metri cubi di gas, ed al versamento di un indennizzo pari a 5,5 miliardi di dollari in favore della società controllata da Firtash. Il tutto, senza reazioni da parte di Gazprom. Né, sopratutto, alcuna presa di posizione da parte delle autorità di Kyiv. Al contrario, il governo ha addossato l'intera responsabilità al precedente esecutivo, guidato da Julija Tymoshenko, senza programmare alcuna controffensiva giudiziaria. Inoltre, il Servizio di Sicurezza Nazionale, presieduto da Valerij Khoroshovs'kyj, socio in affari di Firtash, ha avviato un'inchiesta che ha portato, in poco tempo, all'arresto di alcuni collaboratori della Lady di Ferro ucraina al momento dei fatti incriminati.

In sostanza, una vera e propria batosta energetica. Dalla quale, tuttavia, Kyiv ha la possibilità di riscattarsi, con l'aiuto di Bielorussia e Lituania, su un altro fronte, quello della nafta. Nello specifico, Minsk sarebbe pronta a cedere a Kyiv 5 delle 9 milioni di tonnellate di nafta importate dal Venezuela come diritto di transito attraverso l'Ucraina.

Una possibilità concreta, dal momento in cui il governo bielorusso ha già stretto un accordo con la Lituania per l'utilizzo degli oleodotti di Vilna. Ma il trasporto via mare fino ad Odessa, sul Mar Nero, costerebbe sensibilmente meno rispetto a quello fino a Klajpedi, sul Mar Baltico. Ciò nonostante, il condizionale è d'obbligo. Difatti, se la parte bielorussa è disponibile a trattare, anche coinvolgendo la Lituania, è Kyiv che deve compiere il passo più significativo, e coraggioso, invertendo il flusso di utilizzo dell'oleodotto Odessa-Brody.

Tale conduttura è stata costruita tra il 1996 ed il 2001, ma è entrata in funzione solo nel 2004, quando l'allora consiglio dei ministri, per contrastare la dipendenza energetica dalla Russia, optò per il suo impiego in senso inverso: dall'Ucraina alla Bielorussia. Una decisione subito annullata dall'allora primo governo Janukovych - l'attuale presidente, allora primo ministro - che, con un apposito decreto, tuttora in vigore, ripristinò l'utilizzo originale della conduttura per trasportare carburante grezzo del consorzio russo TNK-BP da Brody ad Odessa. Una direzione che Kyiv è obbligata a mantenere per altri due anni, in quanto, sempre il primo esecutivo Janukovych, impegnò il Paese in un accordo con Mosca finalizzato al potenziamento dell'oleodotto Druzhba - che trasporta nafta dalla Russia a Stati Baltici e Bielorussia - di cui l'Odessa-Brody, sfruttato verso il Mar Nero, è la naturale continuazione.

Dunque, su Kyiv ricade una decisione coraggiosa. Una precisa scelta di campo tra una diversificazione degli approvvigionamenti ed maggiore dipendenza politico-energetica dal Cremlino. Secondo i maggiori esperti del settore, la soluzione bielorussa è possibile e, sopratutto, conveniente. Ma difficilmente l'attuale verticale del potere ucraina farà uno sgarbo a Mosca, e romperà anzitempo l'accordo per il potenziamento del Druzhba. Rinunciando, così, per via definitiva, ad una fornitura economicamente vantaggiosa e politicamente indipendente.

Matteo Cazzulani

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